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ISLAM

L'Afghanistan sta tornando talebano

La guerra in Afghanistan, ormai, è quasi del tutto scomparsa dai media occidentali. Anche perché si sta rivelando un insuccesso su tutta la linea. Man mano che le truppe internazionali si ritirano, i talebani stanno riprendendo il controllo, militare e politico, di tutto il territorio.

Esteri 28_10_2014
Talebani

Ormai in Italia e in Europa la guerra in Afghanistan raramente ottiene spazio sui media, eppure a Kabul si moltiplicano i segnali negativi progressivamente con l’avvicinarsi del ritiro delle ultime forze da combattimento statunitensi e della Nato a fine anno. Dei 40mila militari alleati ancora presenti nel Paese asiatico entro due mesi ne resteranno appena 12mila (10mila statunitensi) per dar vita a una missione biennale addestrativa di consulenza alle forze di Kabul. Ammesso che queste ultime reggano l’urto delle offensive talebane, sempre più intense, che hanno già portato gli insorti a occupare interi distretti.

Nell’Est, lungo la frontiera con il Pakistan, i talebani hanno ripreso da mesi a concentrare centinaia di combattenti per condurre attacchi a centri abitati e basi di esercito e polizia, conquistando posizioni soprattutto nelle province di Nangarhar e Kapisa. Nel Sud, ampie aree delle province di Kandahar ed Helmand sono sotto il controllo talebano; domenica, gli anglo-americani hanno ceduto alle forze governative la grande base di Camp Bastion/ Camp Leatherneck e ieri gli ultimi 150 marines e 300 militari britannici hanno lasciato la base diretti a Kandahar per venire rimpatriati.

Nel Sudovest, Londra ha perduto gran parte dei 453 caduti in terra afghana dal 2001 a oggi, circa un settimo delle perdite alleate pari a 3.475 unità. Una missione costata 19 miliardi di sterline e che ha visto complessivamente 140mila soldati di Sua Maestà operare in Afghanistan. Con un paradosso che ben rappresenta il carosello di missioni inconcludenti, condotte dagli occidentali dopo l’11 settembre 2001, Londra trasferirà in Iraq i droni Reaper schierati fino a ieri in Afghanistan, così come, negli anni 2008/2010, dopo aver ritirato le sue truppe dall’Iraq, trasferì molti uomini e mezzi in Afghanistan. Non c’è da stupirsi se il 64% dei cittadini britannici, secondo un sondaggio pubblicato ieri dalla Bbc, ritiene che l’Afghanistan “non riuscirà a proteggere la popolazione” dai talebani senza truppe alleate mentre il 31% pensa che ce la farà. Solo il 14% degli intervistati ritiene che la Gran Bretagna sia più sicura dopo 13 ani di guerra afghana mentre il 42% pensa il contrario e il 39% è convinto che il conflitto non abbia cambiato nulla.

«È con orgoglio che annunciamo la fine delle operazioni militari a Helmand, dopo aver dato all’Afghanistan la migliore opportunità per un futuro stabile» ha detto il ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, ma sarà difficile che l’opportunità venga colta.

Anche nel settore Ovest, un tempo affidato per lo più a truppe italiane, la situazione della sicurezza è precipitata. In gran parte delle province di Farah, Ghor e Badghis sembra che i governativi controllino solo alcuni capisaldi, ma strade e campagne sarebbero in buona parte mano ai talebani che minacciano anche ampi distretti della provincia di Herat e sono penetrati nella città omonima. Ma il settore dove forse è più evidente il contrattacco talebano è quello settentrionale.

Secondo un reportage del New York Times, nella provincia di Kunduz la situazione è tornata quella del 2009, prima dell’arrivo di truppe statunitensi ad affiancare le scarsamente combattive unità militari tedesche.

Il giornale sottolinea l’inconsistenza dei proclami occidentali che attribuiscono alle forze afghane capacità che non possiedono, inclusa quella di contenere l’avanzata talebana, quando in realtà due distretti di Kunduz sono ora sotto il pieno controllo dei talebani. Come denunciano funzionari locali, in queste zone i talebani stanno amministrando scuole e gestendo questioni legali, oltre che ad acconsentire ad alcuni operatori umanitari internazionali di lavorare. Il governo afghano è consapevole della situazione e ha inviato rinforzi, che però si limitano bombardare i talebani con l’artiglieria uccidendo così anche molti civili, al punto che gli abitanti di tre distretti della provincia di Kunduz (Chahar Dara, Dasht-e-Archi e Imam Sahib) ritengono le forze governative inefficaci nel contrastare gli insorti.

«I talebani possono conquistare la città in qualsiasi momento lo vogliano» ha detto un imprenditore di Kunduz, Hajji Aman, e ieri 4 terroristi suicidi che indossavano uniformi militari sono riusciti a entrare nel palazzo della Procura uccidendo 6 persone. «I combattimenti a Kunduz non sono iniziati quest’anno – denuncia il governatore provinciale Ghulam Sakhi Baghlani – ma negli anni scorsi c’erano le truppe internazionali che aiutavano le forze di sicurezza afghane». Inoltre, sotto la leadership del Mullah Abdul Salam, rilasciato nel 2013 dopo uno scambio di prigionieri deciso dal Consiglio superiore per la pace dell’Afghanistan e il governo del Pakistan, i talebani sembrano aver adottato nuove tattiche mostrando più flessibilità nei confronti della popolazione.

Fonti locali spiegano che gli insorti permettono alle scuole di restare aperte, comprese quelle femminili, e distribuiscono penne e quaderni. «Hanno un sistema parallelo di governo e approvano progetti di sviluppo» spiega sotto anonimato un consigliere di UsAid, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale aggiungendo che «non possiamo fare nulla senza l’approvazione dei talebani». Alcuni abitanti riconoscono la giustizia messa in atto dai talebani giudicandola ben più efficiente di quella delle autorità di governo. «Qui la giustizia è rapida e fanno ciò che dicono», spiega Mohammad Nazar, uno dei saggi che lavora nel consiglio governativo di sviluppo della comunità a Chahar Dara.

In tutto l’Afghanistan i livelli della sicurezza sono ripiombati ai livelli precedenti il “surge”, l’arrivo di quasi 40mila rinforzi alleati che consentì, dal 2010, di liberare dai talebani ampie aree del territorio.

Ben 950 soldati e 2.200 poliziotti afghani sono morti tra marzo e agosto di quest’anno, il più sanguinoso dall’inizio della guerra nel 2001 per le forze di Kabul e al tempo stesso quello con meno perdite per gli alleati: appena 66 morti contro i 161 dell’anno scorso e i 402 del 2012 (incluse le vittime di incidenti). L’anno peggiore per l’Esercito nazionale afghano è stato il 2013, con 1.392 caduti, ma il 2014 ha tutti i presupposti per superare ampiamente questo triste primato dal momento che le perdite di esercito e polizia sono già più che raddoppiate rispetto al 2012.

Il ritiro delle truppe alleate e le batoste subite dai militari afghani, dotati di veicoli non protetti contro mine e ordigni esplosivi e quindi costretti spesso a barricarsi nelle loro basi, hanno favorito anche l’ampliamento delle terre coltivate a oppio che hanno raggiunto un livello record nel 2013, superando con 209mila ettari i 193mila ettari del 2007. Dati resi noti dal rapporto inviato a Washington dall’Ispettore generale speciale per la ricostruzione in Afghanistan (Sigar), John Sopko. Nonostante i 7,6 miliardi di dollari spesi dagli Stati Uniti per la lotta al narcotraffico in Afghanistan dal 2002 a oggi la coltivazione del papavero da oppio è cresciuta del 36% dal 2012 e di 125mila ettari dal 2002 all’anno scorso.

Le coltivazioni sono più estese nel Sud (Kandahar ed Helmand) e nel Sudest dell’Afghanistan ma anche in province come Nangarhar, che erano considerate libere da questa produzione. I primi dati relativi al 2014 lasciano intendere, secondo il Sigar, che l’area di coltivazione si estenderà ulteriormente mentre gli introiti del traffico di oppio hanno raggiunto l’anno scorso i 3 miliardi di dollari contro i 2 del 2012.

Situazione tesa anche sul fronte sociale dopo i disordini in atto da diversi giorni a causa di un articolo pubblicato dal quotidiano in inglese Afghanistan Express dal titolo L’Islam dei talebani e dell’Isis. Il commento scritto dall’estero dal 28enne A.J. Ahwar, sostiene che le atrocità commesse dai talebani e dal Califfato sono ispirate dal Corano e dal Profeta Maometto poiché l’islam è una religione che non accetta dissenso e minoranze e conclude che “gli esseri umani sono più importanti di Dio”. A manifestare contro l’autore “blasfemo” sono scesi nelle piazze movimenti islamici, parlamentari e gruppi estremisti, ma anche studenti universitari che hanno chiesto l’impiccagione per Ahwar gridando slogan quali “non vogliamo la democrazia e i suoi sostenitori”, “la democrazia è un insulto all’islam” e “lunga vita alla nostra religione”.

A sostenere le proteste anche il “chief executive” (qualcosa di simile a un premier o meglio a un “garante” del governo) Abdullah Abdullah che pure è stato eletto grazie alla democrazia e ha perso di poco il ballottaggio per la presidenza con Ashraf Ghani, in carica sullo scranno che fu per dieci anni di Hamid Karzai e che sulla vicenda non ha fatto sentire la sua voce. Eppure il presidente, che ha vissuto 23 anni negli Usa, in campagna elettorale aveva più volte sostenuto l’importanza fondamentale della libertà di stampa.