La “tolleranza” trans? «Una bugia, voglio tornare uomo»
Peter Benjamin va in depressione dopo la morte della moglie e, nel 2015, si sottopone a un intervento chirurgico per “diventare” donna, senza che i suoi figli, già adulti, facciano una piega. Ma lui, oggi 60enne, si pente subito. E adesso mette in guardia sul pericolo dell’ideologia transessualista, soprattutto per i bambini. Così «riempiremo gli ospedali psichiatrici».
Dato il clima completamente assuefatto, sua figlia e suo figlio, ormai adulti, non hanno fatto una piega quando il padre, oggi sessantenne, sprofondato in una grande depressione dopo la morte della moglie, ha annunciato loro che si sarebbe operato per apparire una donna e cambiare identità.
Questa la storia raccontata in una video-intervista del Sun, che fa comprendere quanto il clima “gaio”, ma intollerante con chiunque abbia una visione diversa da quella arcobaleno, anziché favorire la libertà di scelta la condizioni in maniera drammatica. Peter Benjamin, che ora vuole tornare a vivere da uomo, qual è sempre stato, pur essendo ormai impossibilitato a tornare nelle condizioni fisiche precedenti l’operazione chirurgica di rimozione dei genitali, ha raccontato al giornale inglese di aver servito l’esercito dai 16 ai 20 anni perdendo il posto dopo aver indossato una gonna durante una festa in cui si era ubriacato.
Cresciuto, e incapace di trovare pace, Benjamin si era sposato per ben tre volte. Poi, devastato dalla morte della terza moglie, aveva cominciato a navigare in Internet e finendo su siti trans aveva ordinato ormoni che lo aiutassero ad assumere fattezze femminili pensando che lì ci fosse la risposta al suo disagio. Gli psicologi del servizio sanitario nazionale gli avevano infatti diagnosticato la disforia di genere, spiegandogli che la sua storia era quella di un uomo che da sempre avrebbe voluto essere donna e che la sua sofferenza si sarebbe risolta con l’operazione chirurgica che lo avrebbe finalmente fatto sentire tale.
Così nel 2015 Benjamin si era operato usufruendo delle tasse dei contribuenti, dato che il servizio sanitario nazionale gli aveva pagato l’operazione in un ospedale privato spendendo ben 10 mila sterline. Ma appena tornato dall’ospedale, l’uomo aveva capito immediatamente il grande errore commesso: la solitudine profonda in cui si trovava non era scomparsa, anzi. I suoi figli «portarono la mia valigia di sopra, poi mia figlia mi diede un abbraccio e se ne andò. Questo è stato l’unico aiuto che ho ricevuto», una pacca sulla spalla. Come a dimostrare quanto la cultura del “liberi tutti” lasci poi tutti più soli.
L’uomo aveva quindi cominciato a soffrire più di prima: «I miei livelli d’ansia erano alle stelle. Vedevo ogni tipo di dottore per ogni tipo di problema», ma soprattutto «bevevo sempre di più perché non potevo più sopportare di essere transessuale. Dovevo solo uscirne». Che assecondare la mente anche quando va contro la natura non sia la soluzione è così vero che ora Benjamin mette in guardia dalla moda per cui i bambini vengono spinti a cambiare sesso non appena presentano qualche disturbo di identità: «Riempiremo gli ospedali psichiatrici che dovranno trattare questi bambini che crescendo decideranno di non voler essere transessuali. Il Servizio sanitario nazionale avrà un onere enorme su ciò che sta accadendo. Sono davvero preoccupato».
L’ex soldato si aggiunge ad una lista sempre più lunga di gente che si pente di una scelta verso cui gli operatori sanitari spingono orami qualsiasi persona che si senta minimamente confusa riguardo alla sua identità. Eppure basta dare un occhio ai libri di psichiatria che trattano il tema prima del 2010 (l’anno in cui Obama sdoganò definitivamente il “love is love”, che poi invase tutto l’Occidente) per scoprire che la maggioranza degli psichiatri è sempre stata concorde nel parlare del transgenderismo come di una patologia simile al delirio che deriva da ferite profondissime (in maggioranza dal rapporto figlio-madre ma anche da abusi su bambini), per cui la persona maschile cresce con il desiderio di rifugiarsi in un corpo femminile.
Se prendiamo per esempio “Omosessualità, perversione, attacchi di panico”, a cura di Lucina Bergamaschi e pubblicato nel 2007, si legge che «il travestito è una persona che prova piacere a vestirsi da donna e spesso segue questo impulso in momenti di particolare tensione, per combattere uno stato interiore depressivo. Travestendosi si sente “bella, affascinante… ad essere qui messa in scena è “una fantasia concreta narcisistica, a carattere maniacale”, spiega De Masi… questo delirio è quindi simile al delirio che si configura agli occhi degli psicotici come “un luogo, una condizione in cui è possibile raggiungere la felicità totale… uno stato di beatitudine che si raggiunge acquisendo le fattezze del corpo femminile”». Il libro prosegue con una serie di casi di persone ipersessualizzate fin da piccolissime, di altre abusate da uomini, di figli di madri assenti e depresse e distaccate dal marito e in simbiosi con il figlio.
Anche in “Psiche e storia. Il caso clinico, la storia, il metodo”, si analizza quanto il rapporto squilibrato madre/ figlio incida sulla confusione identitaria dei bambini. Lo stesso si legge in “Il Transessualismo. Saggi psicoanalitici” (2009).
Questi scritti e le storie (già raccontate dalla Nuova BQ) di pentimento di persone che si sono sottoposte ai trattamenti ormonali o all’operazione chirurgica dimostrano quanto sia violenta una cultura che, al posto di correggere le devianze cercando faticosamente l’origine dei disagi delle persone (il che significa farsene carico), preferisce illuderle di essere nel giusto, assecondando, senza alcun impegno, il loro malessere. E dimostrando quanto disinteresse e comodità ci sia in quella che viene chiamata “tolleranza”. E a cui basta, appunto, una pacca sulla spalla.