Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Nepomuceno a cura di Ermes Dovico
caos alla camera

La gazzarra su Ventotene è la prova del fallimento europeo di oggi

Ascolta la versione audio dell'articolo

La gazzarra alla Camera dopo le parole della Meloni sul Manifesto di Ventotene, ripescato dalla manifestazione di sabato a Roma, mostra tutto il fallimento europeo. Quello di Spinelli & co. era un manifesto dirigista e socialista in cui lo Stato avrebbe dovuto avere la supremazia sulla società civile: è quello che sta accadendo oggi. 

Politica 20_03_2025

Grande gazzarra in aula alla Camera ieri sul Manifesto di Ventotene al punto che il Presidente Fontana ha sospeso la seduta. La premier Giorgia Meloni è stata chiara e dura su quel documento, dissociandosene dicendo «nella manifestazione di sabato a piazza del Popolo e anche in quest’aula è stato richiamato da moltissimi partecipanti il Manifesto di Ventotene: spero non l’abbiano mai letto, perché l’alternativa sarebbe spaventosa». Durante le manifestazioni romane per l’Europa di sabato scorso era riemerso il Manifesto di Ventotene come guida ideale per i partecipanti. Dal palco di piazza del Popolo, Corrado Augias aveva detto: «Oggi questa piazza è di nuovo Ventotene».

Ventotene è stato il bollino di qualità posto sulla manifestazione, evidentemente accettato anche dalle associazioni cattoliche presenti. Però se si va a rileggere il Manifesto “Per un’Europa libera e unita” che Spinelli, Rossi e Colorni hanno scritto esuli nell’isola di Ventotene nel 1941 si capisce che ben poco è accettabile di quanto propone. In quelle righe, tra l’altro, si leggono puntualmente le premesse per il fallimento europeo di oggi.

Un primo elemento del Manifesto è di avere carattere rivoluzionario nel preciso senso socialista del termine: «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista». La democrazia per cui ci si deve battere è vista come uno strumento di questo obiettivo rivoluzionario e non come il fine dello stesso. Il Manifesto supera il concetto comunista di rivoluzione, sia perché condanna la violenza fisica, sia perché ritiene che in quel modo la classe operaia rimarrebbe chiusa in se stessa e non si collegherebbe con le rivendicazioni degli altri ceti, sia perché sarebbe un modo per allarmare preventivamente i conservatori e permettere loro di organizzarsi per evitarla.

Il Manifesto non usa parole dolci verso il comunismo: i comunisti «nelle crisi rivoluzionarie, [sono] più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto». Nonostante ciò, però, il socialismo di Ventotene concorda con gli obiettivi rivoluzionari di fondo del comunismo. Basti considerare cosa dice dell’abolizione della proprietà privata: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». La negazione del diritto naturale alla proprietà privata rimane, ma deve essere perseguita in modo dolce. Il progetto si colloca sulla linea che verrà battuta anche dal comunismo postbellico italiano di un socialismo che accetta la democrazia come strumento della rivoluzione, non come alternativa alla rivoluzione.

Il carattere rivoluzionario di Ventotene è diretto ad eliminare le nazioni dalla scena politica. La cosa viene fatta pregiudizialmente mediante l’equazione: nazione, nazionalismo, totalitarismo. La sua analisi dei totalitarismi di allora risente dell’animosità del momento e per questo è poco lucida, risente però anche della posizione ideologica assunta, con l’errore conseguente di considerare i totalitarismi come eccezione alla civiltà moderna anziché, come è stato dimostrato, come sua accelerazione.

Il Manifesto mette in guardia dalla restaurazione, dopo la guerra, dello Stato nazionale che, secondo le previsioni dei due autori, avverrà mediante la strumentalizzazione del sentimento patriottico. Lo scopo, invece, deve essere «la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani». La lettera e lo spirito del Manifesto inducono a pensare che questo superamento della nazione non debba essere limitato ad una situazione e ad un tempo, ma che abbia una dimensione europea avendone una globale – «in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo» - e che miri anche al superamento del concetto di patria. Il suo progetto di un’Europa federale ha questi inquietanti connotati.  

Rossi, Spinelli e Colorni vogliono quindi la rivoluzione socialista. Accettano in via di principio la democrazia, ma la considerano anche un ingombro nei momenti di tensione politica. Un concetto, questo, espresso in modo molto chiaro: «Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi». Quando il popolo fosse immaturo e diviso al proprio interno, guidato da «tumultuose passioni» più che dalla freddezza politica, «la metodologia democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria». Da qui al passaggio alle guide politiche illuminate è breve. Il popolo dovrà essere fatto oggetto di opera di convinzione dall’alto da «capi che guidino sapendo dove arrivare». Quest’opera di convinzione e guida deve passare anche dalla lotta alle pretese della Chiesa cattolica. Il Manifesto propone l’abolizione del concordato, l’affermazione della pura laicità dello Stato e la supremazia dello Stato sulla società civile. In altri termini: un nuovo dirigismo ideologico.

Dalla lettura del Manifesto emergono molte preoccupazioni più che fiduciose sicurezze. Di più: molti dei danni prodotti dall’Unione Europea derivano proprio da quelle impostazioni debitamente aggiornate.  I “capi” guidano dall’alto senza essere eletti, gli intellettuali organici all’europeismo di Ventotene indottrinano le masse, il laicismo delle élites di Bruxelles è diventato aria da respirare per la gente comune, la “sovranità assoluta degli Stati nazionali” ha assunto dimensioni europee, un “ceto  assolutamente parassitario”, che il Manifesto voleva eliminare col federalismo europeo, ha allignato proprio lì.

Anche il “burocratismo” e, oggi, il “militarismo” che a Ventotene venivano presentati come la peste, riemergono in sede europea “… per costruire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata propria al posto degli eserciti nazionali”.