La distruzione di monumenti e persone sotto il Califfato
L'Isis ha veramente raso al suolo le antiche mura di Ninive: le loro stesse foto lo confermano. La distruzione di tutti i monumenti pre-islamici continua implacabile. E implacabile è anche la repressione: fucilazioni sommarie per chi usa Internet, donne prigioniere e schiave, campi di rieducazione.
Iraq, un’altra meraviglia archeologica è stata distrutta dai bulldozer dell’Isis. Le antiche mura di Ninive, nell’odierna Mosul, sono state in parte spianate. Avevano resistito al tempo, 2700 anni di storia, con le loro merlature, porte e preziosi bassorilievi. Ora sono un cumulo di macerie, stando le foto diffuse nei siti della propaganda jihadista. E l’Isis non è più tenero con gli esseri umani, naturalmente. Coloro che hanno la sventura di vivere sotto il regime jihadista sono ora sottoposti a una pressione ancora peggiore, anche a causa dei rovesci militari subiti dallo Stato Islamico.
Le foto della distruzione non si riferiscono ad un unico evento, ma ad una serie di demolizioni. Già a gennaio si era avuta notizia, da fonti curde, che l’Isis avesse fatto saltare in aria tratti delle antiche mura. “Bombardare i monumenti archeologici è una violazione palese del diritto umano alla cultura, alla civiltà e all’eredità del passato” – spiegava a Iraqi News Saed Mimousine, portavoce del Partito Democratico Curdo, il quale invitava la comunità internazionale a “prendere posizione contro la distruzione dei monumenti storici”. Fin dall’inizio dell’anno l’Isis aveva dichiarato il proprio intento di radere al suolo le mura assire, come riferiva l’Assyrian International News Agency. A metà aprile sono giunte altre conferme delle distruzioni e ulteriori notizie: l’Isis aveva spianato le porte di Adad e Mashqi, le più maestose e meglio conservate dell’antichissima cinta muraria. Era stato un lavoro sistematico, con l’uso di esplosivi e bulldozer. Le foto circolate in questi giorni documentano l’opera di demolizione, che non riguarda solo le due porte, ma anche altri lunghi tratti della muraglia, a ridosso della città moderna.
Si tratta solo dell’ultimo di una serie di crimini contro l’eredità pre-islamica di Mosul. Nel febbraio del 2015, lo Stato Islamico aveva pubblicato il video della distruzione del museo di Mosul. I miliziani erano ripresi mentre prendevano a picconate e buttavano a terra antichissime statue e bassorilievi del VII Secolo a.C. Anche la libreria non era stata risparmiata dagli jihadisti. Circa 100mila antichi libri e manoscritti, molti dei quali riconosciuti dall’Unesco come rarità storiche, erano andati in fumo. L’Università è stata tenuta in piedi, ma adattata alle nuove esigenze militari: è diventata una fabbrica di armamenti.
Né Mosul è l’unica vittima. Hanno fatto il giro del mondo le foto delle distruzioni nel sito archeologico di Palmira. La città, recentemente liberata dall’esercito regolare siriano, presenta i chiari segni del passaggio degli jihadisti. Poco dopo la liberazione, l’orchestra del teatro Marinskij di San Pietroburgo, diretta da Valerij Gueguiev, ha tenuto simbolicamente un concerto nell’anfiteatro, rimasto intatto, dove l’Isis girava i video delle sue esecuzioni di massa dei prigionieri. Tutto attorno, però, l’Arco di Trionfo (uno dei più importanti monumenti del Medio Oriente), il tempio di Bel e quello di Baal Shamin, la tomba di Elahbel e le torri romane, sono stati distrutti sistematicamente. Occorreranno anni prima di ricostruirli. L’Italia dà il suo contributo con i “caschi blu della cultura” (un team di 60 fra architetti, storici, archeologi e restauratori), 31 dei quali sono già formati e pronti a partire. Ma l’incubo non è finito. E’ di ieri, infatti, la notizia di un contrattacco a sorpresa delle milizie dell’Isis, proprio nel settore di Palmira. Se la città dovesse cadere di nuovo nelle loro mani, riprenderebbe anche la loro furia iconoclasta e perderemmo altre meraviglie del passato greco e romano.
La guerra non sta andando bene per il Califfato. Il regime di Al Baghdadi inizia ad essere a corto di soldi e di uomini, impegnato in un conflitto su tutti i fronti: a Ovest contro i siriani, a Nord contro i curdi e a Est contro l’esercito iracheno, appoggiato dai bombardamenti della Coalizione. E anche per questo si intensifica la repressione. E’ notizia proprio di Mosul, la fucilazione sommaria di 150 cittadini iracheni, colpevoli di aver usato Internet senza autorizzazione. Secondo le severe regole del Califfato è infatti vietato connettersi alla rete, se non con un permesso provvisorio e pagando una tassa speciale (con cui il Califfato si finanzia). Proprio lo Stato Islamico, che inonda Internet con i suoi video, foto e libri di propaganda, impedisce alla gente comune di comunicare. Anche perché, se potesse sopravvivere un'informazione indipendente, potremmo conoscere anche gli orrori della vita quotidiana sotto le bandiere nere del Califfo. I racconti di chi è riuscito a fuggire da Mosul, come quelli raccolti dal Corriere della Sera, danno almeno una vaga idea di cosa voglia dire. Tutti sono spiati, le conversazioni sono intercettate, per ogni trasgressione della legge coranica ci si deve attendere la morte o le punizioni corporali, le scuole sono trasformate in campi di rieducazione, le donne sono completamente segregate, o ridotte in cattività. Il Ninawah International Hotel, trasformato in carcere, è il luogo in cui i miliziani vanno a sfogare i loro istinti con le nuove schiave.
A Raqqa, in Siria, la situazione non è differente. Secondo fonti locali sentite dall’agenzia Asia News, “Le misure di controllo sono state rafforzate e si respira un’aria di nervosismo crescente visibile sui visi dei combattenti dello Stato Islamico, diventati più irascibili e sospettosi”. Anche qui si cerca di impedire alla gente di comunicare: il 15 maggio, con apposito decreto, sono stati chiusi tutti gli Internet point. Le misure d’emergenza sarebbero state adottate in seguito alla fuga di una ventina di detenuti dal campo di prigionia di Tabka, non lontano dalla città.
Si tratta ancora di frammenti di verità che, assieme alle fosse comuni (scoperte la settimana scorsa), iniziano ad affiorare, poco alla volta. A posteriori si dirà, probabilmente, che quello imposto dall’Isis è uno dei peggiori regimi totalitari, paragonabile a quello di Pol Pot in Cambogia. E ci si chiederà cosa abbiamo fatto, in tutto questo tempo, per salvare le sue vittime.