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POLITICA DE-GENERE

La Kyenge dà i numeri... al posto dei genitori

Sostituire a "padre" e "madre", la dicitura "genitore 1" e "genitore 2". Questa è la neolingua proposta dalla delegata ai diritti civili di Venezia e appoggiata dal ministro Cécile Kyenge. Rivolta di PdL e Lega contro chi nega la natura.

Politica 06_09_2013
Kyenge

Togliere dai moduli di iscrizione agli asili nido e alle scuole dell’infanzia la dicitura “padre” e “madre” per sostituirla con quella di “genitore 1” e “genitore 2”. La proposta shock è di Camilla Seibezzi, neodelegata ai diritti civili del Comune di Venezia. Fin qui si tratterebbe semplicemente di un’uscita infelice di una rappresentante delle istituzioni locali. Peccato, però, che ad amplificare la portata di quella frase sia intervenuta l’approvazione esplicita da parte del ministro dell’integrazione e delle politiche giovanili, Cécile Kyenge, che due giorni fa è andata a Venezia, nel pieno della Settantesima Mostra del Cinema, per confermare il suo impegno nella battaglia legislativa che mira a definire “italiani” tutti i bambini che nascono nel nostro Paese, a prescindere dall’origine dei loro genitori. Commentando l’uscita della Seibezzi, il ministro ha detto: «Mi sono sempre battuta per le pari opportunità, se questa è una proposta che le rafforza, mi trova d’accordo».

L’idea di trasformare padre e madre in genitore 1 e genitore 2 è la sublimazione dell’ideologia del gender, che mira all’autodeterminazione sessuale (non si è ciò che si è, uomo o donna, perché la natura ha deciso così, ma si è ciò che si decide di essere) e all’equiparazione tra coppie di genitori eterosessuali e coppie di genitori omosessuali. La proposta di Seibezzi è ispirata ad un analogo provvedimento realizzato dal governo Zapatero in Spagna nel 2006 e messo in atto, da quest'anno, anche dal governo socialista di Hollande in Francia, che ha addirittura abolito i termini “padre” e “madre” dal Codice Civile. Ma vien da chiedersi: chi sarà, in una coppia, il genitore numero uno e chi il genitore numero due? Per non parlare poi dei nonni, che non saranno più nonno e nonna, ma nonni uno e nonni due. E i figli? Saranno fratelli, sorelle o figlio uno, figlio due, figlio tre, ecc.?

Si tratta, per fortuna, di una proposta destinata a rimanere nel libro dei sogni, considerate le reazioni che ha suscitato nella stessa giunta comunale veneziana, sindaco Orsoni compreso. Per non dire dell’assessore all’istruzione della Regione Veneto, Elena Donazzan, che ha usato parole chiare e forti: «Fare i genitori non è un gioco. Dal concetto di matrimonio e famiglia derivano non solo diritti, ma anche tutti quei doveri che madre e padre ogni giorno cercano di rispettare. Il Ministro Kyenge – ha proseguito l'esponente del PdL - non si copra con il ruolo “istituzionale” per fare dichiarazioni di parte. Non è oggetto di accordo di Governo, quindi di posizioni istituzionali condivise, il dibattito su due istituti fondamentali per la nostra società come famiglia e matrimonio. Consiglio al Ministro di leggersi l'art. 29 della Costituzione e l'art. 143 del Codice Civile. Quando conosciuta la Costituzione, carta fondamentale per la cittadinanza, che è un dovere prima ancora che un diritto, ci ripensi. Se non è d'accordo, si dimetta, gli italiani se ne faranno una ragione».

Ugualmente perentorio Massimo Bitonci, capogruppo della Lega Nord al Senato: «Mi spiace per la ministra Kyenge, ma la natura non si cancella. Nemmeno obbligando le persone a cambiare nome alle cose. Fatto salvo il diritto di ciascun essere umano, adulto e responsabile, di vivere la propria affettività e la propria sessualità come crede, per nessuna ragione un individuo ovvero lo Stato possono cancellare ciò che la natura ha stabilito: che i figli nascono da due genitori, madre e padre, maschio e femmina, e che tali devono continuare ad essere chiamati».

Stupisce che un ministro della Repubblica, che invoca il rispetto della Costituzione in materia di giustizia, diritti individuali, uguaglianza, sicurezza, finisca poi per avallare affermazioni di un rappresentante delle istituzioni locali così contrarie alla nostra Carta Costituzionale e alla natura umana. Questa ossessione di contrastare i cosiddetti “stereotipi di genere” contiene in sé i germi di una cultura nichilista che vorrebbe perfino negare ai bimbi di pronunciare le prime parole della loro vita, solitamente “mamma” e “papà”, poiché sarebbero discriminatorie nei confronti dei bambini cresciuti da coppie omosessuali.

Una logica aberrante contro la quale è giusto che istituzioni educative e culturali assumano posizioni di buon senso. Il governo Letta non ha un ministero per la famiglia e in più ha un ministro come la Kyenge, che spesso mostra di crogiolarsi nel suo vittimismo ed è pronta a sentenziare su temi così importanti e a benedire anche punti di vista così distanti dalla natura e dalla civiltà giuridica. Va ricordato che per una frase in difesa della famiglia naturale e dell’unicità del matrimonio tra uomo e donna, insita nella natura umana, un ex sottosegretario alle pari opportunità, Michela Biancofiore, fu costretta a dimettersi poche ore dopo la costituzione del governo Letta. Quell’episodio è un antipasto di ciò che potrebbe accadere se venisse approvata la legge sull’omofobia, normativa esplosiva e pericolosa sul piano culturale e sociale, perché qualifica come semplice reato di opinione l’omofobia, finendo per discriminare chi esprimesse punti di vista simili a quelli espressi mesi fa dalla Biancofiore.

E i cattolici, di fronte a queste pericolose provocazioni, anziché voltarsi dall’altra parte per indolenza, abbiano il coraggio di riaffermare l’insostituibilità della famiglia naturale, degli altri principi non negoziabili e, perché no, del quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”.