Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MEDITERRANEO

Libia, l'ennesimo ricatto all'Italia e all'Europa

Il governo libico di Tobruk denuncia violazioni italiane delle sue acque territoriali, che non esistono. E probabilmente è un modo per fare pressioni su Roma, affinché rompa le relazioni con il governo di Tripoli. Intanto il governo islamista di Tripoli minaccia l'Italia: o arriva il riconoscimento, oppure inonderà l'Ue (cioè la nostra costa) di profughi.

Esteri 06_11_2015
L'ambasciatore libico all'Onu

L’unico che pare non rendersene conto è il governo italiano e soprattutto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ma entrambe le fazioni libiche che esprimono i governi di Tripoli e Tobruk hanno attaccato duramente il nostro Paese nel giro di poche ore.

Ad accendere le polveri ha provveduto il governo libico riconosciuto, quello laico di Tobruk, accusando il 2 novembre tre navi italiane della missione Ue Eunavafor Med di aver violato le acque territoriali. “Tre navi da guerra italiane sono arrivate nei pressi delle coste di Bengasi, a Daryana circa 55 chilometri a est della città, e poi si sono spostate verso Derna” ha annunciato il governo di Tobruk  avvertendo che “non esiterà a ricorrere a tutti i mezzi che gli consentano di proteggere le sue frontiere e la sua sovranità territoriale”.

Roma ha negato smentendo anche le notizie giunte da Tobruk dell’invio di aerei da guerra a sorvolare a scopo intimidatorio le navi della Marina Militare. In effetti o i libici hanno preso un abbaglio o si trattava di navi di diversa nazionalità oppure Tobruk cerca pretestuosamente di attaccare l’Italia. L’unica nave italiana assegnata alla missione europea contro i trafficanti di esseri umani Eunafor Med è la portaerei Cavour, che il 2 novembre era peraltro ormeggiata.

A Roma la Difesa ha fatto sapere che “le navi militari italiane erano a 60-70 miglia dalla costa”, un riferimento alle unità navali dell’operazione Mare Sicuro ma non va dimenticato che fin dai tempi di Gheddafi la Libia ha esteso unilateralmente e in modo arbitrario le acque territoriali a 72 miglia dalla costa nel Golfo della Sirte. Se Tobruk considera quel limite invece delle 12 miglia previste dal diritto internazionale diventa chiaro il pretesto per denunciare “l’aggressione” italiana. 

Possibile però che Tobruk cerchino lo scontro con Roma per la sua esitazione nell’appoggiare decisamente il governo legittimo libico mantenendo relazioni anche con gli islamisti di Tripoli che controllano la Tripolitania, anch'essa importante per i nostri interessi energetici.

Secondo alcuni analisti l’accusa all’Italia è funzionale a far saltare l’intesa sul governo di unità nazionale frutto della mediazione dell’inviato dell’Onu (in scadenza) Bernardino Leon ma che finora né il parlamento di Tripoli né quello di Tobruk hanno approvato. Il generale Khalifa Haftar, a capo dell’esercito di Tobruk, ha paventato il rischio che l’accordo voluto dall’ONU porterà “ad un intervento militare straniero” in Libia.

Del resto nessuna fazione libica si è mai detta a favore di un intervento straniero inclusa quella missione di stabilizzazione che dovrebbe essere guidata dagli italiani e a cui sembra credere solo il ministro Gentiloni, ma neppure i nostri vertici militari considerato che il capo di stato maggiore della Difesa, generale Graziano, si è limitato a ipotizzare l’eventuale ripresa dell’operazione di addestramento delle forze libiche interrotta l’anno scorso.

A confermare come le nostre azioni in Libia siano in ribasso sono giunti attacchi anche da Tripoli. Prima la devastazione del cimitero cattolico italiano della capitale libica poi le dichiarazioni del portavoce del General National Congress, il parlamento di Tripoli, Jamal Zubia, che ha posto un ultimatum all’Europa.

O Bruxelles riconosce il governo islamista di Tripoli oppure verremo sommersi dai migranti che al momento i libici dicono di bloccare sulle loro coste ma che potrebbero invece caricare su barconi per inondare le coste italiane. La minaccia di dare il via a massicci flussi migratori illegali può far sorridere se si considera che l’anno scorso sono giunti in Italia dalla Libia 170 mila clandestini e quest’anno già 142 mila, ma la minaccia non è nuova e venne già attuata in passato da Muammar Gheddafi per sollecitare la firma dell’accordo di amicizia contenente le  “riparazioni di guerra”.

Zubia, in un’intervista al britannico Daily Telegraph, rivendica che il suo governo a speso decine di milioni per fermare i migranti sulle sue coste ma “ad essere onesti, ho consigliato molte volte al mio esecutivo di organizzare una flotta di barche e mandarla in Europa”.  Il problema, dice Zubia, è che a Bruxelles “non hanno ancora capito che siamo noi a proteggere i cancelli dell’Europa e l’Europa ancora non ci riconosce e né intende farlo. Per cui perché dovremmo fermare i migranti qui da noi?”

L’ennesima reiterazione del ricatto libico all’Europa risulta tanto più efficace con l’Italia che ha sempre subito i flussi di immigrati clandestini, incoraggiandoli con operazioni come Mare Nostrum e Triton, e rinunciando a respingere fin dall’inizio sulle coste libiche i clandestini. Respingimenti che avrebbero scoraggiato i flussi migratori, azzerato il giro d’affari dei trafficanti e negato a governi e fazioni libiche la possibilità di ricattarci.

Tripoli aveva già attaccato l’Italia il 26 settembre scorso, quando il  presidente del “parlamento” islamista, Nuri Abu Sahmain, accusò le “forze speciali italiane” di aver ucciso Salah Al-Maskhout, il presunto capo di una milizia di Zuwara considerato vicino allo stesso Sahmain e indicato dai media libici come il boss degli scafisti nella città portuale da dove salpano gran parte dei barconi.

Difficile dire se una svolta nella crisi libica sia davvero in vista, ma di certo vi sono troppe manovre in atto tese a emarginare Roma per non sospettare che dietro all’aggressività libica vi siano anche alcune potenze europee, interessate come già nella guerra del 2011 a sottrarre all’Italia influenza e affari in quella che un tempo era la nostra “quarta sponda”.