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CORSA ALL'AFRICA

Le grandi potenze aiutano l'Africa, ma il continente nero affonda nei debiti

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La nuova "corsa all'Africa" è fra Usa, Cina e Russia. Con l'arrivo di Kamala Harris, vicepresidente Usa, in Ghana, è la terza visita importante da parte dei vertici americani, dopo Janet Yellen e Jill Biden. Il ministro degli Esteri russo ha compiuto il suo tour africano a gennaio. E la Cina è ormai una presenza costante. Gli Usa promuovono programmi di sviluppo, la Cina costruisce infrastrutture, la Russia fornisce sicurezza e vende armi. Tutti vogliono in cambio voti all'Onu e influenza. Ma i Paesi africani hanno imparato a chiedere sempre di più. E nonostante aiuti e investimenti, affondano nei debiti. 

Esteri 29_03_2023
Kamala Harris in Ghana

Il vicepresidente Usa Kamala Harris è in Africa per incontrare i leader di tre paesi: Ghana, Tanzania e Zambia. Un mese fa la first lady americana, Jill Biden, è stata in visita ufficiale in Namibia e Kenya e a fine gennaio il segretario del Tesoro Usa, Janet Yellen, aveva visitato Senegal, Zambia e Sudafrica.

Negli ultimi sei mesi gli Stati Uniti hanno intensificato i viaggi diplomatici nel continente e altrettanto hanno fatto Cina e Russia. I rappresentanti dei tre Stati hanno avuto colloqui con capi di Stato e ministri di diversi paesi sub-sahariani, quasi incrociandosi a volte, come è successo a gennaio in Sudafrica ed Etiopia dove sono arrivati e partiti a poche ore di distanza gli uni dagli altri. Persino il minuscolo Eswatini (fino al 2018, Swaziland), poco più di un milione di abitanti, è stato incluso in uno dei viaggi del ministro degli esteri russo Lavrov, a fine gennaio.

Si dice che sia in corso una nuova corsa all’Africa, ai suoi 54 Stati, alla quale partecipano superpotenze e paesi emergenti. L’obiettivo è assicurarsi l’accesso alle materie prime del continente, aprirvi mercati per i propri prodotti industriali, stabilire basi militari strategiche, ottenerne il voto alle Nazioni Unite, in sede di Consiglio di sicurezza e all’Assemblea Generale. Stati Uniti e Cina si contendono i governi africani puntando su finanziamenti, investimenti e prestiti in vari settori. La Cina si orienta soprattutto sulla realizzazione di infrastrutture e grandi opere, gli Stati Uniti su progetti di sviluppo in generale e di cooperazione umanitaria, seguiti in questo dall’Unione Europea. La Russia invece si è fatta strada nel continente prevalentemente offrendo aiuti militari. Fornisce istruttori militari e armamenti a una ventina di paesi. Metà delle armi importate in Africa nel 2022 sono state acquistate in Russia. In alcuni casi la voce “istruttori” va letta come “mercenari”, quelli del gruppo Wagner. Il governo della Repubblica Centrafricana in particolare regge alla pressione dei gruppi armati che da anni controllano gran parte del paese grazie a centinaia di mercenari che provvedono alla sicurezza della capitale Bangui.

A loro vantaggio Cina e Russia hanno un sapiente uso dei mass media con cui stanno tentando una sorta di “colonizzazione culturale” del continente e l’assicurazione di non interferire nelle decisioni dei governi e di non porre condizioni alla erogazione di prestiti e aiuti. Punto di forza degli Stati Uniti, e di tutti i paesi occidentali, è l’infinita disponibilità a rinegoziare e cancellare i debiti e a concedere sempre nuovi prestiti e doni, e inoltre la quantità di aiuti umanitari, sia di emergenza che permanenti sotto forma di servizi di base, molto apprezzati dai governi perché attenuano il malessere e quindi il risentimento popolare derivanti dall’estrema carenza di servizi pubblici.

Denaro, sotto forma di prestiti, finanziamenti, doni: è questa in sostanza la inesauribile, irresponsabile richiesta dei governi africani e tutti – Stati Uniti, Cina, Russia e gli altri paesi che intrattengono rapporti con l’Africa tra cui la stessa Italia – fanno a gara ad accontentarli continuando a concedere prestiti per miliardi di dollari a paesi già insostenibilmente indebitati, a rischio default o, come nel caso di Ghana, Mali e Zambia, che lo hanno già fatto. 39 Stati africani su 54 hanno aderito al Programma di riduzione del debito estero creato nel 2020 dal G20 e dal Club di Parigi per aiutare gli Stati a basso reddito gravati da un debito estero ritenuto eccessivo. Tuttavia i governi africani continuano ad accumulare debiti. Secondo l’Fmi (Fondo monetario internazionale), 23 Stati sub-sahariani sono troppo fortemente indebitati o rischiano di diventarlo. Solo l’intervento di istituti finanziari multilaterali e di sviluppo ha finora evitato ulteriori default. Persino la Nigeria, prima economia e primo produttore di petrolio del continente, ha un debito che nel 2023 si prevede possa raggiungere i 172 miliardi di dollari e per evitare il collasso economico è dovuta ricorrere negli ultimi anni a ripetuti prestiti da parte di Banca Mondiale e Fmi, l’ultimo dei quali pari a cinque miliardi di dollari.

Tra i paesi a maggior rischio di default c’è il Kenya che il presidente Sergio Mattarella ha visitato a metà marzo per rinnovare un impegno di cooperazione che ha definito “esemplare”, da replicare ovunque. Ha tessuto le lodi del Kenya e del suo governo portandolo a “esempio virtuoso di democrazia e modello di crescita virtuosa e sostenibile”. Ma il paese affonda nei debiti tanto che nel 2021, quando l’Fmi ha annunciato di aver approvato un nuovo prestito per 2,4 miliardi di dollari, alcuni cittadini hanno lanciato una raccolta di firme on line per chiedere all’agenzia Onu di non concedere altri fondi al governo. I promotori dell’iniziativa hanno pubblicato una fotografia dell’allora presidente Uhuru Kenyatta con una didascalia che diceva: “avvertiamo il mondo intero che questa persona non è autorizzata ad agire in nome e per conto dei cittadini del Kenya e che la nazione e le sue generazioni future non risponderanno di eventuali sanzioni a causa di prestiti da lui chiesti e a lui concessi”.