La poesia di Tarkovskij a 25 anni dalla morte
I sovietici ne temevano l'arte e Dacia Maraini ne stravolse il famoso Solaris.
Esule volontario, il grande regista non rientrò in Russia nemmeno da morto.
Domani, 29 dicembre, ricorre il 25° anniversario della scomparsa del grande regista russo Andrej Tarkovskij.
Nel suo breve scritto contenuto in Luce istantanea (Edizioni della Meridiana 2002), il volume che raccoglie le polaroid scattate da Tarkovskij, Tonino Guerra ricorda come il russo riflettesse spesso sul tempo, sulla sua “fuga”, e di come la sua vita sia stata una continua aspirazione a fermarlo (con le foto, con il cinema). Verificatane l’impossibilità, la sua arte è stata inesausta ricerca che sapeva di dover attingere anzitutto alla memoria: «mi è indispensabile sentire la mia condizione di erede», ha scritto Tarkovskij, «e la non casualità del mio essere in questo mondo». Ecco spiegato il perché gli sia risultata sempre cara «l’appartenenza a una tradizione, a una cultura, a una cerchia di persone o di idee». Ed è stato questo a renderlo un vero artista, cioè un «inattuale», un uomo intento a «scolpire il tempo», lontano dalle concessioni al realismo socialista di stampo sovietico, ma anche al modello occidentale della mercificazione dell’arte.
Andrej Tarkovskij nacque il 4 aprile del 1932 a Zawrashje, un piccolo villaggio sulle rive della Volga, figlio del poeta Arsenij e di Marija Ivanovna. Iscrittosi nel 1952 all'istituto di lingue orientali di Mosca, profondamente formato dalla religiosità della madre, Andrej subì l’ambiente accademico ateista degli anni più duri dello stalinismo. Dopo appena due anni abbandonò gli studi e scelse la natura imponente della taiga siberiana per lavorare come geologo. Tornato a Mosca, nel 1956 si iscrisse alla Scuola Superiore di Cinematografia, dove seguì i corsi di Michail Romm, un regista fedele all’estetica del realismo socialista e tuttavia attento a valorizzare le qualità di regista del giovane Andrej, il cui primo titolo sarà, nel 1958, Gli uccisori, un cortometraggio che riprende uno dei più celebri racconti di Ernest Hemingway, cui seguirà l'anno dopo il mediometraggio Non cadranno foglie stasera.
Nel 1960 Tarkovskij si diplomò presentando Lo schiacciasassi ed il violino. Nel 1961 sposò l’attrice Irma Rauš, dalla quale nel 1962 avrà un primo figlio, Arsenij. Nello stesso anno escì L'infanzia di Ivan, il suo primo lungometraggio, che vincerà il Leone d’Oro al Festival di Venezia. Lontano dai dettami del “realismo socialista” il film si sviluppa in un'atmosfera poetico-simbolica, con continui debordamenti in dimensioni oniriche. Il regime sovietico non poteva sopportare opere di quel taglio, così, quando Tarkovskij inizierà a girare Andrej Rublëv, nel 1966, l’ostilità divenne aperta. Con questo film il regista rilesse la storia della Russia del Quattrocento attraverso la vita e la fede cristiano-ortodossa del grande pittore di icone e con esso partecipò nel 1969 al Festival di Cannes, vincendo il premio della critica internazionale: in Unione Sovietica Andrej Rublëv venne proiettato solo nel 1971.
Fu sul set di Andrej Rublëv che Tarkovskij conobbe Larisa, la donna che sposò nel 1969. Nel 1970 nacque Andrej Andreevi?, il figlio che da alcuni anni sta tenendo viva la memoria del padre regista. Un impegno che tra i frutti più significativi ha prodotto la pubblicazione di Martirologio (Edizioni della Meridiana 2002), il diario che il padre Andrej iniziò a tenere proprio a partire dal 1970, e della citata raccolta fotografica Luce istantanea.
Il 1972 fu l’anno di Solaris, per il quale Tarkovskij prese ispirazione dall'omonimo romanzo di Stanislaw Lem, un film dall’atmosfera metafisica che tuttavia venne banalmente presentato come “la risposta sovietica a 2001. Odissea nello spazio” e la sua versione italiana fu affidata a Dacia Maraini. La scrittrice ne stravolse la natura: senza il consenso del regista tagliò quaranta minuti di film e rimontò arbitrariamente alcune scene. Si è dovuto attendere il 2001 per veder circolare in Italia la versione integrale del film.
Nel 1974 Tarkovskij porterà a compimento Lo specchio. Quale segno della personalità esigente del regista è utile ricordare come Vadim Jusov, fino ad allora il suo operatore di fiducia, si rifiutò di girare il film perché ritenuto troppo presuntuoso. Dopo quest’opera, dalla dimensione così personale e atemporale, a Tarkovskij il regime sovietico impedì di girare altri film. Così tra il 1976 e il 1977 il regista si dedica al teatro e mette in scena a Mosca l'Amleto di William Shakespeare. Nel 1978, in virtù di un permesso speciale Tarkovskij tornò al cinema, iniziando la lavorazione di Stalker, che uscirà nel 1979. Protagonisti di questo viaggio all'interno di una misteriosa Zona, in un’atmosfera post-atomica, sono lo stalker-guida, uno scienziato e uno scrittore; dopo aver subito anch’esso l’ostilità del regime, il film venne proiettato a sorpresa e con successo a Cannes.
Quando nel luglio di quello stesso anno Tarkovskij ottenne il permesso di espatrio per l’Italia, per lavorare ad una produzione RAI, la moglie Larisa e Andrusha vengono trattenuti in URSS. Fu allora che ebbe inizio la collaborazione e l’amicizia con Tonino Guerra: insieme girarono anzitutto il documentario RAI Tempo di viaggio, cui sarebbe seguito il film Nostalghia. Dopo un paio d’anni fatti di viaggi in Occidente e soggiorni in URSS, nel 1982 Tarkovskij prese la decisione di non fare mai più ritorno in patria e la sua città adottiva fu Firenze. Così Nostalghia, girato in Italia nel 1983, fu il suo primo film realizzato lontano dall’URSS.
Nel 1984 il regista chiese e ottenne asilo politico negli Stati Uniti e il suo divenne il caso più clamoroso di dissenso in URSS dai tempi di Aleksandr Solženicyn. L’anno successivo, grazie all'interessamento di Ingmar Bergman, Tarkovskij si recò in Svezia per girare Sacrificio, quello che, uscito nel 1986, si sarebbe rivelato essere il suo ultimo film. Il film racconta la storia di Alexander, un uomo che vede crollare tutto ciò in cui crede in seguito all'improvviso scoppio di una guerra nucleare. Con questo film, raffinato e pieno di omaggi a Bergman (questi dichiarò più volte di ritenere Andrej Rublëv il più bel film mai visto), Tarkovskij ha portato in qualche modo a compimento tutte le proprie tematiche e la propria poetica.
La malattia uccise Tarkovskij nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1986 in una clinica di Parigi. I funerali si svolsero il 3 gennaio seguente nella cattedrale ortodossa di Sant'Aleksandr Nevskij. Memorabile allora fu la presenza di Mstislav Rostropovi?, che sul sagrato della chiesa la Suite per violoncello n°2 di Johann Sebastian Bach.
La moglie Larisa si rifiutò di portare la salma in patria (come proposto dalle autorità sovietiche), così Tarkovskij giace ancor oggi nel piccolo cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-de-Bois, vicino a Parigi.
Da ultimo è utile ricordare come sia in particolare grazie ad Andriusha, il figlio del regista, all’editore Andrea Ulivi (Edizioni della Meridiana), entrambi a Firenze, e al fotografo Giovanni Chiaramonte, oltre che a Tonino Guerra, se in Italia la memoria del grande russo continua a essere viva e ha prodotto negli ultimi anni importanti iniziative in ambito editoriale e cinematografico.