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EDUCAZIONE

Liberalizzare la scuola. Ecco come

L'introduzione della libera concorrenza fra statali e paritarie è la chiave per rilanciare la formazione in questo Paese, oggi costosa e inefficiente.

Attualità 03_02_2012
scuola

Nel suo recente editoriale, Gianfranco Fabi concludeva con questa domanda del tutto legittima, anche se provocatoria: ”…si è parlato tanto di liberalizzazioni, perché non si parla di sostenere una scuola libera, di qualità, in diretta concorrenza, ad armi pari, tra pubblico e privato?”

Ci sono due motivi principali, che si rafforzano a vicenda, che impediscono di parlarne di liberalizzazione della scuola.


Il primo è la “statolatria” che ci ricordava il 1° febbraio Mario Palmaro nel suo editoriale e che nell’ambito della scuola non ha mai  mollato la presa: la scuola, per motivi diversi a seconda che si tratti degli ideologi di stampo marxista o dei tecnocrati di stampo liberale (leggi “massoni”), deve essere statale; l’altra scuola, quella che, con un certo disprezzo, viene ancora definita “privata”, (mentre una legge dello stato, dal 2000, la definisce “paritaria, cioè pubblica non statale”) per i marxisti è quella dei ricchi, gli unici che possono permettersela (e lo Stato conferma questa erronea convinzione introducendo l’iscrizione dei figli in scuole paritarie come voce nel redditometro fiscale), mentre per i “massoni” è la scuola dei preti, quella non pluralista, e via rimestando nel vecchio armamentario anticlericale.

L’altro motivo è il numero di italiani che potrebbero subire il contraccolpo della liberalizzazione nel settore dell’istruzione. Se anche il numero di taxisti e farmacisti è notevole, quello dei dipendenti della pubblica istruzione è enorme e uno smantellamento del sistema ricadrebbe su poco meno di un milione di persone e le rispettive famiglie.

Può sembrare ridicolo parlare di privilegi a proposito del corpo docente italiano, data l’entità degli stipendi in rapporto a quelli dei colleghi europei, ma come definire il fatto che la conquista del posto di ruolo nella scuola statale vale come un incarico a vita?
E’ un mito, con solide fondamenta nella realtà, che l’insegnante di scuola statale “non può essere licenziato”, praticamente mai e quindi l’assunzione a dipendente pubblico, nel caso della scuola, è per sempre, con pensione garantita.

Ma proviamo a immaginare una situazione diversa, anche se, dopo quanto scritto potrà apparire un po’ surreale, ma non così tanto da impedire che sia, in larga misura, realtà quotidiana in altri paesi dell’Unione Europea.

Partiamo dal dato che la scuola statale, così com’è, costa troppo e non dà i frutti che tanto impegno finanziario farebbe sperare. Senza voler diminuire di un euro quanto ora si spende da parte dello Stato, quel che andrebbe fatto sarebbe stimolare, in un regime davvero concorrenziale con la scuola paritaria, il miglioramento della qualità e, quindi, dei risultati, intendendo per “risultati” alunni capaci di dare un senso alla propria esistenza perché messi in grado di realizzare la propria vocazione, qualunque essa sia.


Cosa dovrebbe accadere?

Sul piano della spesa, aldilà della possibilità di detrarre i costi della scuola paritaria per i genitori che vi iscrivono i propri figli (altro che redditometro!), ci sarebbero due possibilità, non alternative, ma complementari:

- buono scuola assegnato dallo Stato alle famiglie non abbienti, con libertà di spenderlo dove più gradiscono (scuola statale o non statale). L’importo potrebbe essere calcolato avendo come base la spesa procapite di un alunno di scuola statale, che, attualmente, è superiore a quella di un alunno di scuola paritaria;

- obbligo per le famiglie economicamente più dotate di contribuire al pagamento della retta della scuola frequentata dal figlio, anche se si tratta di una scuola statale, in misura progressiva sulla base del reddito, ovviamente detraibile in sede di dichiarazione dei redditi.

Con questo sistema, l’intera comunità si accolla, attraverso lo Stato,  il costo dell’istruzione di chi non ha il denaro per permetterselo e viene garantito a tutte le famiglie il diritto di scegliersi la scuola che preferiscono.


Sul piano normativo, liberalizzare significherebbe, a questo punto, dotare la scuola statale di strumenti adatti  a migliorarne la competitività con quella non statale e, per entrambe, statale e non statale, liberarle dai lacci che la burocrazia e la noia hanno teso implacabilmente in questi decenni a docenti e studenti.


Questo significherebbe:

- eliminazione del valore legale del titolo di studio: il valore del titolo verrà dalla bontà della scuola che lo rilascia, dalla sua capacità, cioè, di preparare adeguatamente gli alunni al lavoro o all’università. Più la scuola si dimostrerà efficace, più sarà scelta dagli utenti, più i diplomati di questa scuola saranno richiesti dai datori di lavoro;

- di conseguenza, anche i docenti saranno scelti dai dirigenti  delle singole scuole, anche quelle statali, sulla base delle loro qualità di educatori e di insegnanti, non più sulla base del titolo di studio acquisito. Sparirebbero graduatorie e precari;

- i docenti più ricercati sarebbero meglio retribuiti: ciò innescherebbe una spirale emulativa in grado di trasformare la professione docente in un lavoro economicamente appagante e socialmente rivalutato;

- scomparirebbe la corruzione con la scomparsa del valore legale del titolo; anzi, le scuole avrebbero tutto da guadagnare dalla nomea di serietà negli studi e sarebbero scelte proprio per questo. Scomparsa dei diplomifici;

- i giovani docenti potrebbero essere “formati” professionalmente dalle singole scuole, anche pescando dal vivaio dei propri studenti: la scomparsa del titolo con valore legale per accedere alla professione docente, faciliterebbe tirocinio sul campo e immissione lavorativa dei giovani con la vocazione docente;

- fatto salvo lo standard di apprendimento previsto dalla legge per i gradi inferiori dell’istruzione,  la scuola media e superiore potrebbero dotarsi di piani di studi autonomamente elaborati e, se efficaci, premiati dal gradimento delle famiglie che le scelgono, dagli studenti che le frequentano e dall’apprezzamento del mondo del lavoro;

- le scuole si consorzierebbero, per ottimizzare i costi, scambiare conoscenze e buone pratiche, concertare percorsi didattici complementari in sedi periferiche e disagiate, per diversificare e  raggiungere meglio gli obiettivi formativi che si propongono e gareggiare alla pari in termini di qualità, con scuole dei grandi centri urbani. Scomparsa della scuola di serie B.

Quindi, a buone scuole che si danno da fare costantemente per migliorarsi, al fine di acquisire e mantenere iscrizioni, corrisponderebbero alunni ben preparati e motivati a frequentare con piena soddisfazione, anche se con sacrificio, le scuole che i genitori, a ragion veduta e non assillati da problemi finanziari, hanno scelto per loro.

E, infine, la scuola tornerebbe ad essere un luogo dove si incontrano, in piena libertà, due volontà, quella di chi vuole insegnare, davvero, quel che insegna e quella di chi vuole imparare, davvero, quel che studia.