Leone XIV dice basta a indigenismo ed ecologismo
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In un telegramma ai vescovi dell'Amazzonia, il Papa richiama la priorità dell'annuncio del Vangelo a tutti i popoli e condanna l'adorazione della natura. È un piccolo atto, ma una rivoluzione di linguaggio rispetto al Sinodo dell'Amazzonia e a papa Francesco.

Anche i popoli amazzonici hanno il peccato originale e la loro salvezza non sta nella Pachamama ma in Cristo. Con un breve telegramma alla Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA) firmato a suo nome dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, papa Leone XIV imprime un deciso cambiamento di indirizzo alla Chiesa tutta – non solo a quella amazzonica - sul tema dell’ecologia ma anche della missione della Chiesa stessa.
Lo fa con quello che ormai è il suo stile: non gesti eclatanti, annunci roboanti o svolte radicali che provocano rotture, ma correzioni piccole quanto significative che cercano di mantenere l’unità nel cambiamento di direzione.
In questo caso non si tratta di un atto magisteriale, e neanche di un messaggio diretto, ma di un telegramma appunto, neanche firmato personalmente, e che però con poche parole rappresenta una rivoluzione di linguaggio e di contenuti se appena si confronta con il documento finale del Sinodo sull’Amazzonia (2019) e con la successiva Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia (2 febbraio 2020).
Nel telegramma diretto ai vescovi dell’Amazzonia riuniti a Bogotà dal 17 al 20 agosto, Leone XIV ricorda le «tre dimensioni interconnesse nell’azione pastorale di questa regione: la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, il trattamento equo dei popoli che vi abitano e la cura della casa comune».
Già il primo punto segna un capovolgimento di prospettiva: sia il Sinodo del 2019 sia l’esortazione successiva si basavano sull’idea che l’Amazzonia sia una terra felice abitata da popoli che sanno vivere in armonia con la natura perché non ancora corrotti dalla civiltà occidentale. Da qui l’evidente inutilità dell’annuncio del Vangelo, la Chiesa deve piuttosto imparare da questi popoli e se proprio si vuole «dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte» (no. 26 di Querida Amazonia).
Leone XIV rovescia la questione, anche i popoli amazzonici hanno bisogno della salvezza che solo Cristo porta: «È essenziale che Gesù Cristo, nel quale tutte le cose si ricapitolano (cfr. Ef 1,10), sia annunciato con chiarezza e immensa carità tra gli abitanti dell’Amazzonia, di modo che ci impegniamo a dare loro il pane fresco e puro della Buona Novella e il nutrimento celeste dell’Eucarestia, unico modo per essere veramente popolo di Dio e Corpo di Cristo». Il «buon vivere» degli indigeni dell’Amazzonia, così tanto idealizzato, in realtà è una mistificazione, la «vita buona» è solo in Cristo. Annunciarlo «con chiarezza e immensa carità» significa tra l’altro smetterla con l’ideologia dell’indigenismo e del primitivismo che, contrariamente a quanto si vuol far credere, non rende affatto giustizia alla cultura indigena.
E a proposito di giustizia, è interessante il secondo punto sottolineato da Leone XIV, ovvero «la certezza, confermata dalla storia della Chiesa» che «laddove si predica il nome di Cristo, l’ingiustizia arretra in modo proporzionale, poiché (…) ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo scompare se siamo capaci di accoglierci gli uni gli altri come fratelli». La giustizia così descritta non è dunque quella sorta di rivendicazione sindacale che abbiamo visto tristemente testimoniata al Sinodo dell’Amazzonia.
A fare più rumore comunque è stato il terzo punto toccato da papa Leone, forse il più delicato, quello sull’ecologia. Va in soffitta (speriamo per sempre) il concetto paganeggiante di Madre Terra, perché anche il corretto rapporto con la natura è fondato sul primato di Dio che ha posto l’uomo al vertice del Creato affidandogli il compito di «amministratore premuroso»: così che «nessuno distrugga irresponsabilmente i beni naturali che parlano della bontà e della bellezza del Creatore, né, tanto meno, si sottometta ad essi come schiavo o adoratore della natura, poiché queste cose ci sono state date per raggiungere il nostro fine di lodare Dio e ottenere così la salvezza delle nostre anime (cfr. Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 23)».
Chissà se sia casuale questa citazione del fondatore dei gesuiti, di cui evidentemente il Papa gesuita si era dimenticato; fatto sta che essa segna un cambiamento di prospettiva radicale rispetto a Francesco sul tema dell’ecologia e dovrebbe anche significare, tra l’altro, che non dovremmo più aspettarci l’adorazione della Pachamama in Vaticano o porcherie simili.
La questione infatti non riguarda soltanto l’Amazzonia, ma tutta la Chiesa, considerata anche la centralità che l’ecologia (ma sarebbe più corretto dire l’ecologismo) ha avuto nel pontificato di Francesco.
Proprio per questo non bisogna però dimenticare quanto detto all’inizio: queste parole di Leone XIV sono il contenuto di un telegramma, dal punto di vista del Magistero hanno un valore minimo rispetto a un’enciclica (vedi la Laudato Si’) o a un’Esortazione apostolica (vedi la Laudate Deum), che oltretutto hanno favorito l’esondazione dell’ideologia ecologista nella Chiesa. Oggi sono innumerevoli le diocesi e gli istituti religiosi che investono risorse importanti per la transizione energetica o per la lotta ai cambiamenti climatici, che si preoccupano più di insegnare la raccolta differenziata che non i dieci comandamenti.
Invertire la tendenza, riportare i fedeli (e prima ancora i pastori) a una visione cattolica della natura, sarà un compito duro. Ci vorrà molto più che un telegramma o un discorso, sarà necessario un impegno profondo e costante per rieducare un popolo gettato nelle braccia del WWF e di Greenpeace.
Intanto vediamo quale sarà – se ci sarà – la reazione dei vescovi dell’Amazzonia.