Leone XIV: l'identità del sacerdote si rivela all'altare
Priorità della preghiera e necessità della dottrina nel messaggio del Papa al Seminario Maggiore di Trujillo, in Perù, fondato 400 anni fa e dove lui stesso è stato insegnante e direttore degli studi. Primo compito: «stare con il Signore», a partire dal Santo Sacrificio.
La formazione del seminarista e l'identità del sacerdote in una lettera di Leone XIV per il Seminario Maggiore Arcidiocesano “San Carlos y San Marcelo” di Trujillo, in Perù, che celebra il quarto centenario dalla fondazione e dove lo stesso Prevost è stato insegnante e direttore degli studi. Il testo, reso noto ieri, è datato 17 settembre, memoria di san Roberto Bellarmino.
Primo compito indicato dal Papa è «stare con il Signore, lasciarvi plasmare da Lui, conoscerlo e amarlo, per diventare come Lui». Di conseguenza, «prima di ogni altra cosa, è necessario lasciare che il Signore chiarisca le proprie motivazioni e purifichi le proprie intenzioni» per non scambiare la formazione con una corsa verso l'ordinazione «come se fosse un traguardo esteriore o una facile via d’uscita dai problemi personali». Al contrario è «un dono totale della propria esistenza». Per questo, «la vita in seminario è un cammino di rettifica interiore», permettendo «al Signore di esaminare i nostri cuori e di mostrarci con chiarezza le motivazioni delle nostre decisioni». Per non costruire sulla sabbia il discernimento del seminarista esige «sincerità davanti a Dio e davanti ai formatori». Per questo «la preghiera non è un esercizio accessorio; in essa si impara a riconoscere la Sua voce e a lasciarsi condurre da Lui. Chi non prega non conosce il Maestro, e chi non lo conosce non può amarlo veramente né configurarsi a Lui».
Insieme alla preghiera è «indispensabile» lo studio «affinché la fede diventi solida, ragionata e capace di illuminare gli altri». Ecco perché «la Chiesa ha sempre riconosciuto che l'incontro con il Signore ha bisogno di radicarsi nell'intelligenza e di trasformarsi in dottrina». Non è questione di «erudizione», bensì di «fedeltà alla propria vocazione». Il Papa supera la dicotomia tra dottrina e pastorale affermando che «il lavoro intellettuale, soprattutto quello teologico, è una forma di amore e di servizio, necessaria per la missione, sempre in piena comunione con il Magistero. Senza studio serio non c'è vero ministero pastorale, perché il ministero consiste nel condurre le persone a conoscere e amare Cristo e, in Lui, a trovare la salvezza».
«Preghiera e ricerca della verità non sono cammini paralleli, ma un unico cammino che conduce al Maestro», spiega il Papa, perché «una pietà senza dottrina diventa fragile sentimentalismo; la dottrina senza preghiera diventa sterile e fredda». Neanche la vita spirituale e intellettuale sono contrapposte, né parallele, «ma entrambe sono orientate verso l'altare, luogo in cui l'identità sacerdotale si costruisce e si rivela in pienezza. Lì, nel Santo Sacrificio, il sacerdote impara a offrire la propria vita, come Cristo sulla croce. Nutrendosi dell'Eucaristia, scopre l'unità tra ministero e sacrificio, e comprende che la sua vocazione consiste nell'essere sacrificio insieme a Cristo (cfr Rm 12,1). Così, quando la croce viene assunta come parte inseparabile della vita, l'Eucaristia cessa di essere vista solo come un rito e diventa il vero centro dell'esistenza».
È all'altare che «l'unione con Cristo nel Sacrificio eucaristico si prolunga nella paternità sacerdotale», riflesso della Paternità divina, che ne costituisce l'identità («essere padre non è qualcosa che si fa, ma qualcosa che si è») e ne ispira le azioni («gioisce quando i suoi figli crescono, soffre quando si perdono, attende quando si allontanano. Allo stesso modo, il sacerdote porta tutto il popolo nel suo cuore, intercede per esso, lo accompagna nelle sue fatiche e lo sostiene nella fede»), rendendo «visibile il volto del Padre, affinché chi incontra il sacerdote possa percepire intuitivamente l'amore di Dio». La paternità sacerdotale «si esprime in atteggiamenti di donazione»: celibato, obbedienza, povertà, misericordia, fortezza, nei quali «il sacerdote è riconosciuto come un vero padre, capace di guidare i suoi figli spirituali verso Cristo con fermezza e amore. Non esiste una paternità a metà, né un sacerdozio a metà».
Infine, l'esortazione a vivere «la fraternità e la comunione sacerdotale», indispensabili per realizzare tale paternità senza cedere «a pericoli molto concreti: la mondanità che offusca la visione soprannaturale della realtà, l'attivismo che stanca, la distrazione digitale che ruba l'interiorità, le ideologie che distolgono dal Vangelo e, non meno grave, la solitudine di chi cerca di vivere senza il presbiterio e senza il proprio vescovo». Prima di affidare i seminaristi a Maria e Giuseppe, «primi educatori del Sommo ed Eterno Sacerdote», Leone XIV conclude citando san Toribio da Mogrovejo: «Il tempo non è nostro, è molto breve, e Dio ci chiederà severamente conto di come lo abbiamo usato».

