La Turchia gioca all'impero ottomano
La crisi con Cipro allontana Ankara dall'Unione Europa. E per sostenere l'indipendenza dello Stato palestinese Erdogan è disposto a sfidare la Nato.
Piaccia o meno, il crescente ruolo della Turchia come player di primo piano nei più importanti scacchieri dal Mediterraneo all'Asia Centrale costituisce una delle maggiori novità di questi anni. La leadership del premier Recep Tayyip Erdogan ha impostato il ruolo di Ankara sul doppio binario di un islamismo moderato (ma certo più marcato rispetto alla laicità che aveva caratterizzato la politica turca da Ataturk in poi) e di un protagonismo nazionale nelle più importanti aeree di crisi (Libia, Afghanistan, Caucaso, Gaza) frutto di una strategia messa a punto dal ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu e rafforzato dal modello democratico di cui la Turchia è portatrice.
Le vicende degli ultimi giorni evidenziano in modo esemplare l'attivismo di Ankara, capace di assumere posizioni precise e indipendenti su diversi tavoli internazionali.
In crisi sempre più aperta con Israele, la Turchia sostiene la dichiarazione unilaterale d'indipendenza dello stato palestinese ed è pronta a inviare la propria flotta per scortare i mercantili con gli aiuti umanitari destinati a Gaza, controllata dal movimento terrorista (o di resistenza, a seconda de punti di vista) Hamas.
Vale la pena ricordare che il confronto con Israele è divenuto sempre più aspro con il governo Erdogan mentre in precedenza Israele e Turchia erano legati da accordi strategici che vedevano i turchi acquisire armi nello Stato ebraico e i piloti di Gerusalemme addestrarsi nei poligoni dell'Anatolia.
Oggi Ankara è pronta a sfidare anche la Nato, alleanza di cui fa parte (in Afghanistan i militari turchi schierano 1.840 effettivi hanno il comando del settore di Kabul) pur di impedire che Israele apra un ufficio di rappresentanza presso il quartier generale alleato a Bruxelles. Ahmet Davutoglu in un'intervista alla Cnn domenica scorsa aveva rivendicato lo sbarramento posto con successo da Ankara nei confronti di Tel Aviv. "Abbiamo detto che avremmo posto il veto su questo tentativo e la questione non è stata nemmeno messa in agenda" dalla Nato.
La questione è "ancora sul tavolo" per Israele che ha ricordato che l'offerta di aprire uffici a Bruxelles è stata formulata dalla Nato a tutti i Paesi non-membri ma coinvolti nel Dialogo Mediterraneo. L'impressione è che la Turchia abbia colto un'occasione pretestuosa per accentuare lo scontro con Gerusalemme e accattivarsi simpatie nel mondo arabo ritagliandosi un ruolo guida nel contrasto ad Israele, Paese con il quale continua sotto banco a cooperare in campo militare e nell'intelligence soprattutto rispetto alla situazione in Siria.
In una strategia anche d'immagine che punta alla condanna di ogni dittatura e a presentarsi al mondo arabo come esempio unico di democrazia islamica, Ankara non ha infatti risparmiato forti attacchi al regime di Damasco impegnato a reprimere nel sangue le rivolte popolari, fino al punto da lanciare pesanti avvertimenti al Bashar Assad, accogliere migliaia di profughi in fuga dalle violenze e schierare due divisioni dell'esercito lungo il confine siriano a scopo deterrente. Una posizione che contribuisce a contrastare l'influenza in Medio Oriente dell'Iran, altra potenza regionale emergente le cui capacità risultano però minate dalle contestazioni interne al un regime dispotico, da dalla pesante situazione economica e dall'isolamento internazionale determinato dal suo programma nucleare.
Anche grazie all'intesa sempre più stretta con l'Egitto, in attesa delle elezioni guidato dalla nomenclatura militare ma con un forte ruolo dei fratelli Musulmani, Ankara sta diventando un punto di riferimento economico-strategico e un modello politico per tutti i Paesi dell'area arabo-mediterranea che un tempo appartenevano all'Impero Ottomano. Pur non avendo partecipato alle operazioni belliche in Libia i turchi hanno saputo ritagliarsi un ruolo di leadership rifornendo la città di Misurata assediata dalle truppe di Gheddafi, evacuando feriti e portando aiuti umanitari (e forse anche militari) a Bengasi. Un intervento ricambiato dalla calda accoglienza riservata ad Erdogan dalla dirigenza del Consiglio Nazionale Transitorio libico e dalla crescente penetrazione delle aziende turche nell'ex possedimento espugnato dagli italiani nel 1912.
I turchi giocano a tutto campo la "carta imperiale" anche a est con una forte penetrazione nell'area caucasica e nell'ex repubbliche sovietiche dell'Asia Centrale.
Dove si parla turco e la penetrazione politica, economica e militare di Ankara è in crescita, sbloccata dopo oltre mezzo secolo di Guerra fredda che aveva relegato la Turchia al ruolo di baluardo orientale dell'Occidente contro la penetrazione sovietica nel Mediterraneo. Un'area dove oggi Ankara non rinuncia ai contrasti con i vecchi rivali greci intorno a Cipro dove il governo di Nocosia, incurante delle minacce turche, ha annunciato il via alle trivellazioni esplorative (gas e petrolio) lungo la costa meridionale dell'isola, nell'area economica esclusiva gestita in condominio con Israele.
Erdogan minaccia come rappresaglia di dare il via a proprie prospezioni petrolifere e di gas a largo della parte settentrionale dell'isola, la repubblica turca di Cirpo riconosciuta solo da Ankara. Improbabile che la crisi sfoci in una nuova guerra greco-turca come quella del 1974 ma Ankara ha minacciato di interrompere le relazioni diplomatiche con l'Unione Europea se Bruxelles affiderà come previsto a Nicosia il semestre di presidenza dell'Unione nel 2012. "Se verrà data la presidenza di turno a Cipro la vera crisi sarà tra la Turchia e l'Unione perché congeleremo le nostre relazioni con la Ue", ha detto il vice premier Besir Atalay.
Il ruolo di primo piano nello scenario internazionale aiuta il governo turco a cementare il consenso interno, specie dopo il successo conseguito da Erdogan nel tour nei Paesi della "primavera araba", dove è stato acclamato nuovo leader di riferimento nella regione e dove ha annunciato "il dovere" di riconoscere la Palestina all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Basta leggere la stampa turca degli ultimi giorni per cogliere il clima che accompagna i nuovi passi della diplomazia di Ankara. Il quotidiano filogovernativo Zaman scrive che la Turchia è entrata in un momento importante per la sua politica internazionale, che può portare il Paese ad assumere stabilmente un nuovo peso sulla scena globale. Il quotidiani Milliyet e Haberturk mettono in grande evidenza le parole del ministro degli Esteri, Amhet Davutoglu, che a Cipro e Israele manda a dire: "faremo quello che dobbiamo fare". L'atteggiamento di Cipro e Israele è visto dalle due testate come una provocazione, mentre la Turchia sta andando "a riprendersi quello che gli spetta di diritto". Toni epici, da "ora segnata dal destino" simili a quelli che la stampa italiana riservò al regime fascista in occasione della conquista dell'Abissinia nel 1935 o dell'entrata in guerra nel 1940.
Di certo la crisi con Cipro allontana ulteriormente la possibilità di un ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Adesione richiesta fin dal 1986 da Ankara con difficili negoziati in corso dal 2005 ma che oggi potrebbe non rientrare più nelle priorità di un Paese che sta ritagliandosi un ruolo di potenza regionale e un'area di penetrazione economica in un contesto molto più dinamico e meno paludato di quello che caratterizza le vecchie e ingessate burocrazie europee. Con tassi di crescita economica del 7/8 per cento annui siamo proprio certi che Ankara abbia la necessità di unirsi a un'Europa in piena recessione e a rischio di sfaldamento dell'area euro? Siamo sicuri che i turchi abbiano voglia di accomunarsi alla vicina /rivale Grecia per contribuire a risollevarla dal suo stato fallimentare? Del resto, al di là dell'aggressiva strategia del governo Erdogan, la Turchia sta ritagliandosi un ruolo di leadership regionale grazie soprattutto ai vuoti di potere lasciati da altri. Nel Mediterraneo l'Europa latita, incapace di prevedere, affrontare e influenzare le crisi dei regimi arabi. Nel Caucaso e in Asia Centrale il crollo dell'Urss ha aperto ampi margini al ritorno dei turchi che oggi si contendono le aree d'interesse con cinesi, iraniani, russi e occidentali. In Medio Oriente la Turchia ha colto l'occasione offerta dal repentino crollo di credibilità e influenza degli Stati Uniti percepibile in tutti i Paesi moderati dell'area intimoriti dalla rapidità con la quale Barak Obama ha scaricato Hosni Mubarak in Egitto e Alì Abdullah Saleh in Yemen i cui regimi erano amici e alleati di Washington.
Inutile stupirsi. E' soprattutto a causa nostra che Ankara può oggi tornare a giocare all'Impero Ottomano penetrando nuovamente in quelle regioni dalle quali era stata cacciata dalle armate zariste, italiane, britanniche e dalle milizie beduine di Lawrence d'Arabia.