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FIDES ET RATIO

L'armonia fra fede e ragione nella scienza

«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità». L'enciclica Fides et Ratio, dopo 15 anni, è di un'attualità sorprendente nel dibattito scientifico.

Ecclesia 18_09_2013
Giovanni Paolo II

«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità». È questo il magnifico incipit dell’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II che dopo 15 anni (14 settembre 1998) appare di attualità e profondità sorprendenti. Il successivo pontificato di Benedetto XVI ha svolto molti dei punti critici di questa enciclica e anche la Lumen Fidei ha ribadito questa armonia innata tra ragione e fede.

Spesso la lettura di questo incipit della enciclica di Giovanni Paolo II è stata fatta in modo asimmetrico e riduttivo esaltando la ragione allo scopo di dare una qualche parvenza di dignità anche alla fede, comunque considerata un’ala più piccola o debole. In realtà la forza della affermazione è nel proporre una questione di metodo che riguarda la natura e la modalità stessa della conoscenza alla quale non si sottrae nemmeno quelle scientifica. La ragione è infatti sempre costretta ad aderire al dato reale “per fiducia” e questo rappresenta anche per lo scienziato il punto di partenza per la successiva verifica critica. Come dice l’enciclica «L'uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza. Nel credere ,ciascuno si affida alle conoscenze acquisite da altre persone» (Fiedes et Ratio n 31,32). È questa armonia, misteriosa e anche drammatica perché coinvolge la libertà, a permettere alle due ali quella sinergia che produce forza per il volo. Nessun volo è possibile con una sola ala e quando una delle due ali difetta anche il volo si fa molto difficile.

Questa stessa dinamica riguarda anche la ragione e la fede cristiana intesa come riconoscimento della verità rivelata da un testimone. Anche in questo caso «…la fede chiede che il suo oggetto sia compreso con la ragione e la ragione al culmine della sua ricerca ammette come necessario ciò che la fede presenta (Fides et Ratio, n. 42)». La fede dunque, lungi dall’essere una zavorra, è in grado di «provocare la ragione ad uscire da ogni isolamento e rischiare per tutto ciò che è bello, buono e vero. La fede si fa avvocato convinto e convincente della ragione (Fides et Ratio,n.56)». Per questo recita ancora l’enciclica «Quando la ragione è debole , la fede rischia di essere ridotta a mito o superstizione (Fides et Ratio,n. 48)». Il dialogo armonico tra ragione e fede è capace di valorizzare criticamente anche la ricerca scientifica che diventa in questa ottica un grande strumento per una conoscenza più profonda del mistero dell’uomo stesso come 50 anni fa scriveva la Gaudium et Spes: «il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà culturale. (Gaudium et Spes, n.57)».

Tuttavia se di fronte ai grandi passi della scienza questa dinamica suscita meraviglia, nel contempo essa pone sempre domande che riguardano il bello, il bene e il vero. Quando questa dinamica viene meno, le domande scompaiono e la ragione si confonde. Come sottolinea la Lumen Fidei, descrivendo bene un disagio esistenziale del nostro tempo «quando la luce della ragione non riesce ad illuminare il futuro l’uomo resta abbandonato all’oscurità e alla paura dell’ignoto(Lumen Fidei,n. 3)». Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica aveva messo in guarda da questo rischio quando scriveva «L'uomo d'oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di “alienazione”, nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono esser diretti contro di lui. In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua più larga ed universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo, sembrano impallidire (Redemptor Hominis, n.15)».

Oggi questo rischio è presente in certa ricerca della cosiddetta “biomedicina” laddove la persona appare secondaria al mercato, al successo, all’affermazione del potere della tecno-scienza sulla stessa natura umana. In tale panorama questa enciclica è un grande punto di riferimento non solo per chi ha la fede, ma anche per chi ha cuore l’uso corretto e costruttivo della ragione per il bene comune.