L'Arabia Saudita riaccende il conflitto con gli sciiti
Il 2 gennaio 2016 è il giorno in cui l’Arabia Saudita ha riacceso il conflitto sunnita-sciita a livello globale. Sono state compiute 47 esecuzioni capitali di "terroristi", fra cui anche lo sceicco sciita Nimr Baqir al-Nimr. La notizia ha subito provocato la frattura del mondo islamico.
SE FOSSI UNO SCIITA IN ARABIA SAUDITA di Tarek Heggy
Il 2 gennaio 2016 potrà essere ricordato come il giorno in cui l’Arabia Saudita ha ufficialmente e consapevolmente riacceso la miccia del conflitto sunnita sciita a livello globale.
La decisione di portare a compimento la condanna a morte di 47 persone accusate di “abbracciare un progetto di condanna di apostasia sulla base di idee kharigite che contraddicono il Libro sacro, la Tradizione islamica e l’accordo unanime degli antenati della umma, di diffonderlo con modalità devianti, di propagarlo con mezzi svariati”, accusate “di appartenere a organizzazioni terroristiche, di avere realizzato i loro propositi criminali” con vari attentati, di avere detenuto armi varie. Le 47 vittime sono accusate di finanziare il terrorismo, ma anche di “avere predicato al fine di diffondere il caos e di incitare alla violenza”, di “promuovere la sedizione”, di “fuorviare le persone”. Ed è questo il motivo per cui la sentenza e l’esecuzione di massa hanno indiscriminatamente etichettato come terroristi sia persone affiliate ad Al Qaeda sia attivisti e, ultimo ma non meno importante, il celebre shaykh sciita Nimr Baqir al-Nimr, arrestato l’8 luglio 2012 con l’accusa di avere commesso atti di banditismo.
Il 15 dicembre scorso l’Arabia Saudita ha lanciato la “coalizione islamica contro il terrorismo” che ha visto unirsi al Custode delle due Moschee Egitto, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Giordania, Yemen, Bangladesh, Benin, Ciad, Togo, Gibuti, Senegal, Sudan, Malaysia, Pakistan, Sierra Leone, Somalia, Gabon, Guinea, Palestina, Comore, Costa d'Avorio, Kuwait, Libano, Mali, Mauritania, Marocco, Libia, Niger, Bahrein, Tunisia, Nigeria e Maldive. Una coalizione che è stata accolta di buon grado ed è stata interpretata come un buon auspicio in primo luogo per la lotta contro lo Stato Islamico e il terrorismo internazionale. Purtroppo l’iniziativa saudita non ha fatto precedere né una definizione di terrorismo né ha voluto includere alcuno Stato che non fosse sunnita e inoltre ha precisato, ad esempio, che i Fratelli Musulmani non sarebbero stati obiettivi della campagna anti-terrorismo a venire. Era quindi prevedibile che la formazione guidata dall’Arabia Saudita fosse uno specchietto per le allodole in nome della guerra allo Stato Islamico e uno strumento per gestire tensioni e questioni interne e internazionali del regime dei Sa’ud, impegnati a Sud sul fronte yemenita, guidato dagli sciiti houthi, e sempre più deboli sul fronte interno che vede negli attivisti per i diritti umani e ancora una volta negli sciiti residenti nel ricchissimo nord-est del paese.
D’altronde la definizione di terrorismo fornita all’articolo 1 della legge anti-terrorismo saudita approvata il 16 dicembre 2013 è molto esplicita: «Qualsiasi atto criminale, conseguenza di un piano individuale o collettivo, diretto o indiretto, che miri ad attentare all’ordine pubblico dello Stato, o a fare vacillare la sicurezza della società o la stabilità dello Stato, o mettere a repentaglio l’unità nazionale o sospendere la legge fondamentale di governabilità e alcuni suoi articoli, o insultare la reputazione dello Stato o la sua posizione, o arrecare danno a una delle sue pubbliche funzioni […]». Inoltre il comunicato del Ministero dell’interno saudita che annuncia le esecuzioni cita i seguenti versetti coranici: “La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso” (Corano V, 33). “Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità” (Corano V, 32). “Chi uccide intenzionalmente un credente, avrà il compenso dell'Inferno, dove rimarrà in perpetuo. Su di lui la collera e la maledizione di Allah e gli sarà preparato atroce castigo.” (Corano IV, 93).
Questo è il motivo per cui blogger, avvocati per i diritti umani, vengono condannati proprio in base ad una legge antiterrorismo. E’ il motivo per cui lo shaykh Nimr, Imam della moschea al-Awamiyya a Qatif può essere definito un terrorista estremamente pericoloso: predicava la democrazia a livello globale, tanto da accusare e attaccare anche lo sciita Assad, ed aveva un grande seguito non solo in seno alla comunità sciita locale, ma anche a livello internazionale. La pericolosità delle sue idee e dei suoi seguaci per la stabilità del regno è stata confermata nei mesi scorsi dalla condanna a morte per crocifissione anche del suo giovane nipote Ali e dall’arresto di suo fratello Mohammad al-Nimr.
Le reazioni a livello internazionale alla notizia dell’esecuzione dello shaykh sciita preannunciano un inasprimento della frattura, ormai insanabile, tra l’asse sciita e l’asse sunnita. Iran, Yemen, Iraq hanno già condannato l’uccisione, proteste sono scoppiate a Qatif, in Bahrein, nel Kashmir. In alcune manifestazioni sono sventolate bandiere di Hezbollah ed è inevitabile che ripercussioni si abbiano anche nella grande Siria e in Iraq e ovunque interessi sauditi e sciiti vengano a confrontarsi. Nonostante il Gran mufti del Regno saudita, commentando l’esecuzione dei 47 detenuti, abbia parlato di "grazia ai prigionieri", in quanto la morte avrebbe evitato “loro di commettere altro male e di causare caos", i giorni a venire potrebbero confermare quanto l’Arabia Saudita sia oggi un gigante dai piedi di argilla che cela la propria fragilità con la crudeltà in nome dell’islam, che vuole rappresentare, ma che rischia l’autodistruzione poiché se un giorno tutti i nemici dei Saud, sunniti e sciiti, dovessero unire le forze, il caos si scatenerebbe in seno alla famiglia reale stessa che non è mai stata né unita né forte come vuole apparire.
Tutto ciò riguarda da vicino anche l’Europa non solo per via degli investimenti sauditi sul nostro territorio, ma soprattutto perché la settarizzazione del conflitto mediorientale, un’eventuale riapertura della questione della gestione dei luoghi santi dell’islam, metterebbero ancor più a repentaglio i precari equilibri del Medio e Vicino Oriente e renderebbero sempre più complessa la lotta contro il vero terrorismo, che ci riguarda da vicino.
SE FOSSI UNO SCIITA IN ARABIA SAUDITA di Tarek Heggy