Libertà di parola assoluta? Non proprio
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Dalla rivoluzione francese al manifesto contro Calabresi passando per il genocidio in Rwanda. Non sempre la libertà di espressione è sinonimo di vera libertà. La storia insegna. Appunti per tutti, anche per i catto-destri.

Anche per il caso del vigliacchissimo omicidio di Charlie Kirk i destri e/o i c.d. liberali si sono divisi. C'è chi come Trump vorrebbe la pena di morte per l'assassino e chi no. Ma la divisione sta soprattutto a proposito della vendetta trumpiana contro i miserabili che hanno plaudito al misfatto o, più moderatamente, asserendo che la vittima se l'è cercata. Negli Usa - da questo punto di vista più seri di noi - ancor prima che The Donald aprisse bocca i direttori dei giornali e i manager datori di lavoro degli sciacalli si sono affrettati a licenziare le jenae ridentes.
E subito a destra si è mugugnato: «Ah, ma così si usano gli stessi metodi dei cattivi!», o «la libertà di parola deve rimanere sacra!», ac similia. Be', intanto va detto che liberali sono conservatori adesso, dopo essere stati sorpassati da ben altre sinistre: infatti, quanto a repressione del dissenso non li superava nessuno nell'Italia di Porta Pia, e solo - guarda un po' - col Concordato mussoliniano i cattolici poterono respirare.
Per quanto riguarda invece i catto-destri (di cui faccio parte anch'io), vorrei dire loro: non siate ingenui e seguite i moniti, a tal proposito, di san Josemaría Escrivá de Balaguer nel suo Cammino. Senza scomodare il genocidio ruandese del 1994, che cominciò grazie alla “libertà di espressione” di una radio privata, ricordiamoci che, da noi, gli Anni di piombo furono preceduti, e preparati e, ma sì, provocati, da una “campagna di odio” che culminò nel famoso appello degli 800 “intellettuali” contro il commissario Calabresi. Che qualcuno prese sul serio, com'è noto.
Anche alla Rivoluzione Francese, madre di tutti i totalitarismi e conseguenti genocidi, la strada verso il Terrore fu spianata dalle parole, le tonnellate di pamphlets volterriani che il pavido Luigi XVI non ebbe il coraggio di arrestare. Lo storico - miliare - Pierre Gaxotte scrisse senza mezzi termini che con un intervento dei moschettieri reali al momento giusto l'Europa si sarebbe risparmiata il bagno di sangue che seguì, guerre napoleoniche comprese.
La libertà di stampa fu proprio la prima delle richieste giacobine che l'ingenuo Luigi XVI concesse perché gli pareva cosa buona e giusta. E si sa com'è finita. Perciò la domanda delle cento pistole è questa: è sensato lasciare libertà di parola a chi vuol toglierla agli altri e lo dice pure chiaro? A chi, la storia insegna, non esita a passare dalle parole ai fatti quando si accorge che le parole non sono sufficienti a zittire chi la pensa diversamente?
A Trump hanno sparato due volte, con Kirk ne è bastata una. Pensiamo, noi italiani, di essere al sicuro perché gli americani sono tutti armati e noi no? Ma i coltelli sono in libera vendita, e anche i camion e le auto, come ben sanno quei poveracci caduti per mano di integralisti islamici, che non sono dem né comunisti ma anch'essi della libertà di espressione approfittano per chiudere la bocca a chi non la vede come loro.
Prevengo l'obiezione: allora, che voglio, uno stato di polizia? Non è questo che dico e non spetta a me decidere, io sono uno scrittore, non un politico: provideant consules. I cittadini votano per stare, come dice sant'Agostino, nella “tranquillità dell'ordine”. Trovino i politici il modo. Sennò vadano a casa prima che si comincino a piangere altri innocenti.