L'ateneo del Papa e le simpatie per “Che” Guevara
La Lateranense e il gemellaggio con l'Università di Cuba: nel segno di un venerabile presto beato e del comandante Guevara. «Anche lui preoccupato del bene civile», dice il rettore. Dimenticando i morti ammazzati, l'odio scientifico e l'esaltazione della violenza di un simbolo terribile del '900, che neanche i nostalgici comunisti esaltano ormai più.
Il “Che” alla Lateranense, con 50 anni di ritardo rispetto alle università laiche. Quando si dice il tempismo vintage. Guardiamo a quello che ci unisce, non a quello che ci divide. Con questo sciagurato motivetto intere generazioni di cattolici sono cresciute lobotomizzate con il mito del dialogo a tutti i costi. Dialogo per la verità sterile e dannoso, perché se ciò che ci divide è determinante e centrale nella nostra vita, allora a che serve guardare le cose che ci uniscono? Saranno sempre di importanza minore.
Prendiamo i protestanti: se quello che ci divide è l’Eucaristia, allora che senso ha cercare le poche e flebili cose che ci uniscono? Insomma, la questione sembra semplice, ma semplice non è perché quando si devono mettere insieme le pere con le mele, ecco che torna il celebre motivetto. Anche in ambito accademico, luogo che dovrebbe avere una profondità di analisi un po’ più vasta.
Leggiamo da Zenit che la Pontificia Università Lateranense, la cosiddetta università del Papa, ha avviato un importante scambio culturale con l’Università de L’Avana, a Cuba.
Non spetta certo a noi fare le pulci ai gemellaggi di chicchessia, ma in che cosa consiste questo gemellaggio? E’ lo stesso rettore del prestigioso ateneo a spiegarlo all’agenzia cattolica: «È un passaggio storico. Nei prossimi mesi ci accorderemo sui dettagli del programma. Sono molto contento e fiducioso di questa opportunità». E su che cosa si basa? Su questo le cose sono ancora più fumose, ma qualche santo ci viene in aiuto. Dal Covolo ha citato infatti il venerabile cubano Josè Vandor, di origine ungherese ma cittadino cubano.«Ho portato avanti questa causa che ora è a un passo decisivo – ha spiegato il rettore -. Ora manca il miracolo per essere riconosciuto Beato». Ebbene. «Vandor era di Santa Clara, la città di Che Guevara. Proprio lì ha fondato un centro di educazione salesiana con una parrocchia e una scuola, che nel 1991 è passata al ministero dell’educazione cubana». Chissà poi perché è passato nelle mani dello Stato, ma sorvoliamo.
Ecco così creato il link di Dal Covolo: «Negli stessi anni vivevano a Santa Clara due personaggi molto diversi, Che Guevara e Vandor, con percorsi molto diversi e ideali differenti – ha affermato mons. Dal Covolo – ma entrambi preoccupati del bene della comunità civile. È una bella coincidenza e un richiamo opportuno alla collaborazione e al dialogo che dobbiamo continuare, al di là di quello che ci separa. Vale molto di più quello che ci unisce».
Bella coincidenza? Ora, si potrebbero liquidare le parole di Dal Covolo con una pernacchia al solo leggere della «preoccupazione comune al bene della comunità civile». Ma il quesito a questo punto è d’obbligo: ma certi ecclesiastici sono così perché sono comunisti o perché sono sciattamente vestiti da prete. Che cosa li spinge a dire la prima stupidata che gli passa per la testa per piacere al mondo e non avere quelle noiose grane della testimonianza e della fedeltà al Magistero? Ma chi ve lo ha ordinato di farvi preti se avete così fastidio per l’abito che portate?
Si può capire se una frase del genere fosse stata detta 40 anni fa in piena contestazione, ma oggi, con il crollo delle ideologie, con il disincanto, con tutto il popò di fallimenti che il comunismo e i comunisti si sono portati dietro di sé, che bisogno c’è di dare aria ai denti per il solo gusto di apparire proni ad un’idea di Chiesa che non ha costruito nulla di nulla?
Paragonare la preoccupazione per l’uomo che aveva un cristiano in procinto di salire gli altari con l’odio scientifico, demoniaco e seriale di un criminale tagliagole diventato simbolo massmediatico globale con il suo carico di sangue, è davvero un’operazione oltre che stupida anche da ritiro della rettoria. Quale parroco manderebbe il suo giovane prete in un’università dove Che Guevara viene paragonato ad un venerabile? Il giovane prete se ne tornerà al paesello con il basco in testa e il pugno chiuso alzato cantando gli Intillimani, tra l’altro fuori tempo massimo.
Forse monsignor Dal Covolo fa finta di non saperlo, ma gioverebbe a certi ecclesiastici faciloni e in malafede rinfrescare la memoria su chi sia stato Ernesto Guevara de La Serna, detto il “Che”, nomignolo che in Argentina vuol dire più o meno “Ehi tu”.
Lo facciamo prendendo a prestito la voce dedicata al “comandante” curata da Gianpaolo Barra nell’ottimo Dizionario del pensiero pericoloso, ultima opera di apologetica della famiglia del Timone.
Ecco che cosa diceva: «Appartengo a coloro i quali credono che la soluzione dei problemi di questo mondo si trovi dietro quella che viene chiamata la cortina di ferro»; «Arrivando in Unione Sovietica mi sono sorpreso perché una delle cose che si nota di più è l’enorme libertà che c’è […] l’enorme libertà di pensiero, l’enorme libertà che ha ciascuno di svilupparsi secondo le proprie capacità ed il proprio temperamento»; Basterebbe questo ma andiamo oltre. Guevara teorizzava «l’odio come fattore di lotta, l’odio intransigente per il nemico che incita ben oltre i limiti naturali dell’essere umano, convertendolo in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere»;
Superfluo dire che con questa logica il “Che” abbia ammazzato con le sue mani centinaia di oppositore politici. La foto che pubblichiamo qui lo ritrae proprio mentre sta giustiziando un povero Cristo dopo un sommario processo nella foresta. E ancora: «Non posso essere amico di qualcuno che non condivida le mie idee». Ma andiamo a concludere perché forse monsignore ha già capito. Così conclude Barra nel suo documentato mini saggio: «Nonostante goda di una fama quasi universale come guerrigliero romantico e liberatore di poveri e oppressi, Che Guevara è stato un uomo che professava idee comuniste e materialiste, in netta antitesi all’insegnamento della Chiesa. Si aggiunga che è stato un uomo duro, feroce, crudele e un vero e proprio assassino».
Adesso, di grazia, monsignore, ci dica quali sono le cose che la Lateranense ha in comune con el Che. Forse l’ideologica ottusità?