La libertà di insultare
Una femminista definisce un trans «uomo», «maiale» e «razzista». Il giudice le dà ragione:««Non vale la pena avere la libertà di parlare solo in modo inoffensivo. La libertà di parola comprende il diritto di offendere».
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Nel 2019 la inglese Kate Scottow, 40 anni, femminista radicale, definisce su twitter Anthony Halliday, che si fa chiamare Stephanie, un «uomo», un «maiale» e un «razzista». Gli agenti di polizia la arrestano a casa sua. In primo grado perde la causa e deve pagare 1.000 sterline. Il giudice distrettuale Margaret Dodds rivolgendosi alla donna le dice: «I tuoi commenti non hanno contribuito a creare un dibattito sano. Insegniamo ai bambini a essere gentili gli uni con gli altri e a non insultarsi a vicenda nel parco giochi».
Il verdetto però in appello viene ribaltato. I giudici David Bean e Mark Warby infatti hanno sentenziato che «non vale la pena avere la libertà di parlare solo in modo inoffensivo. La libertà di parola comprende il diritto di offendere e anzi di abusare di un altro».
Due riflessioni. Non esiste la libertà di insultare e abusare. Ciò detto, però questa sentenza è storica perché non è allineata al mainstream dominante color arcobaleno.