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UCRAINA

La sottile linea del cessate il fuoco

Raggiunto l'accordo sul cessate il fuoco a Minsk, ora inizia il difficile compito di applicarlo nella realtà dell'Ucraina orientale. Il punto più difficile è il primo: porre fine alle operazioni militari e ritirare le armi pesanti. Poi si potrà parlare anche degli accordi politici. Intanto la Crimea resta fuori dal dibattito.

Esteri 13_02_2015
Miliziani pro russi

A Minsk è stato firmato un accordo per un cessate il fuoco in Ucraina che, sulla carta, sarebbe in grado di risolvere ogni contenzioso, ma in pratica risulta ancora estremamente fragile.

La trattativa è consistita una maratona di 15 ore, iniziata alle 18,30 del mercoledì e conclusa solo nella mattinata di ieri nel lussureggiante Palazzo dell’Indipendenza di Minsk, Bielorussia. Il nervosismo si leggeva sul volto stanco e tirato della cancelliera tedesca Angela Merkel, nella matita spezzata (mentre ci giocherellava) da Putin durante i colloqui, nella stretta di mano appena accennata, il minimo sindacale per le foto, fra i presidenti Putin e Poroshenko. Ai secondi colloqui di Minsk (il primo accordo nella capitale bielorussa è stato siglato lo scorso 5 settembre) si è arrivati dopo un lavoro di pressing sulla Russia finora senza precedenti, fra minacce di nuove sanzioni economiche, denunce di ingerenze russe da parte della Nato e dichiarazioni insolitamente forti, come la proposta statunitense di fornire armi all’esercito regolare ucraino o la dichiarazione eclatante del presidente Hollande alla conferenza di Monaco, che ha parlato di ultima chance per la diplomazia. Fallisse la quale … sarebbe “guerra” (fra chi e su quale scala, Hollande non lo ha detto). Il formato dei colloqui di Minsk è quello della Normandia, dove i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina si incontrarono per le celebrazioni del 70mo della Liberazione l'anno scorso. Allora gli scambi di sguardi e di strette di mano furono considerate come un buon auspicio e portarono ai primi accordi di Minsk. E, siccome squadra che vince non si cambia, anche questa volta si sono incontrati Hollande, Merkel, Poroshenko e Putin. Rispettivamente: la maggiore potenza nucleare d’Europa, la maggiore potenza economica d’Europa (e quella legata alla Russia dalla più ampia rete di interessi), il presidente dell’unico paese in cui si sta combattendo la guerra e quello dell’unica potenza direttamente coinvolta nel conflitto, nonché l’unica in grado di fermare le milizie pro-russe nell’Est dell’Ucraina. Il formato, dunque, ha perfettamente senso. Anche se è limitato, perché manca la rappresentanza dell’Ue (niente Federica Mogherini) e mancano gli Usa, che finora sono stati i maggiori sostenitori dell’Ucraina. 

In quindici ore di negoziati sono stati toccati tanti punti importanti, ma non tutti. Primo: tregua e disarmo. E’ stata fissato un orario preciso, la mezzanotte del 15 febbraio. In quella data le truppe delle due parti devono ritirarsi sulla linea del precedente accordo di Minsk, fissata il 19 settembre scorso. Questa linea è relativamente favorevole a Kiev: i pro-russi dovrebbero abbandonare gran parte delle loro conquiste più recenti. Mentre l’Ucraina chiedeva un cessate il fuoco immediato, è stata la Russia, a quanto risulta, a ottenere una dilazione di 70 ore. Kiev teme che, in questo breve lasso di tempo, i miliziani pro-russi conquistino tutto il conquistabile. Ed è proprio questo il punto più debole dell’accordo. Mentre ancora i capi di Stato erano riuniti a colloquio, le autorità militari ucraine denunciavano il passaggio della frontiera da parte di almeno 50 carri armati russi. Nelle 12 ore successive all’accordo, i miliziani pro-russi hanno sparato con l’artiglieria per almeno 60 volte. Si registrano anche nuove concentrazioni di formazioni irregolari attorno a Debaltseve e una notevole pressione sul porto di Mariupol. Da notare che, anche dall’altra parte, i miliziani delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk temono che il periodo precedente al cessate il fuoco sarà sfruttato dalle milizie pro-Kiev, quelle irregolari, come il battaglione Azov e il braccio armato di Pravy Sektor, per completare la loro offensiva attorno a Mariupol. La zona più critica, però, è e resta Debaltseve, uno snodo ferroviario che i miliziani pro-russi circondano su tre lati e vorrebbero conquistare il prima possibile, perché permetterebbe loro il collegamento diretto fra Luhansk e Donetsk. Nell’accordo sul cessate il fuoco, il nodo di Debaltseve non è stato sciolto. Putin e Poroshenko si riservano di far discutere il caso a commissioni militari in loco. Solo dopo si deciderà a chi assegnare la cittadina e dove fissare la linea del cessate il fuoco. Quindi è in dubbio anche il punto uno dell’accordo.

 Mappa della linea di cessate il fuoco

Solo con un cessate il fuoco completo si può passare alla seconda fase del piano, che dovrebbe scattare il 16 (24 ore dopo la fine delle ostilità): il ritiro delle artiglierie delle due parti. La linea di sicurezza è stata fissata a 50 km dal fronte per i cannoni, 70 per i lanciarazzi Grad, 140 per i missili tattici. Il piano dovrebbe essere completato in due settimane. Solo a questo punto scatterà la terza fase, che è la liberazione dei prigionieri delle due parti e l’amnistia generale. Nel piano l’Ucraina è riuscita ad ottenere anche la scarcerazione di Nadiya Savchenko, navigatrice di elicottero dell’aviazione detenuta in Russia con l’accusa di violazione dello spazio aereo di Mosca, in carcere dallo scorso novembre e in sciopero della fame per protesta. Per Kiev è diventata un simbolo di resistenza nazionale e nelle ultime elezioni è stata eletta alla Rada, il parlamento ucraino. Alla liberazione dei prigionieri deve seguire il ritiro di tutti gli uomini armati stranieri (regolari, volontari, mercenari di qualunque nazionalità) e anche qui si va a toccare un tasto dolente. Perché, mentre Kiev denuncia la presenza di almeno 9000 soldati russi nelle file del Donbass, Mosca ha sempre negato ogni coinvolgimento diretto nel conflitto. Putin ha risposto alle accuse definendo l’esercito ucraino come una “legione straniera” della Nato, ma non è mai riuscito a provare la presenza di forze dell’Alleanza Atlantica, se non aiuti non letali (dichiarati) e volontari da diversi paesi occidentali, anche neutrali, come la Svezia per esempio. Facile capire, dunque, che il punto sul ritiro delle “forze straniere” sarà quantomeno oggetto di dibattiti fra sordi. Così come lo sarà lo scioglimento delle milizie irregolari. L’Ucraina ha tutto l’interesse a sbarazzarsi di formazioni irregolari che potrebbero entrare in competizione con l’esercito regolare, ma le popolazioni locali, soprattutto nelle aree dei combattimenti, si sentono protette dalle milizie, più che da un esercito sempre più assente. Quanto alle repubbliche di Donetsk e Luhansk, le milizie sono tutto quel che hanno per la difesa del territorio. Facile prevedere, dunque, che questo è un altro punto su cui si può incartare il nuovo accordo.

Solo una volta che tutte queste intricate questioni militari saranno sciolte, si passerà ad applicare gli accordi politici e diplomatici. Da un punto di vista politico, Kiev si impegna a riconoscere un’ampia autonomia delle regioni di Donetsk e Luhansk, poi svolgerà elezioni nelle due regioni in base alle nuove regole. Questa autonomia, tuttavia, è ancora tutta da definire. Si pensa anche al modello Alto Adige, proposta dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni all’indomani degli accordi precedenti. Potrebbe essere un modo per garantire autonomia ai locali pur nell’unità dell’Ucraina. Premessa dell’accordo sull’autonomia dovrà essere il ripristino di rapporti normali fra Kiev e le autorità locali: le pensioni ricominceranno ad essere pagate dal governo ucraino, i legami fra i due sistemi bancari dovranno essere ripristinati, il governo centrale si impegna ad aiutare le due regioni nella difficile opera di ricostruzione e nel loro sviluppo economico. Il “premio” per il rispetto di queste condizioni, sarà il ripristino della frontiera orientale ucraina, che per ora è definibile come un “confine poroso”, non più controllato dall’esercito e dalla polizia, ma dalle milizie pro-russe, oltre che da ispettori dell’Osce pressoché impotenti. Solo dopo le prossime elezioni a Donetsk e Luhansk, i regolari ucraini potranno tornare in possesso della loro frontiera violata. Dunque la Russia è riuscita ad ottenere autonomia in cambio di pace. Il tutto dovrebbe avvenire entro il dicembre del 2015.

Miliziani pro russi

Sempre che si arrivi fino a questo punto. Perché, come abbiamo visto, gli scogli su cui questi accordi si possono incagliare sono veramente tanti. I precedenti non lasciano ben sperare. L’accordo di Minsk di appena cinque mesi e mezzo fa è stato violato in lungo e in largo. E se fallissero anche questi? Nelle ultime settimane si è fatto molto pressing diplomatico, come dicevamo, ai limiti del terrorismo mediatico. Si è tornati a parlare di Terza Guerra Mondiale. Tuttavia la prospettiva di un conflitto generale, almeno per ora, appare molto remota. Lo dimostra lo scarso coinvolgimento delle grandi potenze: la Russia si limita a mandare aiuti senza voler apparire, tutti gli altri sembrano assenti dal campo. Una prospettiva più realistica (e molto tetra per l’Ucraina) è quella di un “conflitto congelato” in caso di ennesimo fallimento degli accordi. Per “conflitto congelato” si intende la divisione informale dell’Ucraina in due territori distinti, uno nelle mani del governo e l’altro di nome indipendente, di fatto controllato dalla Russia, ma ufficialmente inesistente. Conflitti simili, non più guerreggiati, ma latenti lungo le loro linee armistiziali, stanno continuando dagli anni ’90, in Moldavia, Georgia e Azerbaigian.

Detto questo, pochi commentatori hanno rilevato un’assenza notevole, il vero elefante nella stanza di cui nessuno ammette l’esistenza: la Crimea non è stata oggetto di trattative. Eppure la situazione della penisola nel Mar Nero non è affatto trascurabile. Ufficialmente è ancora una provincia dell’Ucraina, ma di fatto è diventata una regione della Federazione Russa, della quale ha acquisito tutto, fusorario e moneta inclusi. Se la situazione resta irrisolta sarà tanto inutile parlare di integrità o sovranità dell’Ucraina, perché un suo pezzo di territorio è annesso alla Russia, in violazione del memorandum di Budapest del 1994 che garantiva all’Ucraina il rispetto delle sue frontiere del 1991 in cambio del suo disarmo nucleare. Se invece la Crimea entrerà nel prossimo dialogo o Kiev tenterà di riconquistarla manu militari, difficilmente la Russia resterà con le mani in mano, considerando che la "riconquista" della penisola è stata il tema dominante di tutto l’orgoglio nazionale russo per un anno intero. Per Mosca, la Crimea val bene una guerra. Anche per l’Ucraina. E questo è il problema.