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ELEZIONI ARTICHE

La Groenlandia sente il peso degli Usa nel suo ultimo voto

La Groenlandia non è mai stata così importante come in questo periodo. Con Trump che lancia una "offerta" di acquisto, il piccolo popolo artico vota per due partiti di centro-destra. Uno moderato, che vince, e l'altro più nazionalista e trumpiano.

Esteri 13_03_2025
Elettori in Groenlandia (La Presse)

Un paese europeo, autonomo ma parte della Danimarca, con 57mila abitanti, pari a una cittadina italiana, ha votato per il suo futuro e tutto il mondo ne parla. È la Groenlandia che ha appena scelto il suo nuovo parlamento e ha dato una svolta ai rapporti di forza fra i partiti. A contendersi i 31 seggi del legislativo sono stati partiti indipendentisti, chi più o chi meno. Il partito Inuit, al governo con il suo alleato Siumut, hanno clamorosamente perso. Ha vinto invece il Partito Democratico (che in Groenlandia è di centrodestra e liberale) con il 30% dei voti. Al secondo posto arriva un partito indipendentista e nazionalista, il Naleraq, con il 24,5% dei voti. Per capire come mai le elezioni groenlandesi interessano così tanto, la risposta si può trovare solo a Washington, dove il presidente Donald Trump continua a parlare di una possibile “annessione” della grande isola nordica.

Il leader del Partito Democratico, Jens-Frederik Nielsen, campione nazionale di badminton, ha fatto campagna anche contro la minacciosa offerta di Trump. Ha sottolineato più volte che «La Groenlandia non è una casa che può essere acquistata», un chiaro riferimento al passato di imprenditore immobiliare dell’attuale presidente degli Usa. La sua idea di secessione dalla Danimarca è quella di un processo graduale, prima di crescita economica, poi di sviluppo sociale, infine di piena indipendenza politica da Copenaghen. La campagna elettorale, oltre che un rifiuto dell’offerta americana di annessione, è stata impostata soprattutto su temi interni, come educazione pubblica, sanità e lavoro.

Di impostazione opposta è il partito nazionalista Naleraq, che ha raddoppiato i suoi voti arrivando a controllare quasi un quarto del legislativo. La sua leader, Qupanuk Olsen, è la più celebre influencer dell’isola. Aki-Matilda Hoegh-Dam, uscita dal partito socialista Siumut, afferma che Naleraq sia l’unico che punta concretamente all’indipendenza, «tutti gli altri fingono». Con la riforma costituzionale del 2009, che attribuisce alla Groenlandia pieni poteri politici tranne che per la difesa e la politica estera, è stata anche istituita una procedura ufficiale per la secessione ed è quella che il partito Naleraq intende attivare. I nazionalisti non sono insensibili al richiamo di Trump. Kuno Fencker, uscito anch’egli dal Siumut, per passare al Naleraq, si è detto pubblicamente d’accordo con le dichiarazioni di Trump su prossimi eventuali investimenti miliardari americani nell’isola, con cui «i groenlandesi diventeranno ricchi».

Il partito Democratico vincitore dovrà trovare un alleato per formare un governo. La scelta del proprio compagno di esecutivo indicherà se la priorità viene data allo sviluppo economico o all’indipendenza. Dove per indipendenza si intende, eventualmente, anche un assorbimento negli Usa nel prossimo futuro. Gli analisti danesi (e anche quelli italiani) forse si sono troppo affrettati a salutare la vittoria dei Democratici groenlandesi come un segnale della sconfitta di Trump. Perché forse sottovalutano il raddoppio di Naleraq, che è a meno di 6 punti percentuali di distanza dal primo partito, praticamente una manciata di voti considerando il piccolissimo elettorato.

Sull’indipendenza tutti i groenlandesi, o quasi, la vogliono. In un sondaggio commissionato a gennaio dal quotidiano danese Berlingske e dal groenlandese Sermitsiaq, risulta che l’84% dei cittadini voglia l’indipendenza dalla Danimarca, solo il 9% è unionista. Ma sono ancora meno coloro che vorrebbero unirsi agli Usa: appena il 6%.

Perché poi la Groenlandia interessi così tanto agli Stati Uniti, è presto detto: oltre alla presenza delle molto desiderate “terre rare” ancora da sfruttare, la gigantesca isola europea domina il Nord Atlantico. Chi la controlla, ottiene il controllo strategico dei collegamenti marittimi fra Nord America ed Europa. L’importanza è destinata a crescere se, come si prevede, diminuirà l’estensione dei ghiacci. In questo modo, lungo la sua costa occidentale sarà percorribile per più mesi all’anno la rotta del Passaggio a Nordovest, che collega l’Atlantico al Pacifico correndo lungo le coste settentrionali del continente americano e in mezzo al dedalo di isole canadesi. Si tratta dell’unica alternativa al Passaggio a Nordest, la rotta monopolizzata dalla Russia lungo le coste settentrionali della massa continentale euroasiatica. L’offerta di Trump per un “acquisto” e la minaccia neppure troppo velata di annessione, sono però un fatto inedito nella politica estera americana contemporanea. Sinora gli Usa hanno comunque puntato alla cooperazione con la Danimarca, un alleato della Nato. Una base aerea americana, Thule (ora Pituffik), garantisce il presidio militare del territorio. C’è anche bisogno di un’annessione?