La Lega è nazionale. Le ruspe di Salvini corrono insieme
Ha fatto un certo effetto, domenica scorsa, scoprire che a Pontida, luogo simbolo del “mito padano”, per la prima volta, accanto alle bandiere del leghismo ortodosso, duro e puro, sventolavano anche i vessilli di delegazioni provenienti dal centro-sud. Accomunati sotto le insegne di “Noi con Salvini”.
Ha fatto un certo effetto, domenica scorsa, scoprire che a Pontida, luogo simbolo del “mito padano”, per la prima volta, accanto alle bandiere del leghismo ortodosso, duro e puro, sventolavano anche i vessilli di delegazioni provenienti dal centro-sud. Al tradizionale raduno sul prato della celebre località del bergamasco si sono ritrovati gli storici militanti del nord accanto a simpatizzanti provenienti dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Campania e da tante altre aree del centro-sud, accomunati sotto le insegne di “Noi con Salvini”. Formalmente, quindi, i due “eserciti”, quello del Nord e quello del Centro-sud, si sono uniti, non indossando le camicie verdi, troppo padane come simbolo, ma inneggiando alla ruspa, quella che il nuovo conducator Matteo Salvini dichiara di voler usare, non contro i rom, bensì contro Renzi, per mandarlo a casa.
La “due giorni” leghista (sabato congresso a Milano, domenica adunata di popolo a Pontida) ha inaugurato una nuova fase del Carroccio, che faticosamente, anche attraverso un’accurata operazione di maquillage, punta a convertirsi da forza d’opposizione a forza di governo, passando dalla fase della demolizione a quella della costruzione e della proposta. Ma l’operazione più ardita che i seguaci di Alberto da Giussano stanno compiendo è quella di “nazionalizzarsi” e di radicarsi in tutto il Paese, svecchiando la loro immagine di movimento territoriale. Tuttavia, l’antieuropeismo e il lepenismo di Salvini possono “pagare” soltanto nella misura in cui l’eventuale default della Grecia dovesse frantumare l’unità economica del Vecchio Continente. A quel punto l’uscita dall’euro o addirittura un “rompete le righe” generalizzato potrebbero ridare fiato alle trombe del leghismo. In caso contrario, qualora nei prossimi giorni si trovasse una soluzione ai problemi della Grecia e l’unità monetaria dovesse reggere, le posizioni di Salvini ben difficilmente raccoglierebbero consensi al di là di quell’area di dissenso anti-Renzi che si fa faticosamente largo tra il Movimento Cinque Stelle e un centrodestra in agonia e che, nei sondaggi, viene accreditata di un 15%.
La “nazionalizzazione” della Lega sta spiazzando i big (il presidente Umberto Bossi si è detto dubbioso sulla svolta, che rischierebbe di snaturare l’identità del movimento) e creando tensioni nel centrodestra. Oggi Salvini incontrerà Berlusconi per ragionare sulle alleanze, ma l’ex Cavaliere, in un’intervista al Giornale, ha già chiarito un paio di cose: sulle riforme istituzionali e su provvedimenti utili al Paese, Forza Italia potrebbe anche sostenere il governo; nella nuova coalizione di centrodestra, affinché possa competere contro Renzi, occorrerà superare i particolarismi e aggregare, insieme con Lega, Forza Italia e altre forze di centrodestra, anche soggetti autonomi della società civile, liste civiche e raggruppamenti spontanei, con l’intento di non lasciare il monopolio dell’antipolitica ai grillini. Dunque, nessuna golden share leghista, a cominciare dalla scelta dei candidati sindaci nelle città più importanti: a Milano, dove si vota l’anno prossimo, si cercherà un candidato non politico che possa accontentare le diverse anime del centrodestra; a Roma, dove tutto lascia supporre che si possa votare già nell’autunno di quest’anno o, al più, l’anno prossimo, si punterà su Alfio Marchini, imprenditore già in pista da tempo e assai apprezzato, sia a destra che a sinistra.
E a livello nazionale? É realistico pensare che Salvini succeda a Berlusconi come candidato premier? Su un’ipotesi del genere rimangono tante ombre, perché l’elettorato moderato continua a dividersi tra Renzi e Salvini e a non ritenere quest’ultimo pienamente affidabile se non come leader di rottura. Ecco allora farsi strada l’idea di lanciare per Palazzo Chigi la candidatura del governatore del Veneto, Luca Zaia. Nella sua regione ha raccolto consensi plebiscitari, nonostante la scissione di Flavio Tosi, e a livello nazionale è percepito come un politico capace e malleabile, molto più di Salvini. Questa soluzione avrebbe il pregio di avvicinare gli elettorati di Forza Italia e della Lega e di scongiurare il rischio che una parte delle truppe berlusconiane ceda alle sirene renziane. Questo ragionamento va visto, in ogni caso, nel medio periodo, cioè qualora si votasse alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018. Zaia avrebbe la possibilità di consolidare il suo buon governo in Veneto e di rafforzare la sua candidatura a premier, il centrodestra avrebbe il tempo di ricostruirsi, magari conquistando qualche grande città.