La libertà non è un regalo dello Stato, il caso dell'Isola delle Rose
Un film italiano spopola su Netflix, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Molto romanzato, ma è tratto dalla storia vera dell'ingegner Giorgio Rosa che costruì un'isola artificiale al largo di Rimini e ne fece una repubblica indipendente. L'impresa finì male, con la dinamite delle forze armate italiane. Il film è una commedia, ma veicola un messaggio universale: il diritto naturale alla libertà non è una graziosa concessione dello Stato.
Benché si stia imponendo il principio della libera migrazione dei popoli, lo Stato contemporaneo difende sempre un tabù consolidato: puoi emigrare dove vuoi, ma non puoi costruirti un tuo Paese indipendente in cui vivere. Lo Stato ammette che si attraversino i suoi confini, ma non ammette la concorrenza di altri Stati, con i loro confini, neppure se sono pacifici e piccolissimi. A questo proposito è utile vedere un film italiano che spopola su Netflix: L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. E’ ambientato nel 1968, è divertente, ben recitato, con una regia brillante di Sydney Sibilia. Avvertimento dovuto: contiene un po’ tutti i luoghi comuni di sinistra, quindi c’è la libertà vista innanzitutto come liberazione dei costumi, i democristiani sono i cattivi, il Vaticano è bacchettone (è un prodotto Netflix, d’altra parte…). Ma dentro questo involucro, che lo fa accettare da produttori, critici e grande pubblico, il messaggio che il film veicola è universale e potente.
Lo spessore che si vede al di sotto della patina di commedia è dato dal fatto che il film è tratto da una storia reale. Alla fine degli anni Cinquanta, un brillante ingegnere bolognese, Giorgio Rosa, un uomo schivo e dalla parte sbagliata della storia (era soldato, di leva, nella Repubblica Sociale Italiana), vessato dalla burocrazia, deluso dalla classe politica, decise di mettersi in proprio. In senso pieno: costruire una sua attività commerciale su un’isola artificiale, nel mare, fuori dalle acque territoriali italiane, al largo di Rimini. “Sulla terraferma la burocrazia era soffocante – raccontava lo stesso Giorgio Rosa – L’idea era di sfruttare il turismo e vendere benzina senza le accise, aprire un bar e un ufficio postale, emettere francobolli. Sarebbero sorte altre iniziative, sull’esempio di altri micro-Paesi indipendenti, come San Marino. La cosa avrebbe retto: dove c’è libertà c’è ricchezza”. Nel 1958, Giorgio Rosa brevettò il progetto di una piattaforma marittima, simile a quelle usate per l’estrazione del gas. Il 1° maggio 1968, inaugurò l’isola, piantata sul fondale, 500 metri oltre il limite delle acque territoriali italiane. E proclamò l’indipendenza. Nacque la micro-nazione chiamata Repubblica Esperantista dell'Isola delle Rose. Per distinguerla dalla terraferma, infatti, Giorgio Rosa adottò come lingua nazionale l’esperanto, pur non sapendolo, anche ispirato da un convengo internazionale di esperantisti che in quei giorni si teneva a Rimini.
L’Isola delle Rose fu un immediato successo turistico. Incuriositi dalla novità assoluta di un’isola artificiale indipendente, ondate di turisti, ogni giorno, presero la barca per andare a visitarla. Le uniche attività aperte erano un bar-ristorante e una tipografia in cui si stampavano i francobolli. Nel progetto si sarebbe dovuta stampare anche una valuta indipendente (il milo), costruire nuovi negozi, una pompa di benzina e in prospettiva anche un aeroporto, su ulteriori piattaforme. Ma quella piccola struttura, che allora era grande appena 400 metri quadrati, era considerata inaccettabile dal governo e anche dall’opposizione comunista. La campagna di diffamazione fu violenta: si disse che sull’isola si giocava d’azzardo, che vi fosse un night club clandestino e addirittura che i sovietici vi volessero costruire una base (sei anni dopo la crisi dei missili di Cuba, la tensione era alta). Fatto sta che l’indipendenza dell’Isola delle Rose durò appena 55 giorni. Già il 25 giugno, la capitaneria di porto e le forze dell’ordine italiane la circondarono e vi impedirono l’accesso, nonostante l’isola non fosse assolutamente entro la giurisdizione dell’Italia. Nel febbraio 1969, nonostante la battaglia legale di Giorgio Rosa, che si appellò all’Onu, all’Europa e infine anche ai Cavalieri dell’Ordine di Malta (sovrano, ma a-territoriale), l’isola venne demolita. Un francobollo emesso dal “governo in esilio” della repubblica raffigura l’esplosione della piattaforma con la scritta “Hostium rabies diruit opus non ideam”: “La violenza del nemico distrusse l’opera, non l’idea”.
L’idea, infatti, non è affatto morta, anche se la storia di questa piccolissima repubblica è una memoria di nicchia, tramandata dai protagonisti e dalla piccola minoranza libertaria-indipendentista italiana. Nel 2009 venne prodotto l’ottimo documentario L’Isola delle Rose, la libertà fa paura. Affascinato da questa realtà, l’ex segretario del Pd, Walter Veltroni ne ha tratto un romanzo nel 2012, L'isola e le rose, con personaggi e storie estranei al vero Giorgio Rosa. Veltroni, ricreando una repubblica come avrebbe voluto che fosse, ha immaginato: “una piattaforma appena oltre il limite delle acque territoriali, dove accogliere una comunità di artisti, poeti, musicisti, amanti della bellezza”. Una realizzazione dell’utopia hippy, tipica del 1968 in cui è ambientata la vicenda, ma ben lontana dalla libertà di impresa sognata dal vero Giorgio Rosa. Però, il solo fatto che la storia sia stata sdoganata dalla sinistra italiana ne ha permesso la circolazione nel grande pubblico.
Il film L’incredibile storia dell’Isola delle Rose non è il libro di Veltroni e neppure la vera storia dell’isola artificiale e del suo costruttore. Si parla del '68 e dei "ragazzi che lottano per un mondo nuovo". Però è essenzialmente un parto di Sydney Sibilia che porta sullo schermo le storie di reietti della società che si riscattano reinventandosi, grazie alla loro intraprendenza. Il Giorgio Rosa immaginato da Sibilia, interpretato da Elio Germano, è un inventore che viene arrestato a più riprese a causa delle sue creazioni “pericolose”, come un biplano e un’auto artigianale (senza targa). L’ex fidanzata lo rimprovera di vivere in un mondo tutto suo. E allora lui afferma: “me lo costruisco: un mondo tutto mio”. E così nasce la sua isola, che accoglie altri “reietti” in cerca di una nuova vita: un naufrago che viveva sulla sua barca, una donna incinta che non può trovare lavoro, un ex disertore tedesco diventato apolide, il suo amico vitellone che non vuole lavorare nel cantiere del padre. Non è un film storico, neppure ideologico, ma trasmette il messaggio più importante della reale vicenda dell’Isola delle Rose: la libertà è un diritto naturale, non una graziosa concessione dello Stato.
E’ il personaggio della fidanzata, Gabriella (Matilda De Angelis) che in una scena apparentemente secondaria, in una lezione universitaria, spiega ai suoi studenti la differenza fra la legge positiva (di Stato) e il diritto naturale. Al processo di Norimberga, i nazisti vennero condannati perché commisero crimini contro il diritto naturale, anche se avevano obbedito alla legge del loro Stato. Nel film di Sibilia non ci sono sconti per gli uomini di Stato: ricattano, corrompono, manipolano il mercato e, se respinti, distruggono. Lo scontro fra le due idee opposte di libertà si ha nell’immaginaria telefonata del ministro Franco Restivo (un Fabrizio Bentivoglio al massimo della forma) e Giorgio Rosa, l’uno padre costituente e l’altro determinato a rivendicare la sua proprietà e la sua libertà anche oltre la legge positiva. “La vostra è solo una libertà condizionata” sbotta infine Rosa. Poche scene dopo, l’isola viene fatta saltare in aria. Ma “La violenza del nemico distrusse l’opera, non l’idea”. Idea forte, una boccata d’ossigeno in un periodo come questo che stiamo vivendo, in cui lo Stato è diventato completamente padrone delle nostre vite.