La fede dei semplici ci salverà
La fede semplice e autentica di tanti fedeli cristiani sparsi nel mondo, che vivono in povertà, ma che sono sempre pronti a dare tutto agli altri, nel racconto di una visita alle comunità del Mozambico a cura di Padre Piero Gheddo.
"Ci salverà la fede dei semplici". Questo bel titolo l’ho trovato su “Credere” della San Paolo, il giornale popolare che ogni settimana offre 100 pagine di notizie, articoli, riflessioni, interviste sui temi della fede.
Ci sono settimanali di sport, di moda, di economia, di politica, di “gossip”, di automobilismo, ma è la prima volta, nell’”Anno della Fede”, che in Italia ogni domenica si trova nelle edicole un bel settimanale illustrato sul tema più importante per tutti noi e per la società: la fede in Cristo e nella Chiesa cattolica.
Impresa editoriale coraggiosa, iniziata nella Pasqua di quest’anno, che merita di essere seguita e sostenuta e sta già avendo un buon successo in molte parrocchie di tutta Italia.
Il titolo “Ci salverà la fede dei semplici” è anche il messaggio che Papa Francesco trasmette con i suoi gesti e la sua parola, il “Papa popolare” che suscita l’interesse di tutti, anche dei non credenti e non praticanti.
Ebbene, leggendo le pagine di “Credere” mi è venuto in mente un incontro che ho avuto nella seconda visita in Mozambico nel 1991.
Il paese era bloccato dalla guerra civile: sparatorie, posti di blocco, attentati terroristici, villaggi bruciati, profughi in fuga, ponti fatti saltare sono realtà quotidiane, specialmente fuori dalle grandi città. Ma ho potuto visitare quattro diocesi (Maputo, Beira, Quelimane, Nampula) e parecchie missioni dell’interno.
A Beira, la seconda città del Mozambico, il padre Bianco francese di cui ero ospite mi dice che i suoi cristiani sono gente semplice, ma hanno una fede molto viva. Gli chiedo di darmi qualche esempio e mi fa incontrare uno dei suoi catechisti, Antonio Macuse, che abita vicino alla parrocchia ed è responsabile della comunità cristiana di quel quartiere lungo il mare.
È un padre di famiglia con cinque figli che fa il pescatore in una cooperativa, sua moglie è l’infermiera del quartiere, anche lei credente. Due giovani pieni di vita e di fede.
Antonio mi dice: “Siamo in guerra da molti anni e una delle piaghe della nostra città sono i bambini abbandonati, i “meninos da rua”, bambini di strada: non hanno più nessuno, né casa, né genitori. Vivono alla giornata, mangiano e dormono quando e dove possono”. Gli chiedo se sono tanti e risponde: “A Beira parecchie migliaia, su un milione circa di abitanti. Ma la nostra gente è buona, le famiglie sono accoglienti: hanno poco, ma quel poco lo distribuiscono volentieri.
I “meninos da rua”, che in genere vengono dalla campagna, dai villaggi bruciati o assaltati dalla guerriglia, prima o poi riescono a trovare una famiglia che li accoglie. Io ho già cinque figli, ma, d'accordo con mia moglie, ne abbiamo presi altri cinque. Come si fa a lasciare un bambino per strada?”.
Antonio parla con grande naturalezza, come si trattasse di un fatto normale. Mi porta a vedere la sua abitazione: tre stanze più la cucina, i servizi e un balcone, in un palazzo a molti piani, costruito al tempo dei portoghesi, ma già fatiscente. Mi pare impossibile che riescano a dormire in 12, ogni notte, in quelle tre stanze. E anche mangiare tutti i giorni.
“Padre – mi dice Antonio – il Signore è buono ci ha sempre aiutati. Tanti ci aiutano anche per portare i bambini a scuola e sostituirci in casa quando siamo fuori per lavoro, ma senza l’aiuto della Caritas parrocchiale, non potremmo farcela. Oggi l'educazione dei miei cinque figli più grandicelli (la prima ha 16 anni) è più facile. Si sentono responsabili anche loro di questi nuovi fratellini e sorelline. Insegnamo a tutti le preghiere cristiane e preghiamo assieme a loro”.
Nella casa di Antonio e Maria c’è il letto matrimoniale e due altri letti, dove dormono i maschietti e le femminucce più piccoli. Da sotto questi due letti, Antonio tira fuori le stuoie di paglia che stende per terra anche nel corridoio. “Ciascuno ha il suo letto e la sua coperta, dice, e sono tutti al riparo dalla pioggia”.
In Mozambico, una delle parole portoghesi più usate è “partilhar”, che significa “condividere”, farne parte a tutti. È il Vangelo tradotto in pratica, che diventa vita. L'ho sperimentato in varie circostanze.
Ad esempio se dai una caramella a un bambino va subito a cercare il fratellino o l'amichetto per farne succhiare un po’ anche a lui. Ho pensato spesso, durante il viaggio in Mozambico che l'Africa, il continente più povero e primitivo, è la riserva di umanità che Dio ha preparato per questo nostro tempo e sta offrendola a noi, popoli ricchi, più colti, più produttivi, più tecnicizzati, ma tanto aridi e dal “cuore duro”. La fede dei semplici, se diventa esemplare anche per noi, ci può salvare.