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L'ANALISI

La manovra del Governo tra luci e ombre

Un deciso passo avanti per il risanamento delle finanze pubbliche, ma anche forti debolezze e iniquità.
- Da tecnici a politici, di R. Ronza

Attualità 19_12_2011
mario monti

La manovra presentata dal Governo di Mario Monti, corretta in molti punti dalle commissioni parlamentari, costituisce un deciso passo avanti per il risanamento delle finanze pubbliche, ma presenta anche forti debolezze, iniquità e provvedimenti varati sotto l’evidente spinta della fretta.

C’è una premessa importante da fare. Il Governo fin dal primo giorno non ha nascosto la verità, ha affermato con chiarezza che l’Italia era arrivata vicino ad un punto di non ritorno, senza più la fiducia dei mercati finanziari e quindi nella pratica impossibilità di continuare a pagare stipendi pubblici e pensioni private. E questo perché nei dieci anni di partecipazione alla moneta unica nessun governo è riuscito ad attuare  una coerente politica di riduzione del debito pubblico: i bassi tassi di interesse garantiti dall’euro sono serviti più a coprire e a nascondere i problemi che non a risolverli.

In pratica la politica ha continuato negli ultimi anni sia (più lungo) con i Governi di destra, sia con quelli di sinistra, a far vivere l’Italia al di sopra dei propri mezzi, contraendo sempre nuovi debiti e senza la capacità di attuare vere riforme strutturali.
Il merito del Governo Monti è stato così soprattutto quello di essere intervenuto su due capitoli fondamentali per il bilancio pubblico, quello del fisco e quello della previdenza. Sul fisco non c’è solo un aumento significativo delle imposte indirette, in particolare con la vecchia e antipatica formula dell’aumento delle accise sulla benzina, ma c’è soprattutto la reintroduzione dell’imposta sugli immobili, prima casa compresa, imposta che era stata abolita per pure finalità elettorali dall’ultimo Governo Berlusconi. Nell’esame parlamentare è stato introdotto, pur se in maniera quantitativamente simbolica, l’importante principio della dimensione familiare: una famiglia numerosa che vive in un normale appartamento può arrivare ad essere esonerata dall’imposta tenendo conto della detrazione di base di 200 euro a cui si aggiungono 50 euro per ogni figlio.
Una imposta sugli immobili, prima casa compresa, esiste in pratica in tutti i paesi e questo sia per un fattore di equilibrio del peso fiscale complessivo, sia perché ogni abitazione richiede comunque una serie di servizi pubblici il cui costo grava sulla collettività.

Ancora più incisive sono tuttavia le norme della manovra che riguardano le pensioni con una riforma che elimina gradualmente alcune anomalie tutte italiane (come le pensioni di anzianità) e che adegua il sistema ai profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni soprattutto con l’innalzamento della speranza di vita. L’introduzione del metodo di calcolo contributivo (con la formula pro-rata, cioè valida per i periodi che maturano dal primo gennaio 2012 in poi) costituisce una via equilibrata e prudente per poter mantenere a lungo termine le promesse pensionistiche. Nell’esame parlamentare è stato poi fortunatamente corretta quella misura profondamente iniqua che consisteva nel blocco delle indicizzazioni per le pensioni superiori al doppio del minimo: il limite è stato innalzato a 1400 euro, ma continua a costituire una ingiusta penalizzazione che c’è da sperare possa essere  progressivamente abolita non appena sarà migliorata la situazione dei conti pubblici.

Una delle amare verità degli interventi del Governo è che per raggiungere effettivamente l’obiettivo di tagliare drasticamente il deficit pubblico è necessario chiedere la partecipazione, pur se in misura diversa, di tutte le componenti sociali. Lo ha sottolineato con una encomiabile efficacia il presidente della Repubblica richiamando la partecipazione ai sacrifici anche dei ceti meno abbienti. Certo con equità e moderazione, ma superando quel mortificante ritornello secondo cui a pagare devono essere sempre “gli altri”. 

Vi è comunque da dire che in questa manovra sono molto limitate le misure per la crescita e gli altrettanto necessari interventi per la riduzione del debito pubblico. E’ indubbiamente positivo lo sgravio dell’Irap per le aziende che assumono giovani e donne così come la dichiarata volontà di snellire le procedure di avvio dei contratti pubblici per la realizzazione delle infrastrutture. Ma una politica per la crescita richiede di agire nella direzione opposta rispetto a quella che si è trovato a dover imboccare Monti: cioè sarebbe necessaria una riduzione significativa della pressione fiscale sulle persone e sulle imprese.

Ma per fare questo è altrettanto necessaria una drastica riduzione della spesa pubblica, iniziando dai costi della politica. Tutto il contrario di quello che è stato fatto negli ultimi anni se è vero, come è vero, che in due anni gli stipendi del personale della presidenza del Consiglio sono aumentati di oltre il 15% a fronte di una sostanziale stagnazione dei redditi dei normali dipendenti privati e che la presidenza del Consiglio che già nel 2006 costava agli italiani 3 miliardi e 621 milioni di euro nel 2010 è presentato un conto di 4,2 miliardi.

Ma il problema non è solo nei costi diretti dell’apparato pubblico, è soprattutto nel fatto che ogni organismo rappresentativo è per sua natura fonte di potere perché a sua volta moltiplicatore della spesa. Guardiamo alle province. Giustamente il Governo Monti ha proposto, pur con mille critiche, di abolire presidenti, assessori e consiglieri provinciali: non tanto per il costo diretto di questi organismi di poco superiore ai cento milioni di euro, quanto per razionalizzare gli interventi pubblici offrendo maggiori responsabilità ai Comuni e alle Regioni.

E’ indispensabile ormai rendersi conto che l’attuale architettura della Stato e dei rapporti economici non è più sostenibile per affrontare alla radice i nodi del mancato sviluppo: con una crescita demografica sottozero, con un sistema dell’istruzione agli ultimi posti nelle classifiche europee, con un sistema sociale incapace di premiare il merito e la professionalità. Intervenire su questi temi richiede indubbiamente tempi lunghi e percorsi difficili. Ma anche una grande fiducia nel futuro e nelle capacità dei giovani di seguire strade nuove rispetto a quelle delle corporazioni, dei mercati protetti, dei favori politici, delle garanzie formali.


La manovra del Governo Monti, pur pasticciata e incompleta, era indispensabile per evitare la deriva finanziaria. E in un  paese normale, non in questa Italia, sarebbe inimmaginabile che ad innalzare le maggiori proteste fossero coloro i quali sono stati tra i maggiori responsabili delle difficoltà: come la Lega, che non era alla finestra, ma ha condiviso le responsabilità di Governo negli ultimi anni. E peraltro la dura contestazione della Lega aiuta anche a rivalutare il senso della realtà e lo spirito di servizio di Silvio Berlusconi e del suo partito che con molta responsabilità ha accettato di sostenere il tentativo del Governo.  Buon Natale.