L'eutanasia per depressione c'è già: la storia di Nichols
La precisazione della Corte costituzionale che ha sottolineato che, tra i requisiti per poter ricevere l’aiuto al suicidio ci sono le «sofferenze fisiche o psicologiche», ha già un'applicazione. In Canada un uomo, depresso e solo, è stato eutanasizzato e l'ospedale non ha fatto altro che comunicare l'applicazione del protocollo alla famiglia ignara.
Mai errata corrige fu meno indolore. Ci riferiamo alla precisazione con cui la Corte costituzionale ha sottolineato che, tra i requisiti per poter ricevere l’aiuto al suicidio, non ci sono le «sofferenze fisiche e psicologiche» bensì «sofferenze fisiche o psicologiche». Per render l’idea di cosa comporti detto solo apparentemente innocuo cambio di vocale, non c’è modo migliore che soffermarsi su un esempio concreto, ossia una vicenda di suicidio assistito motivato con sofferenze «psicologiche». Anche perché, manco a farlo apposta, è appena giunta dal Canada la cronaca di un caso che sembra fare proprio al caso nostro.
È la storia di Alan Nichols, un ex bidello canadese di 61 anni ucciso poche settimane fa. Se dovessimo scegliere un inizio per raccontare questa vicenda, lo potremmo trovare nella giornata del 22 luglio. Quel giorno, infatti, i parenti dell’uomo – per la precisione il fratello Gary - hanno ricevuto una telefonata scioccante da un medico che ha spiegato loro che, di lì a quattro giorni, Nichols aveva in programma una morte assistita presso il Chilliwack General Hospital, dove si trovava. È stata una conversazione breve e surreale, nell’ambito della quale il medico non ha fornito alcuna altra informazione, incluso il motivo sanitario per cui era stata programmata l’uccisione dell’uomo.
Diciamo subito che non parliamo di una persona dall’esistenza semplice. Nichols aveva infatti 12 anni quando, per la prima volta, fu sottoposto a un delicato intervento chirurgico (un tumore al cervello non maligno), viveva solo, soffriva di depressione ed era assistito principalmente da un altro fratello, Wayne, che andava a trovarlo una volta alla settimana per fare la spesa e aiutarlo in alcune commissioni. Non a caso le sue foto disponibili sul web lo ritraggono proprio con Wayne. Per quanto conducesse una vita di certo meno spensierata di altre, Nichols non era insomma abbandonato a sé stesso, anzi.
Per questo, quando Gary - che sapeva solo del ricovero, avvenuto a giugno dopo che il familiare era stato trovato a casa confuso e disidratato in seguito alla segnalazione di un vicino - ha saputo che il fratello era in attesa di essere ucciso, è stato colpito da incredulità e dolore: «Ero al lavoro ed ho iniziato a piangere. Non avrei mai pensato che Alan potesse arrivare a tanto. Soprattutto, mai avrei pensato che il suo desiderio di morte potesse essere accolto quand’anche lui ne avesse fatto esplicita richiesta».
Lo stupore dei familiari era dovuto al fatto che quando Wayne e Gary, qualche giorno prima, erano stati a trovare il fratello all’ospedale, lo avevano visto non solo in ripresa ma intenzionato a voler lasciare la struttura al più presto. Per questo, nonostante il pochissimo tempo, hanno tentato di fare il possibile per salvare Alan, ma purtroppo non hanno avuto alcun margine di manovra. Così, il loro fratello è stato ucciso secondo protocolli – si è scoperto poi – avviati già il 19 luglio.
La morte di Nichols era insomma programmata già da una decina di giorni, ma i parenti sono stati avvisati solo poche ore prima; a loro è comunque andata meglio che ai figli dell’olandese Godelieva De Troyer - uccisa nell’aprile 2012, a 65 anni, solo perché depressa e senza che i parenti ne fossero al corrente -, ma comunque il dolore è stato, comprensibilmente, enorme. Motivo per cui, oggi che il loro fratello non c’è più, costoro stanno facendo il possibile per veder chiaro su una vicenda che continua ad essere oscura.
Il certificato di morte di Nichols infatti, come immediata causa del decesso, parla di «morte assistita». I funzionari hanno inoltre elencato tre «cause antecedenti» connesse al decesso, tra cui un ictus, un disturbo convulsivo e una non meglio precisata «fragilità». Questo fa pensare a Wayne e Gary che il fratello Alan sia stato ucciso illegalmente, senza cioè un’adeguata giustificazione, dato che la legge canadese richiede, per la morte assistita, una «condizione medica grave e irrimediabile».
Ora, nell’auspicio ovviamente che sulla vicenda si possa fare chiarezza, non si può non intravedere in questa storia da film horror – in cui un uomo depresso viene ricoverato in un ospedale per un problema di salute e dopo pochi giorni ne esce morto per aver una richiesta suicidiaria di cui i suoi familiari non sapevano nulla – una immediata conseguenza di quello che può accadere in uno Stato in cui le «sofferenze fisiche o psicologiche» possono essere ritenute sufficienti per essere uccisi. Non sappiamo se di ciò siano consapevoli i giudici della Corte Costituzionale, ma speriamo lo possano essere i nostri parlamentari, gli unici ora in grado di porre degli argini, Alan Nichols docet, ad una deriva infernale.