Laicità? Quella corretta ha bisogno del peccato originale
La visione corretta della laicità dal punto di vista cattolico ha bisogno della dottrina del peccato originale. Dato che questa dottrina è oggi piuttosto dimenticata, si capisce che i cattolici siano in confusione su questo punto.
Lasciamo da parte, in questa sede, la visione laicista della laicità, la visione atea, sia di tipo giacobino che di tipo liberale. So bene che non è affatto scontato che i cattolici non la accettino, anzi!, tuttavia non è questo il punto per queste note. Consideriamola sbagliata e mettiamo da parte il discorso per concentrarci su quanto ci interessa, ossia sulla visione, diciamo così, “corretta” della laicità.
Questa potrebbe essere riassunta nel seguente modo. La ragione naturale conosce con le proprie forze l’ordine delle cose e, con esso, la regola di vita che bisogna seguire per essere veramente uomini. L’acquisizione di questa morale naturale è laica, in quanto conosciuta dalla ragione senza l’ausilio della rivelazione o della grazia. Certamente non è indifferente alla verità della religione, però non è religione ma ragione e le sue conclusioni, almeno teoricamente, sono a disposizione di ogni uomo, di qualsiasi religione egli sia. Il piano della laicità, intesa in questo senso, sarebbe il piano della ragione naturale.
A questo piano si aggiunge quello religioso che, se si tratta della religio vera non confligge con il precedente piano della ragione, se invece si affida a religioni più o meno false, entra in conflitto con la ragione e finisce per negare alcuni o tutti i principi della morale naturale. In ogni caso, si tratta di una piano diverso, che conferma e sviluppa il piano naturale, stabilendo una relazione di collaborazione, ma che rimane distinto e successivo rispetto ad esso.
Questa visione della laicità a mio modo di vedere è astrattamente corretta ma praticamente insufficiente. Ed è qui che interviene il peccato originale. Questa idea di laicità comporta che le regole di vita personale o comunitaria che nascono dalla conoscenza razionale siano se stesse senza l’intervento del piano (superiore) della fede e della grazia. Ma dopo il peccato delle origini, la nostra natura è “decaduta” e quindi è incapace di essere se stessa in modo pieno.
Si presuppone la possibilità di una “natura pura” che però non può darsi dopo Adamo ed Eva. Pensare alla laicità come il piano in cui la ragione naturale è se stessa è quindi una illusione, significa pretendere da essa quanto non può dare. Dopo il peccato, il piano naturale non sta in piedi da solo e non riesce a raggiungere nemmeno i propri fini naturali senza un aiuto superiore. In teoria e in astratto si può pensare che la ragione possa conoscere con le sole sue forze le verità relative al suo proprio livello, ma nel concreto della vita ciò non avviene, e non può avvenire.
Bisogna allora pensare che la rivelazione, la fede e la vita di grazia abbiano un significato anche per l’esercizio della ragione naturale, sia quando la adoperiamo personalmente sia quando vi facciamo riferimento comunitariamente, nella vita sociale e politica. Non è questo il luogo per approfondire tutto questo, mi limito a segnalare il fatto che Dio nella Scrittura ci ha rivelato anche principi di ordine naturale, come i Comandamenti: se la ragione avesse potuto conoscerli con certezza con le sole sue forze non ce ne sarebbe stato bisogno.
Limitarsi alla concezione di laicità che ho appena descritto e che ho qualificato come insufficiente, comporta un grave rischio. Il piano naturale, se non è sostenuto da quello soprannaturale, non solo non riesce a raggiungere i propri scopi naturali, ma anche si degrada, scivola in giù e, ben presto, diventa innaturale. Che il piano naturale da solo non regga vuol dire proprio questo: si inquina, degenera, crolla su se stesso. Per questo motivo, alla fine, esso giungerà alla stessa posizione di quella laicità atea che abbiamo scartato dal nostro discorso all’inizio di queste righe.