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IMMIGRAZIONE

La "rivoluzione copernicana" del sistema di asilo politico

Fallito il primo round negoziale per la riforma del Trattato di Dublino, sull'accoglienza dei richiedenti asilo, sarà l'Austria a guidare il prossimo, a luglio. Vienna ha anticipato che proporrà una "rivoluzione copernicana" del sistema di asilo. E formerà probabilmente un inedito asse con il Belgio e con l'Italia.

Politica 10_06_2018
Kurz e Juncker

Il regolamento di Dublino risale nella sua prima versione al 1999 e da allora è stato modificato due volte. Con esso l’Unione Europea ha cercato di realizzare un sistema comune di asilo, stabilendo i criteri e i meccanismi per determinare quale stato membro ha il compito di esaminare una richiesta di protezione internazionale presentata da una persona proveniente da un paese terzo oppure da un apolide. Nella sua ultima versione, la Dublino III del 2013, si stabilisce che lo stato membro competente per esaminare una richiesta di asilo è il primo in cui il richiedente mette piede all’arrivo in Europa: lì deve essere identificato e lì la sua richiesta deve essere registrata così come prevede la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. 

I problemi nell’applicazione del regolamento sono iniziati nel 2015, con l’afflusso di centinaia di migliaia di emigranti illegali. Gran parte di essi sostengono infatti di essere profughi, chiedono lo status giuridico di rifugiato e lo fanno in effetti nel primo paese europeo in cui mettono piede, quindi in uno stato periferico dell’UE. A partire dal 2016, quando complessivamente gli arrivi in Europa si sono più che dimezzati rispetto all’anno precedente, la maggior parte degli emigranti illegali sono sbarcati in Grecia e soprattutto in Italia, dove gli arrivi sono addirittura aumentati passando da 153.842 nel 2015 a 181.045 nel 2016. Dunque è su questi due paesi che da allora grava l’onore maggiore di accoglienza.

Nel maggio del 2015, per ridistribuire il compito di provvedere ai richiedenti asilo nel lunghissimo periodo di attesa della risposta delle competenti autorità – mesi nel caso di siriani e iracheni, anni per la maggior parte delle altre nazionalità – la Commissione dell’Ue ha proposto di obbligare gli stati membri a riallocare dall’Italia e dalla Grecia 40.000 richiedenti. A settembre, visto poi l’incremento degli arrivi, il numero delle riallocazioni è stato portato a 98.256, con l’intenzione di arrivare a un totale di 160.000. Tuttavia i governi dei paesi europei hanno accettato di accogliere richiedenti asilo e rifugiati solo su base volontaria e le riallocazioni sono state fatte molto più lentamente e in quantità di gran lunga inferiore al previsto. Dal settembre 2015 al gennaio 2017 risultavano riallocati 7.803 richiedenti asilo dalla Grecia e 2.162 dall’Italia, in tutto 9.965 persone.  

Per arrivare ai giorni nostri, il 5 giugno scorso a Bruxelles si è svolto un incontro del Consiglio Ue per discutere una proposta di riforma del regolamento Dublino III che davvero comporti una condivisione equa di responsabilità – quanti richiedenti asilo deve accogliere ogni paese – e  di solidarietà – gli aiuti da fornire ai paesi che ne accolgono di più e le sanzioni da imporre a quelli che non rispettano le quote assegnate.

In un primo tempo si era proposto che ogni stato non dovesse ospitare più del 150% la sua capacità di accoglienza (misurata con determinati parametri) e che fosse inflitta una penale di 250.000 euro per ogni riallocazione rifiutata. A marzo, però, la Bulgaria, che ha la presidenza di turno del Consiglio Ue, ha presentato alcune correzioni alla proposta che fanno salire l’obbligo di riallocazione dei richiedenti ospiti di un paese solo quando questi supera la quota del 180%, riduce la penalità per il rifiuto di riallocazione a 30.000 euro e introduce il principio detto di “responsabilità stabile”: lo stato in cui entra un emigrante illegale deve garantire di assumersene la responsabilità per dieci anni. I maggiori stati di destinazione degli emigranti illegali – Italia, Grecia, Spagna, Malta e Cipro – per i quali la proposta bulgara significa garantire più servizi e per più tempo e nel frattempo ottenere meno sostegno dall’Europa, hanno protestato e chiesto tra l’altro che il periodo di responsabilità fosse ridotto a due anni. Il gruppo Visegrad dei paesi europei centrali – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia – a sua volta ha confermato il rifiuto di accogliere richiedenti asilo. Inoltre anche Germania, Svezia, Paesi Bassi e paesi Baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) si sono detti contrari alla bozza bulgara.

Con queste premesse non fa meraviglia il fallimento dell’incontro del 5 giugno. “La riforma è morta” è stato il commento del ministro belga Theo Francken secondo cui “bisogna smettere di accettare delle imbarcazioni di migranti, bisogna cessare di incitare al traffico e lasciare arricchire le mafie”. Benché disposto al compromesso, ha aggiunto il ministro Francken, il Belgio tuttavia non vuole più “immigrazione illegale. Diciamo come gli italiani, basta. L’Italia è obbligata a salvare i migranti in mare e deve accoglierli senza poterli rimpatriare in Libia o altrove. Ma finché questo sarà possibile, avremo il caso. Dobbiamo poter respingere le imbarcazioni”.

Tutto si rimanda alla riunione del Consiglio Ue del 28-29 giugno. A luglio toccherà poi all’Austria, nuova presidenza di turno, occuparsi della questione. Vienna ha anticipato la propria linea. Il ministro dell’interno austriaco, Herbert Kickl, ha spiegato che Vienna farà una proposta per un nuovo paradigma, una “rivoluzione copernicana nel settore del sistema d’asilo”. “Non penso che abbiamo una chance realistica di compromesso – ha detto – la solidarietà deve essere rinnovata nel settore della protezione delle frontiere”.