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L'EDITORIALE

La vera questione morale

Le reazioni al discorso del cardinale Bagnasco erano scontate. Meno scontato che l'assemblea dei vescovi italiani debba avere come priorità discutere del quadro politico. E prestarsi così a un gioco comandato da altri.

Editoriali 27_09_2011
bagnasco

Quindici cartelle, 13 paragrafi, ma ad essere citati da giornali, tg e gr sono soltanto i due paragrafi che parlano di politica. Scontato, visto che è sempre stato così. E di quei due paragrafi si citano soltanto le poche frasi direttamente riferibili al presidente del Consiglio Berlusconi. Ovvio, è da settimane che si è creato un clima di attesa attorno a ciò che il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, avrebbe detto o non detto riguardo alle ultime rivelazioni sul Cavaliere.

Era talmente ovvio che il duro richiamo di Bagnasco sarebbe stato usato dall’opposizione e dai principali mezzi d’informazione per arruolare i vescovi nella lotta al “nemico”, da fare tenerezza il tentativo di alcuni giornalisti e politici di ricordare che la “questione morale” evocata dal presidente dei vescovi riguarda tutti. E che ci sono riferimenti espliciti anche ai giudici (“colpisce l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati”) e ai giornalisti (“E colpisce la dovizia di cronache a ciò dedicate”).

Tutto vero, ma l’unica cosa che resterà di questa prolusione è il duro affondo su Berlusconi, oggettivamente più duro che in passato. Non è una “scomunica”, come qualcuno avrebbe voluto; non è una richiesta di dare le dimissioni, anche se così l’ha letta l’ineffabile Rosi Bindi, che ha una curiosa visione selettiva dei richiami dell’episcopato. E che Bagnasco non abbia chiesto al governo di andare a casa lo dimostra il fatto che ha invece chiesto l’approvazione della legge sulla Dichiarazione anticipata di trattamento, cosa possibile solo se questa maggioranza resta in piedi.

Qualche esperto ci spiegherà che, quanto al quadro politico, la vera preoccupazione dei vescovi è che una eventuale caduta di Berlusconi trascini con sé tutto il Pdl, facendo precipitare il paese in un’altra situazione di caos e instabilità politica come accadde nel dopo-Tangentopoli. E che quindi spingano per una transizione morbida al dopo-Berlusconi.
Se questo è vero, potremmo a questo punto discutere se le parole usate da Bagnasco aiutino questa strategia o piuttosto facciano il gioco di chi – molto più semplicemente - vuol fare fuori il centro-destra in quanto tale.

Potremmo discuterne, ma non vogliamo. Preferiamo invece discutere un’altra questione, molto più importante e urgente, che cerchiamo di spiegare in questo modo.
 
Il discorso di Bagnasco di cui oggi sono piene le cronache era la prolusione al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (Cei), ovvero il discorso introduttivo alla riflessione dei vescovi sulla situazione e sul compito della Chiesa in Italia. Allora, siamo sicuri che il primo compito della Chiesa in Italia sia discutere sulle maggioranze di governo? Conosco già la risposta: ma Bagnasco non ha parlato solo del quadro politico, ha ricordato il Congresso Eucaristico e la Giornata Mondiale della Gioventù, ha parlato delle varie turbolenze nel mondo (dalla tragedia di Oslo alle rivolte arabe), della globalizzazione, dell’evasione fiscale, dell’inizio dell’anno scolastico, ha fatto anche un rapido cenno alla vicenda dei 15 italiani ostaggi in Africa, ai problemi del lavoro, e anche alla situazione del Corno d’Africa e del Sud Sudan. E’ vero, ma nessuno vi ha prestato la benché minima attenzione, neanche i vescovi cui erano dirette, perché l’attenzione di tutti era – ed è – rivolta all’unica cosa che oggi sembra interessare: il destino di Berlusconi.

Non solo, ma il problema è appunto che abbia parlato anche di tutte quelle altre cose. Cerchiamo di spiegarci meglio uscendo dalla questione Berlusconi, perché il problema non è limitato al discorso di ieri né al cardinale Bagnasco, di cui riconosciamo l’assoluto amore e fedeltà alla Chiesa: sono infatti decenni che le prolusioni all’Assemblea generale e al Consiglio permanente dei vescovi, a prescindere da chi la pronunci, seguono questo cliché: una carrellata su tutti i problemi dell’Italia e del mondo, che le fa molto più simili al discorso sullo stato dell’Unione che i presidenti americani pronunciano ogni anno in gennaio che non a un richiamo alle cose che contano davanti ai problemi del mondo.

Dopo le prolusioni impostate in questo modo quello che rimane, purtroppo, è la sensazione di una Chiesa italiana che sembra prestarsi - per volontà o per incapacità di fare altrimenti – a un gioco comandato da altri. Vengono alla mente quei diversi passaggi del Vangelo in cui scribi e farisei pongono domande molto concrete e dirette a Gesù su singole questioni morali e politiche, non per imparare alcunché, “ma per coglierlo in fallo nelle parole”, annota l’evangelista. Per strumentalizzarlo ai propri fini, diremmo con linguaggio moderno. Ma Gesù non ci casca, non perché sia più furbo o eviti la questione, ma perché riporta tutto alla verità, va all’essenza delle cose. In questo modo spiazza i suoi interlocutori, li costringe a misurarsi con un criterio diverso.

Anche il Papa ci ha dimostrato ripetutamente questa capacità, ancora una volta in Germania nei giorni scorsi, sia nel discorso al parlamento tedesco sia nel discorso ai rappresentanti delle altre religioni sia – e verrebbe da dire: soprattutto - parlando ai cattolici. Ciò non evita in assoluto la possibilità di essere strumentalizzati, ma è evidente che chi ha la possibilità di ascoltare direttamente il Papa rimane anzitutto colpito e provocato dalle sue parole e dai suoi gesti, che vanno ben oltre la misura delle nostre attese.

E il messaggio di Benedetto XVI è molto chiaro: il problema vero è la mancanza di fede, bisogna chiederla a Dio e renderla trasparente, annunciarla a tutti perché è questa la luce capace di illuminare il buio dei nostri tempi e dei nostri problemi quotidiani. E’ ciò che ha anche affermato con forza il cardinale Angelo Scola nella sua prima omelia da arcivescovo di Milano, citando Giovanni Battista Montini: il problema è la fede separata dalla vita, la fede che non è più capace di generare cultura. E’ da qui che si deve ricominciare, dalla testimonianza che il cristianesimo è umanamente conveniente. Altrimenti si fa solo del moralismo.

Se oggi in Italia c’è una “questione morale” è anche perché i cattolici da decenni non testimoniano più questa “convenienza”, ma al massimo un moralismo. E i vescovi dovrebbero essere i primi a prenderne coscienza, a porre la questione, a discuterne nelle loro assemblee ed essere i primi testimoni.