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IL RACCONTO

«La mia fuga per la salvezza (dal covid)»

Silvio Novi è uno dei 3700 pazienti che il dottor Gerardo Torre ha guarito dal covid e che il 28 gennaio sarà processato dall'Ordine. Il suo caso è diventato il simbolo della lotta alla vigile attesa. A difenderlo ci saranno anche molti pazienti. Tra cui Novi, che ha percorso in ambulanza 760 km per farsi curare da Torre: «A Brescia sarei morto». Ecco il racconto del suo viaggio rocambolesco in ambulanza. 

Attualità 24_01_2022

Quando il 28 di gennaio si ritroveranno per sostenerlo sotto le finestre dell’Ordine dei medici di Salerno, ci sarà anche lui. Silvio Novi, 36 anni si definisce un salvato dal dottor Gerardo Torre. Il medico è finito sotto procedimento dell’Ordine dei medici su segnalazione di alcuni colleghi che si sono sentiti offesi dalle parole utilizzate dal dottore nel corso di un comizio.

Parole eccessive, secondo alcuni, dato che Torre ha definito «delinquenziale» il comportamento dei medici di base che non sono andati a visitare i pazienti a casa. Parole di verità, ha ribattuto invece lui, forte del consenso popolare che gli fa dire oggi di aver curato oltre 3700 pazienti visitandoli personalmente con la sua unità mobile e guarendoli tutti.

Sarà l’Ordine a dirimere la questione, che nel frattempo è già diventata emblematica ed ha assunto i toni dello scontro: di qua la libertà di cura di medici, di là la vigile attesa a base di Tachipirina. E in questo scontro Torre dovrebbe rappresentare il medico vittima, che cura i pazienti e viene per giunta messo sotto procedimento disciplinare.  

Ebbene. Tra questi 3700 pazienti c’è anche Novi, che è originario di Pagani, ma vive a Brescia dal 2017, città dove lavora nel campo dello smaltimento rifiuti.

Ed è a Brescia, nell’agosto scorso che tutto comincia mentre è a Pagani che tutto finisce. In mezzo c’è una rocambolesca corsa in ambulanza per poterlo portare a curarsi da Torre. La Bussola si è fatta raccontare da Novi come sono andate le cose. E ha scoperto che quella che inizialmente la dottoressa aveva scambiato per una banale tracheite, in realtà era Coronavirus.

«La dottoressa mi ha prescritto un antibiotico e la Tachipirina, ma dopo quattro giorni di terapia sono stato malissimo – ricorda oggi -. Le ho telefonato e mi ha detto di proseguire la terapia».

Ma evidentemente quella era una terapia sbagliata, per la malattia che aveva Novi. Così si reca al pronto soccorso di Brescia e il 2 settembre, una settimana dopo i primi sintomi, scopre di essere positivo al covid.

Ma al pronto soccorso, se da un lato incominciano con la terapia giusta, cortisone ed eparina, Novi viene sottoposto a un dosaggio doppio di Clexane: «Un dosaggio elevatissimo che – ho poi saputo dopo – avrebbe potuto portarmi alla morte». Nel frattempo, Novi torna a casa, ma sta ancora malissimo, si sente abbandonato, la saturazione scende a 70.  «Torno in pronto soccorso e mi dicono che dalle lastre i polmoni sono danneggiati. Ma non mi ricoverano. Mi dicono che non c’è la cura e io mi arrabbio: “Ma che devo fare? Devo morire?”. Una volta a casa chiamo mia madre: “Mamma, sto morendo”, le dico. E chiamo mia sorella».

Qui entra in scena Anna, che ha lavorato come volontaria in Croce Rossa a Pagani e conosce Torre che da più di un anno sta curando in giro per la provincia di Salerno centinaia di pazienti a bordo di un camper attrezzato da unità mobile. È lei a contattare il medico globetrotter e a metterlo in comunicazione col fratello: «Apprendo da lui che il dosaggio del Clexane è elevatissimo – spiega -. Mi cambia la cura al telefono e poi si offre di venirmi a prendere con un’ambulanza. Io non sapevo che dire, ma stavo avendo la mia prima crisi respiratoria e mi sentivo morire».

Alle 3 di notte del 5 settembre, l’ambulanza con a bordo un medico, un’infermiera, l’autista e un nipote di Novi, è sotto casa. Si parte subito: Novi saluta la moglie destinazione Pagani. «A bordo mi è stata completamente cambiata la terapia, una flebo con antibiotici e cortisone per farmi stare meglio e da lì è iniziata la mia cura che è durata 21 giorni». L’ambulanza percorre i 760 km fino a Pagani in tempi celeri: alle 11 è dalla madre di Novi. Ed è lì, poche ore dopo che Torre lo visita e gli dà la terapia. «Una cura mirata perché stavo davvero male – dice -. Nei giorni successivi il dottore si è sempre informato al telefono ed è venuto a visitarmi alcune volte».

Dopo 21 giorni, Novi è completamente guarito ed è tornato alla sua vita a Brescia. Oggi, ripensando a quell’avventura agostana, a chi gli chiede che cosa pensa delle accuse rivolte a Torre reagisce con sdegno: «Dovrebbero fargli un monumento, io ho visto la morte in faccia e so che se non fosse stato per Torre ora non sarei qui. Tutto il resto sono chiacchiere». Ed è con questo spirito che il 28 Novi scenderà a Salerno per manifestare solidarietà a Torre.