La svolta conservatrice del Regno Unito
Contro ogni previsione, il Regno Unito ha sterzato nettamente a destra. Vincono i Conservatori con una maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni. Merito dell'economia di Cameron, che genera crescita. In Scozia si afferma lo Scottish National Party, indipendentista. Buona, anche se invisibile, la performance del partito euroscettico.
Ancora una volta, come in Israele, le elezioni nel Regno Unito smentiscono completamente le previsioni dei sondaggi e le analisi pre-voto. Queste ultime parlavano di un testa-a-testa fra Conservatori e Laburisti in uno scenario in cui i piccoli partiti avrebbero conteso e frammentato il tradizionale bi-partitismo britannico. Non è andata così. Anzi.
I Conservatori hanno conquistato 331 seggi, aggiudicandosi una maggioranza assoluta nella Camera dei Comuni, mentre i Laburisti ne hanno presi solo 232. Ed Miliband ha perso 26 seggi ed ha rassegnato le dimissioni. I partiti minori non si sono affatto affermati. Anzi, il Partito Liberaldemocratico ha perso tutta la sua forza, passando da 57 a 8 seggi, sparendo, di fatto, quale forza politica in grado di incidere sul processo politico. Nick Clegg ha rassegnato le dimissioni. E i Verdi, mediaticamente molto potenti, hanno solo conservato quell’unico seggio che avevano preso nel 2010. L’Ukip, dato in calo e la cui performance è stata descritta come una sconfitta (Nigel Farage ha già rassegnato le sue dimissioni), ha invece conquistato un seggio ed è diventata la terza forza del Paese, con quasi 4 milioni di voti. La vera affermazione di queste elezioni è lo Scottish National Party, dato per sconfitto, addirittura per “morto” dopo aver perso il referendum sull’indipendenza scozzese: ha guadagnato ben 50 seggi, contro i 6 delle scorse elezioni (dunque ne ha 56 in tutto), conquistando territorialmente tutta la sua regione.
Finora abbiamo parlato di seggi, perché il sistema britannico è un uninominale secco, chi prende più voti in un determinato collegio si aggiudica un seggio. In termini di voto, lo scenario appare così: il Partito Conservatore è sempre primo con il 36,9% dei consensi dell’elettorato, il Laburista è secondo con il 30,4%, l’Ukip è terzo con il 12,6%, il Partito Liberaldemocratico è quarto con il 7,9% lo Scottish National Party è quinto con il 4,7%, sesti i Verdi con il 3,8%. Se si fosse votato con l’Italicum, questi sarebbero i partiti entrati in Parlamento e il premio di maggioranza assoluta andrebbe ai Conservatori.
Il numero di voti è ancor più indicativo sulle tendenze prevalenti nel Regno Unito ed è su questo che si può tastare il polso dell’opinione pubblica britannica. Escludiamo, da questa analisi, l’Irlanda del Nord, che è un mondo a parte, dove i partiti nazionali scompaiono lasciando il posto a un braccio di ferro fra Unionisti (fedeli alla Corona e al governo di Londra) e Sinn Fein (repubblicani irlandesi). In Gran Bretagna (dunque: Inghilterra, Galles e Scozia) prevale una tendenza conservatrice nettissima. La ricetta economica di Cameron, basata sull’austerity, dunque sul taglio della spesa sociale e delle tasse, ha prodotto una crescita straordinaria, ineguagliata nel resto dell’Europa e la più rapida fra le economie del G7. La crescita ha generato posti di lavoro, tanto che la disoccupazione è ridotta al 5,6%, la più bassa dal 2008, dall’inizio della crisi. La Gran Bretagna è la prima in assoluto fra le mete scelte dai giovani emigranti italiani, perché torna ad essere vista come una terra di opportunità. Contrapposta a questa crescita c’era una visione radicale di riforma socialista dell’economia, proposta dal leader laburista Ed Miliband, che evidentemente è stata vista dall’elettorato come una protesta astratta e non come un’alternativa valida. I sudditi britannici hanno dimostrato, come negli anni ’80 di Margaret Thatcher, di saper sopportare molto bene le durezze dell’austerity, in cambio di una concreta prospettiva di crescita. Che si è realizzata, per altro. Miliband, puntando tutto sulla protesta, ha sottovalutato questa capacità di sopportazione, sia i risultati concreti della ricetta conservatrice.
Seconda considerazione: l’Ukip ha vinto, non ha affatto perso. Il sistema uninominale secco lo penalizza, ma in termini di voti è il partito che ne ha guadagnati di più in assoluto, rispetto alle elezioni del 2010, con una tendenza del +9,5%. Se si fosse votato col proporzionale, per Farage sarebbe stato un trionfo, non avrebbe rassegnato le dimissioni e si sarebbe imposto come leader dell’opposizione. La rimonta del suo gruppo è attesa per le elezioni europee, dove si vota col sistema proporzionale e dove, nella scorsa tornata elettorale, l’Ukip era arrivato ad essere il primo partito. Anche la crescita notevole dei voti dati all’Ukip rientra nella svolta conservatrice dell’opinione pubblica britannica. Altro non esprime che un maggior desiderio di indipendenza dall’Europa, espressione dell’orgoglioso isolamento britannico, dell’attaccamento alla propria tradizione democratica, più ancora che (come ripetono tutti i media) della naturale diffidenza nei confronti dell’immigrazione massiccia, soprattutto islamica.
Un discorso a parte lo meriterebbe lo Scottish National Party. Si tratta di un successo locale: come abbiamo visto, i numeri di elettori sono abbastanza impietosi. In un’ottica nazionale avrebbe conquistato appena meno di un decimo dell’elettorato britannico. Ma a livello locale è riuscito a conquistare tutta la Scozia: 56 seggi su 59, meglio delle migliori previsioni. E tutto questo dopo aver perso, da pochi mesi, un referendum per l’indipendenza. Come si spiega? Che la questione secessionista è semplicemente entrata nel dibattito. Importa meno che l’esito del referendum sia stato negativo (anche se gli indipendentisti hanno perso a testa alta), importa di più che se ne parli. Lo Scottish National Party, in questo modo si è posto, in Scozia, come l’unica vera alternativa, con un programma chiaro, al Partito Conservatore. I Laburisti no, perché ai tempi del referendum appoggiavano la causa unionista assieme a Cameron. Siccome in Scozia si disputa, sin dai tempi della Thatcher, una sorta di derby fra Laburisti e indipendentisti, questi ultimi hanno avuto la meglio, spazzando via i loro rivali di sinistra. Sono entrambi partiti di natura socialista, ma l'Snp vorrebbe un socialismo indipendente dai sussidi di Londra, finanziato con risorse autonome e autogestito. Anche dal punto di vista degli scozzesi è una svolta conservatrice, a modo loro, nell’ambito del loro scenario politico.