La Nord Corea mette a morte chi guarda film stranieri
Pena di morte per chi guarda un film straniero. Lavori forzati per chi veste alla maniera occidentale. È l'ultima legge assurda emessa dal regime della Corea del Nord, per punire chiunque osi guardare al mondo esterno. La durezza delle nuove norme dipende dall'insicurezza di un regime comunista che governa un popolo ridotto alla fame.
I film della Corea del Sud sono sempre più apprezzati e premiati in Occidente. Paradossalmente, benché a Seul confinino con l’inferno totalitario nordcoreano, i registi più famosi, primo fra tutti Bong Joon Ho (Oscar nel 2020 per Parasite) sono di formazione marxista. Nel Nord, regime marxista-leninista mai riformato dai tempi di Stalin, vedere Parasite, o qualsiasi altro film sudcoreano, giapponese o statunitense, può costare… la vita. Secondo una legge approvata ieri dal “parlamento”, su proposta del dittatore Kim Jong-un, è stata reintrodotta la pena di morte per chi importa o detiene film stranieri, come ai tempi di suo nonno, Kim Il Sung. Per chi viene semplicemente scoperto a guardarli, sono previsti 15 anni di lavori forzati e rieducazione in campo di concentramento.
La repressione riguarda anche usi e costumi stranieri, specialmente se sono sudcoreani. Kim Jong-un ha scritto una raccomandazione alla Lega della Gioventù (l’organizzazione giovanile del Partito comunista) per vigilare e reprimere “comportamenti malsani, individualisti e anti-socialisti”, come portare un paio di jeans, farsi fare un taglio di capelli sul modello dei cantanti pop sudcoreani, parlare con uno slang sudcoreano, tutte cose che il “brillante compagno” (come è soprannominato il dittatore) definisce “veleni pericolosi” per la società. Secondo il Daily NK, quotidiano governativo sudcoreano (dipendente dal Ministero dell’unificazione) che monitora la vita quotidiana e politica del Nord, vi sarebbero già le prime vittime della nuova legge. Tre adolescenti sarebbero stati arrestati e mandati in un campo di rieducazione per aver sfoggiato un taglio di capelli in stile K-pop, alla maniera delle star sudcoreane.
Sempre secondo il Daily NK, la legge prevede punizioni collettive. Non viene punito solo il cittadino colpevole di guardare un film del Sud, occidentale, o giapponese, ma anche il suo capo-fabbrica. Se il colpevole è un minorenne, vengono puniti anche i genitori. Il regime, insomma, incoraggia anche con questi metodi, lo spionaggio privato e il controllo reciproco, diffondendo un terrore generalizzato nella società. Secondo Choi Jong-hoon, fuggito dalla Corea del Nord, «tempi più duri, implicano leggi, regolamenti e punizioni più dure», come dichiara alla BBC. Choi conferma che i ragazzi rei di avere una condotta troppo occidentale (leggasi: sudcoreana) già vengono mandati regolarmente nei campi di lavoro. Che in questi anni sono stati espansi, stando a quanto è documentato da foto satellitari. «Inizialmente le pene per questi reati erano di un anno di lavori forzati. Poi sono state inasprite a tre anni. Adesso, se finisci in un campo di concentramento, scopri che più della metà dei giovani che vi sono internati sono lì perché hanno visto media stranieri».
Già da anni regime e cittadini hanno ingaggiato una lotta da gatto col topo: per i nordcoreani che vogliono semplicemente godersi un film, la tecnologia viene in aiuto con chiavette che si auto-formattano dopo un solo utilizzo, o altre che si possono attivare solo con una password e con il contenuto che si autodistrugge se si sbaglia a digitarla anche solo una volta. Non è solo per questi motivi che il regime ha inasprito la repressione. Ma anche e soprattutto per la: fame. La combinazione fra la pandemia (che è stata affrontata con la chiusura ulteriore delle frontiere), una serie di potenti tempeste estive e il fallimento dell’ultimo piano quinquennale, ha ridotto il popolo alla fame.
Secondo fonti governative sudcoreane, anche le truppe di frontiera, solitamente quelle trattate meglio nell’esercito, stanno ricevendo razioni ridotte di cibo dal mese di marzo. Tant’è vero che la popolazione locale inizia a temere saccheggi e sequestri di generi alimentari da parte di soldati e ufficiali affamati. In generale, il 63% della popolazione nordcoreana rischia la fame, secondo i dati rivelati ad aprile dal dipartimento Usa dell’Agricoltura. È il dato peggiore in Asia dopo quello dello Yemen (92%) e Afghanistan (67,3%), entrambe zone di guerra. Nel 2019, prima che subentrasse anche il problema del Covid, la popolazione nordcoreana a rischio fame era il 59%. Quindi si tratta di una tendenza consolidata. A soffrire sono soprattutto i più piccoli: secondo rapporto del 5 maggio di Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite, Oms e Banca Mondiale, quasi un quinto dei bambini nordcoreani è malnutrito, una condizione che con ogni probabilità peggiorerà per gli effetti della pandemia da coronavirus.
Kim Jong-un ha ammesso, implicitamente, che l’ultimo piano economico quinquennale è fallito. Lo si deduce dal fatto che sei vice premier responsabili della politica economica sono stati sostituiti, a causa di “seri errori”. Il regime ha stimato per quest’anno una crescita delle entrate statali dello 0,9%: il tasso più basso dalla grande carestia di metà anni Novanta del secolo scorso. Nel nuovo piano quinquennale, tuttavia, non si notano grandi differenze. Come ai tempi di Stalin, il grosso dello sforzo è concentrato sull’industria pesante e sulla chimica. Kim raccomanda anche uno sviluppo maggiore delle infrastrutture e della telefonia cellulare. Che tuttavia non potrà mai essere usata per comunicazioni che non siano rigorosamente approvate e controllate dal regime.