Libano, dopo il Papa tornano droni, bombe e un po' di dialogo
La presenza di Leone XIV ha rivelato al mondo un popolo libanese che in virtù della prorpia fede e speranza non si lascia piegare da una situazione politica, economica e militare molto difficile. Le risposte del Papa sul conflitto che coinvolge il Libano.
da Beirut
«Erano uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; altri, raggiungendo chi gli andava innanzi, si accompagnava con lui; altri, uscendo di casa, si accozzava col primo che rintoppasse nella via; e andavano insieme, come amici ad un viaggio convenuto. Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! .. Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra?» In cammino verso la Santa Messa celebrata il 2 dicembre dal Santo Padre a Beirut ci siamo ricordati delle parole che Manzoni fa dire all’Innominato nei Promessi Sposi alla vista del popolo festante che corre ad accogliere il cardinal Federigo Borromeo, in visita pastorale in quei paraggi. Lo spettacolo della folla che in allegro disordine martedì di buon mattino correva verso il lungomare della città, desiderosa di incontrare il Papa, aveva qualcosa di realmente commovente.
A completare il quadro di un popolo impregnato di fede e speranza sincera nella parola, nell’aiuto del Papa non poteva mancare l’Innominato, o meglio gli Innominati: Israele e Hezbollah, i grandi rimossi del discorso papale in Libano. Immediatamente dopo la partenza del Santo Padre per Roma i nodi sono cominciati a venire al pettine; con precisione cronometrica, prima ancora che l’aereo papale decollasse, i droni israeliani MK sono tornati a ronzare su Beirut, avvertiti da Sin el Fil ad Adlieh, da Bourj Hammoud al grande albergo dove in occasione della visita apostolica è stata allestita la sala stampa. «Il Papa dovrebbe restare un po’ tra noi: in quattro mesi il Libano diventerebbe pacifico come la Svizzera» scherza, ma non troppo, un collega trentacinquenne beirutino armeno.
Frattanto sul volo verso Roma alcuni degli 81 giornalisti presenti hanno sollecitato il Santo Padre su temi urgenti per il Libano che nei discorsi ufficiali non sono venuti fuori. Joe Farchakh del media libanese LBC International ha chiesto al Santo Padre - che nel volo da Istanbul a Beirut aveva definito il Vaticano «amico di Israele», se nei suoi incontri con le autorità degli USA e dello Stato Ebraico chiederà di fermare le aggressioni israeliane contro il Libano, e se una pace tra i due Paesi è concretamente possibile. «Prima di tutto sì, penso che una pace sostenibile sia possibile», ha risposto Leone XIV. «Ho già avuto conversazioni con leaders dei Paesi che ha menzionato e intendo continuare a farlo, personalmente o attraverso la Santa Sede. Abbiamo relazioni diplomatiche con la maggioranza dei Paesi della regione e spereremmo di continuare a promuovere la pace di cui ho parlato dopo la Messa», ha concluso.
Imad Atrach di Sky News Arabia ha chiesto se il Vaticano farà qualcosa di concreto in merito alle negoziazioni a cui il Santo Padre ha invitato il Libano alla fine della Messa. «Il nostro lavoro non è in prima battuta una cosa pubblica che dichiariamo per le strade, è un po’ dietro le quinte. È una cosa che già abbiamo fatto e continueremo a fare per convincere le parti a lasciare le armi, la violenza, e venire insieme al tavolo di dialogo», ha risposto il Papa. E riguardo alla lettera inviatagli da Hezbollah prima del suo arrivo, il Papa ha risposto: «Si, ho visto la lettera. C’è da parte della Chiesa la proposta che lascino le armi e che cerchiamo il dialogo. Ma più di questo preferisco non commentare in questo momento».
Durante l’incontro del Papa con i leader delle religioni presenti in Libano di lunedÌ 1 dicembre, il vice capo del Supremo Consiglio islamico sciita Ali al Khatib ha chiesto al Santo Padre di aiutare il Libano a porre fine agli attacchi israeliani. «Mettiamo la causa del Libano nelle Sue mani - così si è rivolto al Khatib al Papa -, in modo che, forse, il mondo ci aiuterà a salvaguardare il nostro Paese».
Questione di attualità perché già mercoledì 3 dicembre giungono notizie che l'esercito isareliano (Idf) ha sganciato alcune bombe sonore su Odaisseh, città sul confine particolarmente martoriata, e che droni israeliani stanno volando a bassa quota sui villaggi di Kawthariyat al Saiyyad, al Sharqiyeh and al Namiriyeh, sempre nei pressi del confine.
Azioni intimidatorie effettuate mentre nella base Unifil di Naqoura si tiene il quattordicesimo “incontro pentalaterale” tra alte autorità militari libanesi e israeliane (per il Libano il generale Nicolas Tabet, comandante del reparto di stanza a sud del fiume Litani) alla presenza dell’inviato Usa Morgan Ortagus, di delegazioni di Francia e Onu e, per la prima volta, di due uditori civili delle parti in causa, Simon Karam per il Libano e Uri Resnick per Israele. Al centro dell’incontro, come di quelli immediatamente precedenti, ci sono ufficialmente «i termini del cessate il fuoco»; nei fatti la signora Ortagus è tenuta a verificare e riportare i progressi dell’esercito libanese nelle operazioni di disarmo di Hezbollah, fortemente voluto dagli USA nonché da Israele stessa. La presenza ufficiale di un civile israeliano in territorio libanese sembra infrangere un tabù - la circostanza è difficile da interpretare, può essere un avvicinamento alla pace, come dichiara l’ambasciata Usa in Libano, o un ulteriore “piedino” dello Stato ebraico nel fragile, eppure così ambito, Paese dei cedri.
E nelle stesse ore il media Ici Beyrouth riporta trionfalmente la notizia secondo cui il Libano, grazie al suo presidente Joseph Aoun, sarebbe prossimo ad aderire agli Accordi di Abramo voluti dallo Stato Ebraico.
Ieri invece l'Idf ha sferrato una nuova campagna di bombardamenti aerei nel sud del Paese, centrando almeno quattro località allo scopo di «colpire edifici utilizzati da Hezbollah». Ma ieri era anche la festa di Santa Barbara, particolarmente sentita dai cristiani mediorientali di Libano, Siria, Palestina. I bambini, mascherati a piacere, girano di casa in casa cantando inni a “Hechlé Barbàra” e ricevendo in cambio dolci e piccole somme di denaro. Ne abbiamo incontrati diversi in giro per Beirut nel pomeriggio, mentre incuranti del ronzio del drone israeliano entravano cantando nei negozi, accompagnati dai genitori o da soli in piccoli gruppi. Quando la voglia di vivere e la speranza sono più forti della paura.

