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DIRITTI UMANI

Le Damas de blanco che il Papa non potrà vedere

Scendono ogni domenica in piazza in silenzio, vestite di bianco, e puntualmente vengono arrestate per essere rilasciate dopo qualche ora. Sono le cattoliche Damas de Blanco: mogli, figlie e sorelle di detenuti rei solo di non essere comunisti. E che ci ricordano che a Cuba sui diritti umani non si fa un passo avanti.

Esteri 20_09_2015

Ne ha parlato tutta la stampa. Il regime castrista ha deciso di liberare 3522 detenuti per accogliere Papa Francesco in visita a Cuba. Quello che invece praticamente nessuno ha detto, nonostante la fonte sia la Reuters  , è che nel frattempo gli arresti per motivi politici continuano. Domenica scorsa, 13 settembre, la polizia cubana ha arrestato una cinquantina di persone. Cattoliche. Colpevoli di manifestare contro l’ipocrisia del governo. La scusa ufficiale è che, dopo la Messa nella chiesa di Santa Rita cui partecipano assieme ogni settimana, gli attivisti sono scesi in corteo abbandonando il percorso autorizzato.

Gli arrestati, strattonati e caricati a forza sopra i bus che li hanno deportati, erano praticamente tutti donne, esponenti del movimento Damas de blanco (dal colore delle vesti candide con cui manifestano), ovvero, mogli, figlie e sorelle di detenuti rei solo di non essere comunisti. A loro si erano uniti alcuni uomini dell’Unión Patriótica de Cuba. Il governo li considera sobillatori prezzolati da gruppi anticomunisti statunitensi, magari finanziati dal senatore conservatore di origini cubane Marco Rubio, oggi in corsa per la Casa Bianca nella fila del Partito Repubblicano. 

Ma la cosa ancora più sorprendente, soprattutto per il silenzio pressoché generale che l’avvolge, è che si è trattato solo dell’ultimo episodio di un rituale che va avanti da mesi. Dal giorno del disgelo tra Cuba e Stati Uniti, le Damas de blanco e altri attivisti scendono ogni domenica in strada per chiedere libertà e ogni domenica la polizia ne arresta un lotto. Circa 100 alla volta. Li rilascia magari dopo poche ore (ma non sempre) e la settimana successiva torna ad arrestarli. Secondo la Cuban Commission of Human Rights and National Reconciliation, nel solo mese di agosto gli arresti sono stati 768.

Le Damas de blanco danno infatti fastidio. Sono l’anima della nuova dissidenza cubana, sono un movimento distintamente cattolico, non perdono occasione per contestare la condiscendenza verso il regime del cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, arcivescovo di San Cristóbal de la Habana, e sono popolari. Tanto che quest’anno, da quando si è diffusa l’abitudine dei dissidenti di frequentare la Messa in silenzio, il numero degli arresti si è impennato. A fine giugno, don Tarcisio parroco della chiesa di Jesús Nazareno di Aguada de Pasajeros, nella provincia di Cienfuegos, ha persino espulso otto damas dalla Messa, ammonendole a non vestire più in chiesa il loro ben noto colore bianco giacché “antisociale”; e le damas, sempre mute e sempre bianche, hanno allora assistito alla liturgia dall’esterno. Le espulsioni comunque continuano

Fondate nel 2003 dall’ex insegnante di letteratura Laura Inés Pollán Toledo (1848-2011), le Damas de blanco sono famose per il gladiolo che ne simboleggia la resistenza pacifica e sono uno dei bersagli preferito del regime. Furono loro a essere incarcerate prima dell’arrivo a Cuba di Papa Benedetto XVI durante un violento assalto condotto dalla polizia il 18 marzo 2012. E clamoroso fu allora il caso di Sonia Garro Alfonso, finita dietro le sbarre assieme al marito Ramón Alejandro Muñoz e ad altri mentre si recava a Messa. Prima di liberarla il 9 dicembre successivo grazie alla forte pressione internazionale, il regime era riuscito a muoverle la generica quanto farneticante accusa di terrorismo.

Le 3522 promesse di liberazione di oggi sanno insomma di farsa. Anche perché dal 17 dicembre 2004 il regime ha arrestato 4mila persone per motivi squisitamente politici mentre tra quanti promette di liberare oggi non uno è un prigioniero politico. A dirlo è Ofelia Acevedo, vedova di Oswaldo Payá, il leader cattolico cubano che capitanava il Movimiento Cristiano de Liberación, morto in un incidente assai sospetto il 22 luglio 2012. La quale aggiunge: «Dopo l’annuncio della visita [di Papa Francesco] fin qui non si è prodotto nessun cambiamento positivo per il popolo cubano. La mancanza di libertà mantiene i cubani immersi nella povertà, oltre alla situazione di ingiustizia per l’assenza di diritti che ha provocato danni immensi. La situazione al momento è la stessa. A Cuba non c’è libertà religiosa. C’è l’Ufficio degli Affari religiosi del Comitato centrale del Partito comunista (l’unico partito politico riconosciuto a Cuba), legato alla Sicurezza dello Stato (la Seguridad), che si incarica di monitorare, intervenire, confiscare, perquisire, convincere e minacciare ogni membro della Chiesa le cui opinioni o comportamenti dispiacciano al governo dei Castro. Costoro hanno la competenza e il permesso di intervenire e controllare in qualsiasi momento qualsiasi aspetto della vita ecclesiale a Cuba che non soddisfi il Governo. La Chiesa inoltre non ha accesso ai mass-media, le famiglie non possono scegliere una educazione cristiana per i figli, perché non esiste. L’attuale dirigente dell’Ufficio degli Affari religiosi del Partito comunista ha chiarito, in vista della prossima visita del Papa, che l’educazione religiosa è stata eliminata dalla Rivoluzione».

Del resto, quando san Giovanni Paolo II (1920-2005) visitò Cuba nel 1998 Fidel Castro rilasciò 300 prigionieri prima della visita e lo stesso fece nel 2012 suo fratello Raúl liberando quasi 3.100 per salutare l’arrivo di Papa Benedetto XVI. Ma, in entrambi i casi, le prigioni tornarono a riempirsi subito dopo, anzi, come detto, nel 2012 anche prima