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FRANCIA

La novità lepenista e i vecchi schemi politici

La vittoria del Fronte Nazionale nelle elezioni regionali francesi, benché sia solo al primo turno e benché sia in ambiti locali, non può essere sottovalutata da alcun punto di vista. Prima di tutto, segnala una tendenza a ribellarsi ai vecchi partiti, troppo arroccati nei loro cliché antifascisti e antirazzisti, pur nel mezzo dell'attacco terrorista.

Esteri 08_12_2015
Marion Le Pen

Le elezioni in Francia sono solo al primo turno. La portata delle elezioni in Francia è solo regionale (domenica si votava per il rinnovo delle regioni). Eppure l’opinione pubblica è scossa, sia in positivo che in negativo, a seconda dei gusti. Il perché è facile dirlo: il primo turno è stato vinto dal Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Si tratta di una vittoria non sottovalutabile, da nessun punto di vista. Prima di tutto, da un punto di vista regionale sono ben 6 le regioni in cui Fn è primo, meglio delle migliori previsioni che gliene aggiudicavano 3. In due di queste regioni, Marine Le Pen ha conquistato una maggioranza schiacciante (circa 15 punti di stacco rispetto al candidato gollista) candidandosi in Piccardia-Nord-Pas de Calais. Nell’altra, Marion Maréchal Le Pen ha conquistato un’analoga maggioranza presentandosi in Provenza-Alpi-Costa Azzurra. Entrambe sono regioni chiave da un punto di vista economico (sono i maggiori sbocchi sul mare della Francia) e proprio per questo sono le aree a maggior tasso di immigrazione assieme a Parigi. Oltre a questi due capisaldi ai poli opposti della Francia, i lepenisti sono anche arrivati primi in Alsazia-Champagne-Ardenne-Lorena (il Nordest, altra area ad alto tasso di immigrazione) con Florian Philippot, una delle menti del partito; nel Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées (Sudovest) sono in testa con Louis Aliot compagno della Le Pen, in Borgogna Franca-Contea (una regione agricola) e nel Centro-Valle della Loira. L’ombra del Fn si stende dunque da Nord all’Est fino al Sud, in un ideale accerchiamento fisico dei partiti tradizionali, arroccati a Parigi e nelle regioni atlantiche. 

Proiettata a livello nazionale, la vittoria del Fn appare ancora più eclatante. In tutta la Francia è ormai il primo partito, con il 28% dei consensi. Il partito di Nicolas Sarkozy, vincitore delle ultime consultazioni locali, si è fermato al 26,8%. I socialisti sono i veri sconfitti. Riescono a malapena a raggiungere il 23% dei consensi e vengono emarginati dalla vita politica. Lo scontro è ormai fra le due destre, quella gollista di Sarkozy e quella nazionalista della Le Pen. Anche guardando questi risultati nazionali in prospettiva, non si può non notare una tendenza in crescita della destra: il Fronte Nazionale aveva totalizzato il 26% (contro il 28% attuale) nelle ultime amministrative e alle scorse presidenziali la Le Pen aveva raccolto il 18% dei consensi.

A parte i timori condivisi da gran parte dei media su un eventuale “ritorno al fascismo”, la vittoria della Le Pen deriva anche dal suo abbandono di ogni parvenza di fascismo. Il suo contatto con il padre Jean Marie Le Pen è stato anche formalmente interrotto con la sua cacciata dal partito, a causa delle sue insostenibili posizioni antisemite. “L’odio antisemita - scrive il filosofo Alain Finkielkraut nel suo libro La Seule Exactitude - quindi non si trasmette più in famiglia. Questa disattivazione del virus, che dovrebbe rallegrare gli antifascisti, li getta al contrario nel furore e nello spavento. Scandiscono, con nuova determinazione, ‘il fascismo non passerà!’ ma è ‘il fascismo non trapasserà, non morirà!’ che bisogna intendere. Se questo pericolo supremo venisse a mancare, sarebbero come dei bambini perduti, vagherebbero senza punti di riferimento in un mondo indecifrabile. A terrorizzarli, più che il fascismo, è l’eventualità della sua scomparsa. Si dicono progressisti, ma sono dei devoti dell’immutabile: odiano il nuovo e credono con tenacia di ferro nell’eterno ritorno delle ore più oscure della nostra storia”. Paradossalmente l'antisemitismo, quello vero, virulento, che spinge sempre più ebrei francesi a emigrare in Israele, da un decennio a questa parte arriva dagli "anti-sionisti" delle comunità islamiche, proprio da quei settori "svantaggiati" della società protetti dalla sinistra socialista. Il barbaro delitto di Ilan Halimi (rapito, torturato e ucciso nel 2006), gli attacchi a sinagoghe e cimiteri, fino alla strage all'Hyper Kasher di gennaio sono tutti ad opera di delinquenti e terroristi musulmani. Anche se il solo ricordarlo può costare l'accusa di islamofobia o razzismo tout court.

All’estero ha suscitato abbastanza clamore la rivelazione sui finanziamenti ricevuti dalla Russia (9 milioni subito, 40 spalmati da qui alle presidenziali del 2017), ma agli elettori francesi importa poco, evidentemente. Anche perché la Francia è fondamentalmente filo-russa: Sarkozy aveva venduto alla marina di Mosca le nuove navi d’assalto anfibio Mistral (la cui consegna è stata poi annullata a causa della guerra in Ucraina) e tuttora esprime parole di comprensione, a dir poco, nei confronti del presidente russo; quanto al presidente Hollande, si è rivolto alla Russia prima ancora che alla Nato per lanciare la guerra al terrorismo dopo l’attacco subito a Parigi.

E arriviamo al punto: il terrorismo. La vittoria del Fn avviene dopo un anno da dimenticare, un 2015 iniziato con la prima strage di Parigi (quella al Charlie Hebdo e all’Hyper Kasher) e il massacro del venerdì 13 novembre, il vero “11 settembre della Francia”, il peggiore attentato mai subito. In mezzo a questi due grandi colpi incassati, non bisogna poi dimenticare i micro-attentati, poi passati in fondo alla cronaca, come quello di Lione: lo jihadista fai-da-te che taglia la testa al suo datore di lavoro, la espone sulla rete di cinta dell’autostrada e poi prova a farsi esplodere nella fabbrica chimica in cui lavora. E anche il massacro al Charlie Hebdo era stato preceduto da una serie di micro-attentati, soprattutto auto e camioncini lanciati contro la folla, come a Gerusalemme, in varie città, nel pieno dell’atmosfera rilassata pre-natalizia. La maggioranza dei francesi ha percepito chiaramente di non essere protetta, di aver subito il peggior lutto, quello del venerdì 13, a meno di un anno dalla strage di Parigi e pur dopo una serie di segnali e allarmi inequivocabili che avrebbero dovuto allarmare la sicurezza nazionale. Anche in questo caso si è trattato di un errore attribuito alla cultura dominante dell’élite, più attenta a combattere il razzismo che non al pericolo jihadista in sé. Scrive ancora Finkielkraut che, con l’aggravarsi della crisi degli immigrati “c’è un razzista da denunciare ogni settimana, l’antirazzismo è sempre alla caccia di una nuova preda. È assurdo”. Tanto assurdo che lo hanno capito anche i francesi, votando contro i partiti tradizionali e a favore dell'unico partito che propone una lotta dura e senza compromessi al terrorismo e all'immigrazione clandestina.

Nel secondo turno, domenica prossima, come era ampiamente prevedibile, il Partito Socialista e quello Repubblicano (gollista) faranno fronte comune, ritirandosi dalla competizione ove si può favorire vicendevolmente il candidato più forte contro Fn. Se anche in quel caso i francesi li manderanno a casa entrambi, la vittoria lepenista avrà realmente una portata rivoluzionaria. Ma allora (e solo allora) si potrà giudicare realmente questa nuova creatura politica, in base alla politica che attuerà.