La “risposta” al Covid? L’Onu spinge ancora per l’aborto
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto in prima persona di facilitare l’aborto in questo periodo di pandemia. Diversi Paesi europei lo sostengono con una bozza di risoluzione. Anche Cedaw e Unfpa pubblicano documenti per chiedere più contraccezione e aborto libero. Insomma: forze unite contro la vita nascente.
L’aborto, la morte dell’innocente, può essere la soluzione, il “vaccino” per il Covid-19? L’Onu continua a pensare di sì. Il sacrificio di milioni di bimbi concepiti, innocui e sani, può portare alla guarigione di milioni di malati? Mai nella storia dell’umanità si è arrivati a tale punto di follia.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto in prima persona di facilitare l’aborto in tutto il mondo, e lo ha fatto proprio in questo periodo di pandemia. A morte si aggiunge morte. La stessa Unione Europea, che ha raccolto circa 8 miliardi per la ricerca del vaccino contro il Covid-19, è alla testa della barbara proposta di diffondere il genocidio dei bimbi concepiti. Ma dicevamo di Guterres. Il quale ha recentemente definito i “servizi di salute sessuale e riproduttiva fondamentali per la salute, i diritti e il benessere di donne e ragazze”. Avete letto bene, il bimbo concepito è, secondo Guterres, una malattia (perciò l’aborto è fondamentale per la “salute)”, un oggetto di proprietà (perciò ragazze e donne hanno “diritto” pieno su di lui), un disagio (perciò il “benessere” coincide con l’aborto).
Come riporta il Friday Fax, la scorsa settimana sono emersi alle Nazioni Unite due progetti di risoluzione in merito all’impatto del Covid-19 sulle donne. Una delle principali controversie nei negoziati riguarda le prerogative nazionali sull’aborto. Entrambe le risoluzioni si basano su un documento, pubblicato poco prima di Pasqua, dal titolo: “L’impatto del COVID-19 sulle donne". Il documento cerca di designare un elenco di politiche prioritarie per proteggere le donne dalla pandemia, includendo i “servizi di salute sessuale e riproduttiva”.
Una risoluzione - sponsorizzata da Algeria, Cina, Egitto, Arabia Saudita e Zambia - riconosce le prerogative nazionali quando si tratta di “salute sessuale e riproduttiva”, definizione nella quale questi Paesi non includono l’aborto (nel rispetto di ogni documento consensuale approvato dall’Onu). L'altra risoluzione - sponsorizzata da Paesi europei - riduce al minimo le prerogative nazionali e conferisce alla burocrazia delle Nazioni Unite un ampio mandato, amplia i poteri del segretario generale dell’Onu e include una “nota di orientamento” esplicitamente pro aborto, come essenziale per rispondere al Covid-19. Dimenticatevi guanti, mascherine o altre attenzioni sanitarie: l’aborto è la soluzione al Covid-19… Che siano proprio i nostri Paesi a promuovere la “libertà” di aborto nel mondo - mentre all’Europa tocca il record tragico di contagi (1.406.385 su 3.544.222 nel mondo) e di morti (più di 140.000 su oltre 250.000 nel mondo) - la dice lunga sulla salute mentale e morale del nostro continente, delle nostre istituzioni comuni e di molti politici europei.
Le discussioni tra tutti i Paesi membri dell’Onu sono tuttora in corso, così come le pressioni delle lobby abortiste e dei benevoli filantropi, animati dagli spiriti immondi dell’eugenetica e del malthusianesimo. La pandemia di Covid-19 ha rovesciato le normali dinamiche negoziali delle Nazioni Unite, rendendo il processo negoziale meno trasparente.
Le normali procedure del sistema delle Nazioni Unite si sono fermate, come riferisce ancora il Friday Fax, a causa del panico globale sul nuovo Coronavirus. Gli Stati membri delle Nazioni Unite devono ripubblicare le risoluzioni da remoto, non ci sono negoziazioni informali di risoluzioni e alle delegazioni vengono assegnati i termini temporali entro i quali opporsi alle risoluzioni. Se non viene fatta alcuna obiezione, la risoluzione viene dichiarata adottata. L'amministrazione Trump, che ha guidato gli sforzi per rimuovere la definizione di “servizi di salute sessuale e riproduttiva” dalla politica delle Nazioni Unite e utilizzare una terminologia meno ambigua, sta facendo sentire il proprio peso. Un peso che speriamo sia determinante per evitare di aggiungere alla pandemia da Covid-19 il genocidio da aborto.
Già prima della dichiarazione di “pandemia”, l’aborto era stato promosso dall’Onu come risposta al Covid. E ancor più attenzione e risorse sono state dedicate alla “salute sessuale e riproduttiva” dopo l’appello del segretario generale al sistema delle Nazioni Unite, come si può vedere nel documento pensato per il periodo aprile-dicembre 2020.
Il Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni verso le donne (Cedaw), un gruppo di 23 ‘esperti’, ha anche pubblicato una propria guida di orientamento sul Covid-19 nella quale si dichiara che i Paesi “devono” fornire “le moderne forme di contraccezione, l’aborto sicuro e i servizi post-aborto” durante la pandemia.
L’Unfpa, ovvero il fondo dell’Onu che dovrebbe occuparsi della popolazione e dello sviluppo, ha seguito a sua volta le indicazioni impartite da Guterres, pubblicando una propria proiezione statistica - fondata non si sa bene su quali presupposti - nella quale si afferma che almeno 7 milioni di donne sarebbero incinte pur non desiderandolo, proprio per la scarsità di prodotti contraccettivi e ostacoli all’aborto libero.