La Frullone smonta il fascino deleterio del neofemminismo
Davvero il neofemminismo migliora la vita delle donne? Le rende appagate e felici? In realtà non fa altro che creare uno scontro permanente con gli uomini secondo precise logiche ideologiche. Il libro di Raffaella Frullone, Presidenta anche no!
Sindaca, assessora, avvocata, rettrice. Asterischi, a/o, e/i, schwa… Per essere dalla parte giusta della storia oggi si deve parlare e scrivere così. Aveva incominciato a farlo il mondo accademico, adesso ormai ci si imbatte in questi termini e in queste forme di scrittura anche nei ministeri, negli enti locali, nei tribunali e in altri ambiti ancora, soprattutto pubblici.
L’accademia rimane l’avanguardia e attualmente la punta di diamante è l’ateneo di Trento. Il suo consiglio di amministrazione ha da poco approvato all’unanimità un regolamento in cui si delibera che, come scelta “inclusiva” e atto di parificazione di genere, i termini femminili – segretaria, professoressa, studentessa, decana e così via – vengano adottati in riferimento a tutti, femmine e maschi, sia al singolare che al plurale. Il “femminile sovraesteso” peraltro sembra che fosse già stato usato per protesta dalla deputata del Partito Democratico Maria Cecilia Guerra nel dicembre scorso quando si era rivolta al femminile a Giorgio Mulé, un deputato di Forza Italia che si era permesso di parlare di Elly Schlein chiamandola “segretario”.
Sempre in ambito accademico, vittorie e traguardi personali, che peraltro è molto improbabile siano stati conquistati da alleanze di donne, facendo squadra, si celebrano invece quali tappe storiche di emancipazione femminile. Marina Brambilla, appena eletta rettore dell’università Statale di Milano, ha commentato: «Ci sono voluti 100 anni (la Statale è stata fondata nel 1924), ma ce l’abbiamo fatta» e ha dedicato il suo risultato alle studentesse, ricercatrici e professoresse «che hanno aperto la strada», come se per un secolo delle donne si fossero battute per far sì che una di loro finalmente raggiungesse l’ambito riconoscimento. In realtà il tetto di cristallo negli atenei italiani è già stato infranto da tempo. Commentando il fatto che anche gli altri due atenei pubblici di Milano sono retti da donne – il Politecnico da Donatella Sciuto, dal 2023, e la Bicocca da Giovanna Iannantuoni, dal 2019 – ha aggiunto: «E credo che sia un segnale, quello delle tre rettrici, da Milano anche per il resto del Paese perché è vero che ci sono diverse rettrici in Italia, ma è ancora un numero minoritario. Quindi il segnale che arriva da Milano è quello di un riconoscimento del ruolo delle donne nelle istituzioni e negli atenei».
Guai a opporsi o anche solo a non condividere la “battaglia delle vocali”. Quando Giorgia Meloni, diventata premier, ha fatto sapere che l’appellativo da usare nei suoi confronti era «Signor presidente del Consiglio» Laura Boldrini ha subito reagito: «Cosa le impedisce di rivendicare nella lingua il suo primato? Affermare il femminile è troppo per la leader di Fratelli d’Italia, partito che già nel nome dimentica le Sorelle?». La scelta di farsi chiamare «Signor Presidente» le ha anche meritato la surreale accusa di volere le donne «un passo dietro agli uomini e dedite essenzialmente alla famiglia e ai figli» rivoltale dall’onorevole Debora Serracchiani.
A ricordarlo in un libro pubblicato per le edizioni di Il Timone, è la giornalista Raffaella Frullone. Il libro si intitola “Presidenta anche no!” e proprio dal linguaggio parte per offrire, come spiega il sottotitolo del saggio, argomenti utili a «resistere al fascino del neofemminismo» ovvero del moderno femminismo, un movimento che, procedendo da rivendicazioni in origine condivisibili e peraltro ormai in gran parte soddisfatte nei paesi occidentali e cristiani nel quale milita, è diventato nel corso degli ultimi decenni sempre più ideologico, intollerante e divisivo.
Il libro si compone di 13 capitoli, scritti - ed è un apprezzamento che tanti giornalisti non meritano quando si cimentano con testi di ampio respiro - con stile e ritmo eccellenti e corredati, pregio ancora più raro, da note che richiamano le fonti delle numerose citazioni.
L’interrogativo fondamentale che Raffaella Frullone pone è se davvero ottenere ciò che il neofemminismo rivendica per le donne ne migliori la vita, le renda appagate e felici. Il femminismo storico si era battuto perché alle donne fossero riconosciute pari dignità, diritti e opportunità, era una lotta per l’emancipazione. Il neofemminismo invece si batte per la liberazione delle donne da ruoli che denuncia come imposti e come oneri e limitazioni penalizzanti, ingiusti e intollerabili, a partire da quello di madre: i figli, una “zavorra” all’origine di tutti i problemi.
Libere e militanti a oltranza, questo è il futuro delle donne che l’autore (l’autrice?) teme e contro il quale mette in guardia. Per conquistare alla causa, «per esercitare il loro fascino» serve infatti alle nuove femministe vedere e denunciare forme di sessismo, discriminazioni, violenze anche dove non esistono fino all’affermazione insostenibile che si viva ancora in un sistema patriarcale nel quale le donne sono sottomesse. Il neofemminismo incita a considerare gli uomini come avversari, meschinamente attaccati ai loro privilegi, il nemico da battere, e questa è una delle conseguenze più nefaste della loro ideologia. È un aspetto sul quale giustamente insiste Raffaella Frullone che conclude il suo saggio proponendo un’alleanza nuova con gli uomini per costruire insieme del bene in questo mondo: “«E' tempo di sotterrare l’ascia di guerra o almeno di scegliere di usarla nella giusta direzione, che certamente non è quella di una sterile battaglia tra i sessi che parte dal presupposto che l’uomo sia, nella migliore delle ipotesi, un nemico che non vuole lasciarci spazio nella società».