La lunga marcia dell'opposizione in Turchia
Due pessime notizie per Recep Tayyip Erdogan e per il suo progetto di islamizzazione graduale della Turchia. La manifestazione contro la sua repressione ha coinvolto 1 milione di persone e ha sancito la nascita di un oppositore forte: Kemal Kilicdaroglu, leader del partito laico repubblicano Chp. Invece le manifestazioni pro-Erdogan in Europa partono zoppe: i ministri turchi che dovevano guidarle sono banditi da Olanda e Austria.
Due pessime notizie per Recep Tayyip Erdogan e per il suo progetto di islamizzazione graduale della Turchia. La prima pessima notizia è che adesso ha un oppositore, con un partito forte alle spalle, che ha anche dimostrato un’ottima capacità di mobilitazione. E si chiama anche Kemal, stesso nome di Ataturk, padre della repubblica turca laica. Kemal Kilicdaroglu, leader del partito repubblicano Chp, ha portato in piazza 1 milione di persone. La seconda pessima notizia è, al contrario, il fallimento dell’ennesima prova di forza in Europa: le manifestazioni pro-Erdogan che dovrebbero celebrare il primo anniversario del fallito golpe del 14-15 luglio 2016, dovranno fare a meno del vicepremier Tugrul Turkes in Olanda e del ministro dell’Economia Nihat Zeybekci in Austria, ai quali è stato impedito l’accesso per motivi di sicurezza nazionale. Brutta notizia, sempre nelle stesse ventiquattro ore, anche per gli oppositori di Erdogan: 72 gli arresti nella sola giornata di ieri.
La lunga e imponente marcia dell'opposizione, 450 km di percorso, conclusasi domenica a Istanbul, organizzata dal Chp di Kilicdaroglu segna una svolta nell’opposizione a Erdogan. Ha coinvolto 1 milione di persone, secondo gli oppositori (ma a giudicare dalle immagini panoramiche la stima è realistica), non ha causato alcuna violenza, è stata concepita come una marcia perfettamente legale e pacifica, formalmente apartitica, non dichiaratamente contraria al potere, ma a favore di una giustizia imparziale e indipendente. Un solo slogan: “adalet”, giustizia. “Questa non è una manifestazione contro il governo – ha dichiarato Samet Akten, direttore della comunicazione degli organizzatori – è importante riconoscere il carattere eccezionalmente pacifico di questo evento, così come il suo scopo specifico. Noi stiamo esprimendo una volontà collettiva, bipartisan, per una giustizia equa e indipendente, che ultimamente manca alla Turchia”. La marcia è la prima reazione di massa agli arresti seguiti al fallito golpe del luglio 2016. Arresti che hanno portato dietro le sbarre ben 50mila veri o presunti cospiratori, spesso ancora in attesa di giudizio e al licenziamento di oltre 150mila funzionari statali sospettati di collaborazione con il movimento islamico di Fethullah Gulen, l’uomo accusato di aver pianificato la congiura contro Erdogan. La marcia di domenica chiedeva di porre fine a questo stato di terrore.
Secondo il presidente Erdogan, che pure ha consentito la grande manifestazione, coloro che manifestano contro le leggi emergenziali sono oggettivamente “complici del terrorismo”. Kilicdaroglu ha simbolicamente percorso da solo gli ultimi chilometri della marcia. Alla fine della manifestazione ha ringraziato le forze dell’ordine per la sicurezza che hanno garantito. Lontanissimo dagli stereotipi sui nazionalisti laici succubi dei militari, il nuovo Kemal, 69 anni, è un uomo dai toni pacati, un “non-violento” che ha catturato l’immaginario collettivo dell’opposizione turca. E forse è riuscito, per la prima volta a unificarla. E’ infatti agli antipodi della protesta di Ghezi Park a Istanbul del 2013. Anche in quel caso lo slogan della “laicità” risuonava nel parco occupato e sventolava la bandiera di Kemal. Ma a tenere banco erano soprattutto piccoli movimenti di contestatori, autonomi, sinistra extra parlamentare, l’equivalente turco di Occupy e degli Indignados. Con poca o nessuna prospettiva politica. Lo scenario dell’attuale opposizione è anche molto diverso, praticamente l’opposto, dell’Hdp, la principale opposizione nel biennio 2015-2016, prima del fallito golpe. L’Hdp, infatti, è pur sempre un partito a maggioranza curda, anche se ha attratto parte della sinistra turca e le altre minoranze. In quanto partito a maggioranza curda, la sua espansione territoriale non è realmente mai andata oltre l’Anatolia sudorientale, quella maggiormente abitata da curdi. Il Chp finora non ha mai costituito una vera fonte di attrazione per l’opposizione democratica, perché troppo compromesso con il potere militare, di cui si ricordano i numerosi golpe (che nella seconda metà del Novecento hanno caratterizzato la storia turca), la violenza, il dirigismo foriero di inefficienza economica. Kilicdaroglu, divenuto leader del partito solo in tempi recenti, è riuscito evidentemente a svecchiare un partito tradizionale e a rimetterlo in carreggiata. Contrariamente ai precedenti esperimenti di opposizione, questo ha un futuro parlamentare promettente.
Mentre è andata bene, anzi benissimo, la manifestazione contro la repressione, quella che invece avrebbe dovuto ricordare il fallimento del golpe e celebrare la vittoria di Erdogan parte zoppa. In Olanda e in Austria, due dei paesi europei con il maggior numero di immigrati turchi, il vicepremier Turkes e il ministro Zeybekci non possono entrare. L’episodio è il seguito del braccio di ferro fra la Turchia e l’Olanda, lo scorso marzo, quando il governo olandese aveva espulso il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, atteso a una manifestazione a favore della riforma costituzionale presidenziale (pro Erdogan). In quell’occasione, anche la stessa Austria, oltre che la Danimarca e la Germania, si erano schierate dalla parte del governo olandese. Mentre in Turchia si scatenava la reazione anti-europea. I motivi sono essenzialmente gli stessi. Dichiaratamente, la presenza dei ministri turchi sul suolo europeo, per partecipare a manifestazioni politiche di parte, “non è stata concordata nell’ambito di scambi bilaterali”, come dichiara un portavoce del ministero degli Esteri austriaco. Non dichiaratamente, sia l’Olanda e l’Austria che gli altri paesi europei con una forte comunità turca al loro interno temono che la rete dell’Akp, tramite associazioni islamiche come Milli Gorus e le sue numerose moschee, diventino una quinta colonna di Erdogan, pericolosa soprattutto per gli oppositori turchi all’estero ma minacciosa anche per gli stessi governi. I rapporti fra Ue e Ankara hanno raggiunto il minimo storico, venerdì scorso, quando il Parlamento Europeo ha votato quasi all’unanimità la sospensione di ogni negoziato per l’ingresso della Turchia.
Ed Erdogan si rifà sugli oppositori interni. Sono 72 gli arresti, solo nella giornata di ieri: tutti docenti e personale universitario degli atenei di Bogazici e Medeniyet di Istanbul. Sono tutti accusati di far parte della rete di Gulen. Uno di loro, Koray Caliskan, è un collaboratore di Kemal Kilicdaroglu.