La Nato mostra denti che non ha
Bilancio tutto al negativo per il vertice Nato in Galles. Si doveva discutere dell'operazione Resolute Support per sostenere l'Afghanistan dopo il ritiro, ma a Kabul non c'è ancora un presidente. La deterrenza nei confronti della Russia è fallita: Putin ha quasi del tutto raggiunto i suoi obiettivi in Ucraina. E contro l'Isis si opta per un'azione quasi solo simbolica.
La Nato si è riunita in Galles per affrontare le grandi sfide alla sicurezza globale ma l’impressione è che navighi a vista, priva di una strategia e ridotta all’impotenza dai limiti e dalle contraddizioni dei suoi Stati membri. L’esempio delle finte risposte dell’Alleanza Atlantica ai conflitti in atto in Ucraina e in Iraq/Siria rappresentano perfettamente la perdita totale di ogni capacità di esprimere una reale deterrenza senza dimenticare che il vertice di Newport ha potuto reinventarsi grazie alle crisi sopra citate dopo aver dovuto archiviare il dossier Afghanistan. Il summit era stato infatti concepito per mettere a punto l’operazione Resolute Support, cioè il prosieguo dell’impegno alleato a Kabul dopo la conclusione alla fine dell’anno della missione dell’International Security Assistance Force, attiva dal 2002.
A Kabul però non c’è ancora un presidente eletto in grado di firmare il Bilateral Security Agreement con gli Stati Uniti, indispensabile a prolungare per altri due anni la presenza di istruttori e consiglieri militari della Nato. Il tempo stringe e l’impressione è che tutti siano pronti (e ben lieti) di lasciare l’Afghanistan a fine anno come facemmo con l’Iraq nel dicembre 2011. I risultati di quel ritiro li paga oggi tutta la regione, ma del resto in Afghanistan la Nato ha subito la sua prima, umiliante, sconfitta.
Se i teatri bellici esplosi negli ultimi mesi in Ucraina e Iraq hanno permesso di dare comunque un senso al vertice di Newport, questo non significa che la Nato abbia saputo esprimere risposte significative. L’Alleanza si è mostrata compatta nel sostenere l’Ucraina con una serie di iniziative assolutamente inutili, quali l’appoggio a sanzioni economiche che in Europa pochi vogliono davvero porre e con la creazione dell’ennesimo corpo d’intervento rapido multinazionale. Uno scatolone vuoto, utile solo a creare l’ennesimo comando che darà posti di lavoro a generali e colonnelli, ma privo di truppe che verranno assegnate dai singoli stati solo in caso di emergenza, cioè se uno Stato membro della Nato venisse attaccato. La divisione a guida britannica (Londra ci metterebbe 3.500 dei 10 militari previsti) dovrebbe fornire una prima risposta a minacce dirette a colpire le Repubbliche Baltiche, che però non sembrano essere nel mirino dei tank dell’armata russa. Anche le nuove 5 basi che la NATO intende istituire a Est servono solo a irritare Mosca, non certo ad aiutare Kiev.
A Putin basta prendere il controllo dell’Ucraina dell’Est cosa che gli sta riuscendo piuttosto bene con l’invio di qualche migliaio di militari (“volontari” secondo i separatisti di Donetsk) sufficienti a mandare alle corde l’esercito e le istituzioni di Kiev. Il presidente Petro Poroshernko ha dovuto accettare una tregua su cui imbastire un negoziato che vede Mosca e i separatisti in posizione di forza per ottenere larga autonomia o piena indipendenza per le regioni orientali del Paese. La tregua stabilita ieri ha evitato figuracce peggiori alla Nato, ma del resto la sua impotenza era stata già ben compresa da Putin, consapevole che nessun Paese occidentale è pronto a inviare truppe a combattere e morire per Donetsk.
Il segretario generale della Nato, Andres Fogh Rasmussen, ha annunciato la messa a punto di “un pacchetto di misure perché l'Ucraina possa provvedere meglio alla propria sicurezza”. Detto così sembrava un provvedimento importante, poi Rasmussen ha aggiunto “gli alleati hanno stabilito di stanziare 15 milioni di euro” che verranno concentrati sulla cyber difesa, la logistica, il controllo e le comunicazioni e sulla “riabilitazione dei soldati rimasti feriti”. In pratica mentre unità blindate e di paracadutisti russi circondano i reparti ucraini, la Nato risponde stanziando due soldi per la difesa informatica.
Deterrenza zero: questo è il bilancio dell’Alleanza Atlantica nei confronti del nemico storico, quella Russia che ai tempi dell’Urss rappresentò la vera ragion d’essere della Nato. Certo Barack Obama preme sugli alleati europei perché spendano di più per la difesa (comprando F-35 e altre armi made in USA) per far fronte alla nuova minaccia russa, ma è stato proprio lui il primo ad annunciare che Mosca “pagherà caro” l’intervento delle sue truppe in Ucraina escludendo però un’azione militare statunitense.
Il bilancio non è certo migliore sul fronte della lotta ai jihadisti dello Stato Islamico, dove Washington ha convinto 9 Paesi ad aderire a una “core coalition” per combatterlo. Si tratta di Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Francia, Germania, Danimarca, Polonia, Turchia, Canada e Australia (unico partner extra Nato), un “gruppo centrale che formerà una coalizione più larga ed estesa necessaria per affrontare questa sfida” ha detto il Segretario alla Difesa americano Chuck Hagel.
In realtà i 10 si limiteranno forse a inviare qualche cacciabombardiere a colpire i jihadisti perché, come ha precisato il segretario di Stato John Kerry, l’intervento militare è contraddistinto “ovviamente con una linea rossa invalicabile per tutti noi: escludere l'impegno di truppe di terra”.
La campagna militare contro lo Stato islamico sarà tutta qui: eventualmente qualche raid di precisione condotto da alta quota per non rischiare perdite o prigionieri esposti al rischio di decapitazione con tanto di video. Sul campo di battaglia la Nato non ci va, lascia che a combattere siano curdi, sciiti iracheni (gli stessi miliziani che negli anni scorsi attaccavano i contingenti alleati in Iraq) e le truppe siriane di Bashar Assad.
Tre anni fa la Nato condusse una guerra analoga contro il regime libico, solo aerei in appoggio ai ribelli, ma niente truppe sul terreno: i risultati di quel successo sui vedono benissimo anche oggi…
I miliziani sunniti di Abu Bakr al Baghdadi potranno invece mettersi sul petto già questa sera la nuova medaglia di paladini dell’islam contro l’alleanza dei “crociati” che porterà loro chissà quanti altri finanziamenti e volontari pronti al jihad.