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DOPO NIZZA

La rivendicazione dell'Isis e il silenzio francese

Due giorni per ammettere che a Nizza è stato un attentato dell'Isis. E nemmeno dopo la rivendicazione del gruppo le autorità francesi lo dicono con certezza. Intanto, però, si prepara la rappresaglia su Raqqa. La coalizione anti-Isis agisce, ma mantiene il silenzio o un basso profilo. Perché?

AMMETTETE CHE E' UNA GUERRA DI RELIGIONE di P. Zola

Esteri 17_07_2016
Manuel Valls

Ci sono voluti due giorni prima che arrivasse online la rivendicazione “ufficiale” dello Stato Islamico per l’attentato di Nizza. Ora gli uomini del Califfato hanno lanciato il loro proclama, lodando le gesta del loro “soldato”, che ha fatto strage di civili sulla Promenade des Anglais.

Il 15 luglio, all’indomani della strage, il governo francese aveva parlato del terrorista usando, prima, le definizioni di “cane sciolto” e “psicopatico”, poi quello di persona “legata al radicalismo islamico”, infine, solo dopo la rivendicazione pubblica dell’Isis il quadro si è completato. Ma il primo ministro Valls, nella sua ultima conferenza stampa, ha tenuto a precisare che il franco-tunisino Mohamed Lahouaiej Bouhlel, autore della strage, si è “radicalizzato in poco tempo”. Un modo per giustificare i servizi segreti francesi, che non avrebbero avuto tempo di individuarlo quale minaccia terroristica. Le autorità francesi sottolineano anche che, ad oggi, non vi siano ancora prove tangibili di questo percorso di radicalizzazione, contatti con altri terroristi all’estero o semplicemente materiale di propaganda dell’Isis.

La pista del terrorismo islamico, dello Stato Islamico in particolare, era abbastanza chiara sin dai primi momenti dell’attentato del 14 luglio, per una serie di elementi che apparivano come la “firma” dell’Isis. Eppure, tanta riluttanza nell’ammettere il mandante, anche dopo la sua palese rivendicazione, non è casuale. E’ una strategia, adottata non solo dalla Francia, ma da tutti i governi della coalizione che combatte in Iraq e Siria contro il Califfato. Se almeno Hollande e Cameron hanno sempre usato il termine “islamismo” per identificare l’ideologia del nemico, Obama non nomina neppure lontanamente parole che contengano “islam”. Lo Stato Islamico, sempre chiamato con il suo acronimo arabo Daesh, viene escluso dall’informazione pubblica fin quando è possibile. La sua partecipazione ad attentati esplicitamente rivendicati (San Bernardino e Orlando negli Usa, ad esempio) viene esclusa dalla comunicazione delle forze dell’ordine. Gli attentatori sono “lupi solitari”, di essi si diffonde una sovrabbondanza di dettagli personali, quali turbe psichiche e problemi sociali, mai un accenno alla loro ideologia, mai una parola alla loro filiazione all’Isis. Benché lo stragista di Orlando avesse prestato giuramento al Califfo, questo viene considerato un dettaglio poco o per nulla rilevante rispetto alla sua presunta omosessualità repressa e conseguente “omofobia”. Lo stesso tipo di operazione di maquillage si sta effettuando in questi due giorni per lo stragista di Nizza: disastro coniugale, malattia mentale, depressione, violenza sono i tratti più richiamati dalle cronache che si occupano di lui. Eppure l’Isis lo definisce “soldato”, cioè un proprio militante attivo. E qualcuno gli ha fornito le armi.

Non si tratta di un silenzio dettato da ingenuità, poiché le indagini francesi dimostrano come i servizi siano ben consci del pericolo, anche se si sono lasciati sfuggire Bouhlel. In quarantotto ore sono stati arrestati in Francia altri cinque sospetti. Il che vuol dire che gli agenti stanno cercando una rete, non si sono rassegnati all’idea di un “lupo solitario”. Che il governo francese fosse perfettamente conscio della matrice dello Stato Islamico è dimostrato dalla pianificazione delle prossime mosse di guerra contro Siria e Iraq, concordate tra Francia e Stati Uniti, ampiamente riportata dalla stampa italiana e internazionale ieri. L’intelligence francese è infatti convinta che a Raqqa vi sia la principale, se non unica, centrale di diffusione della propaganda jihadista. Eliminando la capitale del Califfato, si potrebbe risolvere gran parte del problema sul terreno, sia infliggendo un duro colpo al morale degli jihadisti, sia eliminando il loro più grande megafono di predicazione dell’odio. La pianificazione di un attacco contro Raqqa e di uno contro Mosul è iniziata proprio all’indomani dell’attentato di Nizza. Dal punto di vista militare non comporterebbe neppure l’introduzione di nuove truppe sul terreno. Si tratterebbe solo di sostenere, con forze speciali e più intensi raid aerei, l’avanzata di truppe locali: esercito iracheno, curdi, milizie siriane.

Se i governi della coalizione sanno, ma non dicono, lo fanno soprattutto per una ovvia questione di immagine: non dare all’Isis la soddisfazione di vantare un successo e non permettergli di fare ulteriori proseliti in Occidente. Si tratta comunque di un motivo minore, poiché l’Isis comunica ugualmente i suoi successi attraverso i suoi canali. E tutti sanno che dietro a questi attentati c’è la mano del Califfo. Il motivo di tanto silenzio riguarda più il Medio Oriente che l’Occidente: tenere in piedi l’alleanza con i governi arabi locali. Un altro aspetto di questa strategia consiste nel mantenere un profilo bassissimo nelle operazioni militari: i governi occidentali ci sono, ma il loro ruolo militare deve apparire il meno possibile. Solo gli arabi e i curdi devono essere in prima linea. L’obiettivo di fondo è sempre quello di separare l’islam “moderato” (tutti i gruppi islamici, anche radicali, che non fanno la guerra all’Occidente, per lo meno non nel breve periodo, per lo meno non assieme all’Isis) da quello che si è fatto attrarre dall’utopia del nuovo Califfato. “Evitare la contrapposizione fra noi e loro”, oltre ad essere uno slogan buonista che sentiamo molto spesso, è soprattutto la strategia ufficiale della coalizione anti-Isis, dal 2014 in avanti.

Solo il tempo giudicherà se questa è una strategia vincente o perdente. Per ora possiamo constatarne alcuni pesanti danni collaterali (oltre affatto che il pericolo nelle città europee non è mai apparso così alto come in questi ultimi due anni). Prima di tutto, le popolazioni dei paesi occidentali della coalizione non sanno di essere impegnate in una guerra ed esposte agli attacchi dell’Isis. Questo rende gli shock degli attentati, se possibile, ancora più duri. In secondo luogo si sta creando un forte clima di sfiducia delle opinioni pubbliche nei confronti delle loro classi dirigenti. Perché non c’è niente di peggio che nascondere un problema evidente a tutti. L'effetto sul pubblico più estremista è la proliferazione di teorie della cospirazione, spesso anche di matrice araba e iraniana. Il silenzio genera leggende nere, secondo le quali sarebbero gli stessi governi occidentali ad aver creato l'Isis per screditare l'islam, o per oscure trame di potere sul Medio Oriente. Anche nel pubblico più moderato, però, il silenzio o il depistaggio plateale creano sfiducia in chi avrebbe il dovere di difenderci. Aznar perse il governo in Spagna, per aver cercato di nascondere la matrice jihadista degli attentati di Madrid. La Francia potrebbe assistere, l’anno prossimo, alla vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali, poiché la candidata del Fronte Nazionale è l’unica che parla apertamente dello scontro in corso.