La guerra segreta dell'oppio in Afghanistan e il crollo della produzione
Nonostante una guerra segreta condotta dalla Cia contro le coltivazioni di oppio, nel periodo della guerra ventennale, il crollo arriva adesso. Non tanto per il divieto imposto dai Talebani, ma perché il mercato delle droghe premia quelle sintetiche.
La coltivazione e la produzione di oppio in Afghanistan sono in forte calo, ma la crisi del papavero sta aprendo la strada a un nuovo mercato, quello delle droghe sintetiche. Lo segnala l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), che descrive un Paese dove il narcotraffico cambia pelle, passando da una coltura secolare a un’industria chimica sempre più diffusa e difficile da controllare. Nel 2025 la superficie coltivata a papavero è scesa del 20%, fermandosi a 10.200 ettari contro i 12.600 del 2024 e i 232.000 di tre anni prima, prima del divieto imposto dai talebani. Anche la produzione è diminuita del 32%, a 296 tonnellate, mentre i ricavi agricoli si sono quasi dimezzati, da 260 a 134 milioni di dollari. La riduzione dell’oppio ha inciso duramente sull’economia rurale, lasciando migliaia di famiglie senza un reddito stabile. Molti coltivatori hanno provato a riconvertirsi verso legumi o cereali, ma la siccità e il caldo estremo hanno reso improduttivo oltre il 40% dei terreni. Il ritorno in massa di profughi dai Paesi vicini e il calo degli aiuti umanitari rischiano ora di alimentare un ritorno alla coltivazione proibita, soprattutto nelle aree meridionali dove l’oppio resta l’unica fonte di sopravvivenza.
L’UNODC sottolinea che il crollo del papavero non ha ridotto il traffico di droga, ma lo ha trasformato. Con la caduta dei prezzi e il minor rendimento delle colture tradizionali, la produzione di metanfetamina è esplosa. I sequestri nel 2024 sono aumentati del 50% rispetto all’anno precedente, mentre il prezzo medio al chilo è sceso a 570 dollari, segnale di una disponibilità crescente. Le droghe sintetiche hanno trovato terreno fertile perché richiedono meno risorse, resistono ai cambiamenti climatici e garantiscono margini elevati. Per molti gruppi criminali rappresentano oggi un nuovo modello di business più sicuro e redditizio. Le Nazioni Unite avvertono che questa riconversione non riguarda solo l’Afghanistan: la coltivazione di papavero e la produzione di metanfetamina si stanno estendendo nei Paesi confinanti, minacciando la stabilità regionale e aprendo nuovi canali di traffico verso il Medio Oriente e l’Europa. L’organizzazione chiede una cooperazione più stretta tra Stati, strategie alternative per gli agricoltori e una vigilanza maggiore sui mercati della droga, sempre più interconnessi e volatili.
Mentre le Nazioni Unite fotografano questo scenario, dal Washington Post emergono rivelazioni che aggiungono un capitolo inedito alla lunga guerra afghana. Secondo il quotidiano statunitense tra il 2004 e il 2015 la CIA avrebbe condotto un’operazione segreta per sabotare le coltivazioni di papavero da oppio nelle province di Helmand e Nangarhar. L’agenzia avrebbe disseminato miliardi di semi selezionati in modo da produrre piante con un contenuto quasi nullo di morfina, l’elemento base per la raffinazione dell’eroina. L’obiettivo era far incrociare queste piante “modificate” con quelle locali e ridurre progressivamente la resa dell’oppio. Un piano non confermato ufficialmente, ma ricostruito attraverso le testimonianze di quattordici persone coinvolte, tutte rimaste anonime. Secondo il Washington Post, l’idea di usare diserbanti o pesticidi era stata scartata per evitare carestie e disastri ambientali, e la distribuzione dei semi “sterili” appariva come un’alternativa discreta. L’operazione, sospesa più volte, si sarebbe conclusa intorno al 2015 senza risultati evidenti: i contadini, accortisi che parte del raccolto era improduttivo, eliminarono le piante alterate, vanificando il progetto. Resta un episodio poco noto della lunga guerra americana contro la droga, combattuta tanto nei campi dell’Helmand quanto nei laboratori di intelligence di Langley.
Oggi, quattro anni dopo il ritorno dei talebani al potere, l’Afghanistan resta intrappolato in una crisi che non è solo economica. Oltre 33 milioni di persone vivono in povertà, più di 23 milioni dipendono dagli aiuti umanitari e circa 9 milioni sono rifugiati nei Paesi vicini. Le restrizioni imposte dal regime hanno cancellato ogni diritto politico e civile, imponendo un’apartheid di genere che esclude le donne dalla vita pubblica e dal lavoro. La stampa è sotto controllo, le Ong internazionali operano a fatica, e i finanziamenti allo sviluppo sono stati drasticamente ridotti. A peggiorare il quadro, i terremoti che hanno devastato il Paese negli ultimi mesi: quello di fine agosto ha ucciso oltre 2.200 persone, mentre l’ultimo, a inizio novembre, ha provocato 27 morti e più di un migliaio di feriti. È un Paese che sopravvive tra macerie e povertà, mentre tenta di restare a galla in un isolamento politico quasi totale. Nessuna nazione, ad eccezione della Russia, ha riconosciuto ufficialmente il governo dei talebani.
E mentre il Paese è piegato da fame e repressione, si registra un fenomeno curioso: un numero crescente di influencer occidentali racconta sui social un Afghanistan “autentico”, fatto di paesaggi mozzafiato e ospitalità locale.

