L'atteso crollo dei "cinepanettoni"
Oggi il genere si è fatto più casto.
Per questo piace meno? Intanto gli americani mostrano di sapere ancora di parlare di poltica con passione.
Sono in molti a salutare con soddisfazione l’elemento più evidente degli incassi cinematografici del periodo natalizio: il crollo dei "cinepanettoni".
Fenomeno tutto italiano, titoli guardati con un certo sussiego, le cui trame si somigliavano tutte (storie di coppie e amanti varie) che fino a pochi anni fa incassavano senza sforzo (un esempio: Natale a New York del 2006 con Christian De Sica già separato da Massimo Boldi, il primo week-end portava a casa 3.700.000 euro, e chiudeva a 23 milioni e mezzo), ora hanno risultati risibili, se paragonati a quel periodo; l’attuale Vacanze di Natale a Cortina, regista sempre Neri Parenti, il primo week-end ha incassato 1.650.000 euro e si dubita possa superare ormai i 10 milioni.
Il paradosso è che nel frattempo il prodotto si è “ingentilito”, come non hanno mancato di ricordare gli autori: meno parolacce, niente rumori intestinali, nessuna esibizione di parti intime femminili. Forse che il pubblico preferiva uno stile più pecoreccio? Probabilmente la questione è altrove. La ripetitività delle storie non è compensata dalle interpretazioni o dalle variazioni sul tema; anche se ogni anno si cerca di inserire nuovi attori (e questa volta bisogna riconoscere che Ricky Memphis e Dario Bandiera tengono in piedi i rispettivi episodi), questo genere di film si riduce a una serie di scenette assai poco legate l’una all’altra, nelle quali la parte macchiettistica di De Sica si ripete sempre più stancamente (e Sabrina Ferilli, ormai ridotta al campionario della chirurgia plastica, è sempre più impresentabile).
Stesso discorso per i film di Leonardo Pieraccioni, costantemente incentrati (come nel presente Finalmente la felicità) sulle vicende dello scapolone dall’accento toscano che incontra, con vicissitudini più o meno divertenti, la donna della sua vita. È evidente il senso di dèja vu che assale lo spettatore anche meglio predisposto per certe commedie italiane: così anche la comitiva rumorosa che di solito segue questi film, quest’anno si è spostata senza grandi rimorsi sul sequel di Sherlock Holmes, che almeno assicurava grandi effetti, scene veloci e ben ritmate, e un cast di tutto rispetto; o addirittura su Il gatto con gli stivali, film “trasversale”, capace di accontentare e far ridere grandi e piccini.
E sì che la commedia italiana non è tutta da buttare, come ha confermato il grande successo nel 2011 di Immaturi, che mescola una storia semplice, ma azzeccata, a un cast di volti noti sul grande e piccolo schermo (e anche qui Ricky Memphis si conferma come uno degli attori più versatili del cinema italiano). Il film, scritto e diretto da Paolo Genovese (regista anche dell’ultimo film di Aldo Giovanni e Giacomo La banda dei Babbi Natale), vede proprio in questi giorni il suo sequel, Immaturi – Il viaggio, che tenterà di bissare il successo del primo film. Hollywood intanto incassa (e molto), ma come da un po’ di tempo a questa parte solo per quel che riguarda i sequel. Sarà per pigrizia o per paura, ma i blockbuster capaci di raggiungere un pubblico veramente mondiale sono solo le cosiddette “franchise”, che ripropongono per più uscite gli stessi protagonisti, che si chiamino James Bond, Sherlock Holmes, Batman o, come tra pochi giorni, l’agente Ethan Hunt, protagonista del quinto episodio della serie Mission: Impossibile. Sono film di cui il mercato ormai non può più fare a meno, esempi di un gusto mainstream che vive di enormi investimenti ed effetti speciali (il film con Tom Cruise appena citato non ha il 3D, ma è pensato anche per i giganteschi schermi concavi delle sale IMAX), affidati a professionisti capaci di cambiare mezzo, genere e tecniche senza alcuna difficoltà (sempre per restare su Mission impossibile, il regista Brad Bird è lo stesso delle animazioni Pixar Ratatouille e Gli incredibili). Ma non tutto è sparatorie e lanci nel vuoto.
Gli americani sono ancora capaci di parlare di politica in maniera appassionante (vedi Le Idi di Marzo di Clooney o J.Edgar di Eastwood) o di rivalutare grandi spy stories del passato (La talpa, dal romanzo di John Le Carré). Con quali titoli risponde la vecchia Europa? Innanzitutto con un film che tratta di temi di attualità – la crisi, i licenziamenti, il divario tra lavoratori precari e lavoratori integrati, la fine della solidarietà di classe: è il bellissimo film francese Le nevi del Kilimangiaro di Robert Guediguian, ancora in proiezione in alcune grandi città, altrimenti da recuperare nei cineforum o in dvd. Il regista, da sempre portavoce di un cinema politico e militante, ammette amaramente che certe utopie sono finite. Ma quando le idee non bastano a sanare le ingiustizie e i drammi della crisi, il cuore dell’uomo può sempre intervenire per fare quel che è giusto. Sempre dalla Francia, ma omaggio al cinema hollywoodiano dei pionieri, è The Artist: film muto e in bianco e nero, sembra provenire direttamente dagli anni ’20 del secolo scorso; chicca per cinefili, sa però anche emozionare, divertire, intenerire un pubblico che non si spaventi della forma originalissima e demodè. Proprio film che, assieme all’altro omaggio all’Europa di un regista americano (Midnight in Paris di Woody Allen), riavvicinano le sponde dell’Oceano e riconciliano lo spettatore.