Libia, la crisi in cui nessuno vuole entrare
La crisi dell'immigrazione non può essere risolta senza una stabilizzazione della Libia. Il paese nordafricano è tuttora diviso fra i governi di Tobruk e Tripoli, in lotta fra loro. Non accettano compromessi per formare l'unità nazionale e della loro lotta si avvantaggia il terzo partito: l'Isis. Ma né l'Italia, né l'Onu, né l'Ue intendono intervenire.
Alla sempre più grave situazione in Libia l’Italia risponde solo con le chiacchiere e con molti litigi politici interni. Circa questi ultimi l’insoddisfacente risultato conseguito dal Pd renziano alle ultime elezioni regionali ha indotto l’opposizione (dal M5S alla Lega al Centrodestra) a cavalcare l’onda del malcontento popolare per i crescenti flussi di immigrati clandestini che, a dispetto delle tante chiacchiere sulla lotta ai trafficanti, il governo continua ad accogliere impiegando la flotta italiana (più le navi irlandesi, tedesche, francesi e britanniche che comunque sbarcano i clandestini in Italia) come fosse una compagnia di traghetti.
"Oggi i nostri nemici sono i trafficanti di uomini e le vittime sono coloro che da essi non si possono difendere" ha detto ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, nel suo intervento per la festa della Marina Militare, sottolineando che proprio la Marina è in prima linea contro gli scafisti. Dallo scorso marzo, nell'operazione Mare Sicuro, ne sono già stati arrestati 125 e circa un migliaio dall’autunno 2013 quando prese il via l’operazione di soccorso Mare Nostrum ma si tratta di semplici scafisti. Pesci piccoli che per la gran parte non sconteranno alcuna pena nelle carceri italiane e molti di loro sono infatti già tornati al loro lucroso “mestiere”. Ridicolo spacciare gli scafisti per i trafficanti, cioè per coloro che guadagnano milioni di euro a settimana con i barconi di clandestini, che andrebbero combattuti azzerando i loro guadagni respingendo i clandestini e con azioni militari mirate contro i loro capi, farabutti per lo più in combutta con i terroristi islamici.
Il ministro Pinotti li ha definiti "mercanti di morte capaci di organizzare, addirittura nello stesso giorno, sette barconi e otto gommoni pieni fino all'inverosimile, imbarcazioni di soli 15 metri con almeno 350 persone ammassate su ognuna di esse. Oggi un'altra guerra è in corso e i nostri nemici sono i trafficanti di uomini" ha aggiunto la Pinotti senza spiegare perché se i trafficanti sono “nemici” e c’è una “guerra in corso” l’Italia invece di combattere impiega le Forze Armate per aiutare il nemico ad arricchirsi e rafforzarsi.
Di contrasto agli scafisti ha parlato nel suo intervento anche il Capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano. "Ci auguriamo che la missione europea che partirà nelle prossime settimane - ha detto - serva davvero a risolvere il problema dell'immigrazione e della sicurezza del Mediterraneo. Il comando affidato ad un nostro ammiraglio è un riconoscimento all'Italia e all'impegno italiano".
Sarà anche così ma finora di questa missione non è emerso nulla di certo. Non si sa che tipo di intervento armato autorizzerà l’Onu (quando e se lo autorizzerà) e per ora nessun Paese Ue ha ufficialmente aderito con proprie navi alla missione Eunavfor Med) e si può stare certi che in caso di operazione con connotati aggressivi ben difficilmente francesi, tedeschi e britannici porranno le proprie navi sotto il comando italiano.
All’infinita e sterile polemica italica sull’emergenza immigrazione, risolvibile in tempi brevi solo intervenendo a ridosso delle coste libiche con i respingimenti assistiti dai nostri militari, si aggiunge l’inconcludente balletto dei negoziati gestiti dalle Nazioni Unite per giungere alla formazione di un governo libico di unità nazionale che autorizzi la comunità internazionale a combattere i trafficanti di esseri umani e soprattutto combatta lo Stato Islamico che sta ormai controllando due importanti regioni del Paese nordafricano.
Il quarto e forse ultimo tentativo dell'inviato dell’Onu Bernardino Leon di mettere d'accordo i due governi libici rivali (quello laico e riconosciuto dal mondo con sede a Tobruk e quello islamista a Tripoli) si è arenato di fronte al no del Parlamento di Tobruk alla formazione di un governo di unità nazionale con i nemici Salafiti e Fratelli Musulmani di Tripoli. Del resto un’intesa tra le due compagini, anche se venisse dichiarata in sede negoziale, avrebbe ben poche possibilità di risultare credibile e venire realmente osservata.
Della diatriba beneficiano i miliziani dell’Isis che dopo essersi consolidati a Derna hanno allargato l’area sotto il controllo nella regione di Sirte occupando un’importante centrale elettrica e conquistando almeno 150 chilometri di fascia costiera a est e ovest della città natale di Muammar Gheddafi dopo aver sbaragliato e indotto alla ritirata le milizie di Misurata che rispondono al governo di Tripoli. Una conferma della superiorità tattica dei miliziani del Califfato, veterani della guerra in Siria, rispetto ai raffazzonati miliziani libici.
Per far fronte all’ampliamento delle aree sotto il controllo dell’Isis il governo italiano ha chiesti nei giorni scorsi alla Coalizione a guida statunitense che combatte (o per meglio dire dovrebbe combattere) lo Stato Islamico in Iraq e Siria di estendere le operazioni alla Libia. Da Washington, come prevedibile, non è giunta nessuna risposta ma non c’è dubbio che se Roma avvertisse per davvero il grave pericolo che sta insediandosi alle porte di casa nostra potrebbe inviare una parte delle tante costose e ben armate navi da guerra impiegate per raccogliere clandestini a bombardare le milizie jihadiste a Sirte e Derna senza il bisogno di chiedere permesso a nessuno considerata l’assenza di un governo libico rappresentativo.
Quanto ai negoziati la decisione del Parlamento di Tobruk potrebbe non essere definitiva poiché vi sarebbero visioni differenti tra deputati, governo e militari ma la questione verrà riesaminata dopo il rientro da Berlino di una delegazione del governo (sostenuto da Egitto, sauditi ed Emirati Arabi Uniti che stanno armando l’esercito del generale Khalifa Haftar) che nella capitale tedesca incontrerà i rappresentanti degli Stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il Palazzo di Vetro attende l’esito dei negoziati tra le parti libiche pe dare via libera alla missione europea contro i trafficanti ma nella partita potrebbe entrare pesantemente la Russia che intende forse barattare il suo voto (o il non veto) con contropartite sul terreno delle sanzioni europee e della crisi ucraina. Non a caso incontrando Matteo Renzi all’Expo’, Vladimir Putin ha ricordato le colpe dell’Occidente per il caos libico con la guerra contro il regime di Muammar Gheddafi del 2011 ribadito la contrarietà di Mosca a un intervento militare internazionale in Libia.