L’Apôtre, un film contro la cristianofobia islamista
È nata a Valence, in Francia, nel 1976 da genitori che l’hanno abbandonata che aveva solo tre mesi, avendo però nel mentre trovato il tempo per maltrattarla. Si chiama Cheyenne Carron-Royer e oggi, a 38 anni, è una delle più originali registe-sceneggiatrici di Francia. Qui ci parla del suo film L’Apôtre.
È nata a Valence, in Francia, nel 1976 da genitori che non la volevano affatto e che quindi l’hanno abbandonata che aveva solo tre mesi, avendo però nel mentre trovato il tempo per maltrattarla. Si chiama Cheyenne Carron-Royer e oggi, a 38 anni, è una donna bellissima nonché una delle più originali e se vogliamo controverse registe-sceneggiatrici di Francia. Anzi, è un’artista polivalente, completa, che sa cimentarsi con gusto e talento anche con la scrittura e con la moda oltre che con la macchina da presa. Controversa lo è perché sa affrontare con nonchalance (che non vuole affatto dire con leggerezza) temi scottanti come quello che sta al centro del suo nuovo film, il quinto, L’Apôtre (clicca qui), uscito il 1° ottobre, assieme un bacio di dolcezza e un pungo nello stomaco.
Una famiglia di musulmani di origine algerina viene colpita dall’impensabile. Uno dei ragazzi, Akim, avviato a diventare imam, si converte al cattolicesimo. E, come i diversi altri maghrebini ex musulmani che conoscerà semiclandestinamente nel cuore di uno dei Paesi più disinvolti del mondo, viene braccato, pestato e insultato, spesso dagli amici più vicini e immancabilmente dal fratello integralista. È questa storia, che la regista si è inventata con grande facilità perché è uguale a mille altre vere che accadono tutti i giorni nel cuore dell’Occidente, a fare di lei una donna controversa, ma lo è anche il fatto che Cheyenne è una che a certe domande risponde d’un fiato con tanto di punto esclamativo: lei è cattolica? «Certamente!». La nuova famiglia che l’ha accolta l’ha circondata subito di grande affetto, ma soprattutto sempre di grande fede. Cattolica. Vera. Tenace. Una famiglia speciale, imperniata su una mamma catechista che a Cheyenne ha dato tanti fratelli e sorelle: due naturali e tre adottati come lei, di cui uno affetto da trisomia. Da ragazza Cheyenne non perdeva una Messa anche se non era battezzata, e uno dei fratelli (son ragazzi…) si ostinava sempre a dividere con lei l’Eucarestia anche se lei (Dio perdonerà certamente) la Comunione non poteva riceverla. Perché, vi chiederete, una famiglia tanto cattolica non aveva battezzato Cheyenne? Perché così stabilisce la legge francese: una famiglia che adotta non può imporre la religione all’adottato… Bisogna che questi diventi maggiorenne e decida da sé.
Oggi Cheyenne dice che per anni si è sentita straniera in casa propria, clandestina nella sua Chiesa. Poi è venuta l’adolescenza, e assieme le sirene che ingannano; quindi il cinema, e così altre sirene. A momenti, insomma, la bella Cheyenne la perdiamo. Ma ci ha pensato il buon Dio. Oramai maggiorenne, ha ripreso in mano vita e fede, si è fatta catechizzare e a 20 anni ha chiesto il battesimo. Chi immaginerebbe, vedendola in foto che pare una modella, lunghi capelli corvini, intrigante, che sia un’indomita “combattente di Cristo”? Un’artista controcorrente che con il cinema racconta il miracolo della conversione, il dramma della persecuzione, l’assurdità della cristianofobia?
Scusi l’ardire, Cheyenne, ma come fa una donna giovane e graziosa a conservare la fede in un mondo viziato com’è quello del cinema?
La fede è ciò che mi permette di andare sempre oltre, a ogni livello. È proprio la mia fede cattolica che mi aiuta a svolgere al meglio il mio mestiere, che mi fa essere ogni giorno migliore nella vita accanto al prossimo, quale che il prossimo sia. Contraddizioni tra “fare cinema” da cattolica e l’essere “giovane” e “graziosa”? Nessuna…
La cristianofobia, lei lo dice nei suoi lavori, è una minaccia, anche in Occidente…
Lo avverto io come lo avvertono molti altri. Penso però che la persecuzione sia una prova: permetterà ai cattolici di rafforzarsi e di guadagnare in fierezza. È importante che i cattolici ritrovino uno spirito combattente. La Francia? È la “figlia primogenita della Chiesa”. Oggi da noi la Chiesa viene spesso attaccata, ma i fedeli stanno incominciando a uscire dal torpore. Manifestano per le strade, sono capaci di dire “no” se serve... Sono segnali decisivi, questi. Noi cristiani dobbiamo tornare a essere più fieri della fede che ci anima. Nel mondo la gente rispetta solo chi si mostra sicuro e fiducioso di sé; se tutti i cattolici ritroveranno questa forza, allora il dialogo si rafforzerà. Anche con i musulmani.
Com’è nato il suo nuovo film, L’Apôtre?
Da molte ispirazioni. Ne rievoco la principale, un dramma che vissi a 19 anni. La sorella di un sacerdote del mio borgo fu uccisa. Strangolata dai figli dei suoi vicini di casa. Conoscevo quella donna, era di una bontà rara. Dopo la sua morte, il fratello restò a vivere in quella stessa zona per aiutare spiritualmente la famiglia di quegli assassini a tirare avanti pur con quel dolore in petto. Era una famiglia musulmana di origine marocchina. Le parole e i gesti di quel prete mi hanno segnata profondamente. Quel suo gesto di carità, così bello, è, nel mio film, il punto da cui prende avvio il desiderio di conversione del protagonista, Akim.
Un film coraggioso… come lo è lei…
Non ho paura di nulla; è ora che i cattolici smettano di avere paura. Certo non sono un’esperta d’islam, però conosco bene la mia fede cattolica. Nel cattolicesimo al cuore di tutto c’è Dio, che è amore. Noi cristiani non siamo sottomessi a Dio. Al contrario, Dio ha inviato il suo unico figlio, Gesù, per mettersi al nostro “livello” e tenderci la mano. Con il motore dell’amore, possiamo fare tutto; e rialzarci ogni volta che cadiamo.
Cosa significa testimoniare la fede anche attraverso l’arte?
Il mio lavoro creativo mi permette di crescere nella fede. Faccio film perché mi aiutano a crescere e forse persino ad avvicinarmi di più a cioè che è essenziale: Dio.
Progetti per il futuro?
Il mio prossimo film s’intitolerà Boloss. Parlerà di una forma di razzismo mai portata sugli schermi cinematografici: il razzismo contro i bianchi. La mia pelle non è né bianca, né nera, ma beige; non ho mai subito il razzismo dei bianchi o dei neri. Quindi ho la distanza giusta per trattarne serenamente. Esistono film magnifici sul razzismo contro i neri, ma nessuno sul razzismo che colpisce i bianchi anche in un paese come il mio, la Francia. Dunque tocca a me.