La crisi militare oscura i martiri nordcoreani
Nuova crisi militare fra le due Coree. Come è avvenuto altre volte, finirà probabilmente nel nulla. Le notizie rischiano di oscurare, piuttosto, una decisione che può confortare i cristiani nascosti della Corea del Nord: l'inizio della causa di beatificazione dell'ultimo vescovo di Pyongyang e di 80 martiri.
Come tante altre volte è accaduto sul confine militare fra Corea del Nord e Corea del Sud, le truppe dei due paesi hanno scambiato colpi d’artiglieria e alzato il livello di allerta militare. Il regime del giovane Kim Jong-un sta deliberatamente aumentando la tensione, con una mobilitazione parziale delle sue forze, come forma di intimidazione contro le previste manovre congiunte coreano-americane. La tensione militare attira, comprensibilmente, l’attenzione di tutto il mondo, anche se finirà con tutta probabilità con un nulla di fatto: il regime nordcoreano non può permettersi una guerra contro gli Stati Uniti. Piuttosto rischia di oscurare mediaticamente importanti sviluppi nel cristianesimo nordcoreano: infatti è iniziato il processo di beatificazione di Francesco Borgia Hong Yong-ho, vescovo di Pyongyang e i suoi 80 compagni martiri del regime. Il riconoscimento del loro martirio sarebbe un potente segnale per la chiesa più repressa del mondo.
E’ la Conferenza episcopale sudcoreana che ha approvato, il 20 agosto mattina, all’unanimità, l’ispezione preliminare sul martirio dei cristiani nordcoreani. Non si tratta di fatti recenti, ma avvenuti all’alba del nuovo regime, nel 1949. Il paese era appena stato diviso, quattro anni dopo la Seconda Guerra Mondiale e nel Nord il regime comunista, sostenuto da Stalin e retto da Kim Il Sung (il nonno dell'attuale dittatore Kim Jong-un) stava consolidando con la forza il suo potere. In questo contesto, monsignor Hong e un gruppo di sacerdoti e fedeli laici venne fatto letteralmente “sparire” dal nuovo potere. Fino a quel momento, Pyongyang era nota per la sua folta minoranza cristiana, tanto da essere soprannominata la Gerusalemme dell’Est. In tutto il paese vivevano, stando all’ultimo censimento disponibile del 1945, almeno 50mila cattolici. Kim Il Sung, per imporre l’ateismo di Stato, li fece arrestare e scomparire in massa e rase al suolo la quasi totalità delle chiese nel paese.
Fra gli 80 possibili martiri potrebbe figurare anche un altro numeroso gruppo di fedeli che subì una persecuzione, se possibile, ancor più drammatica. Monsignor Patrick Byrne, americano, nel 1950 stava sostituendo il vescovo di Seul, che all’epoca si trovava a Roma. Proprio in quel periodo, la Corea del Nord lanciò il suo attacco a sorpresa contro la Corea del Sud, il primo atto di una guerra che sarebbe durata tre anni e che tuttora non è ufficialmente finita. Conquistata Seul, monsignor Byrne venne catturato assieme a un folto gruppo di sacerdoti e laici. Invece di trasferirli in un campo di prigionia, i nordcoreani sottoposero i religiosi alla tortura della “marcia della morte”, costringendoli a camminare lungo tutto il territorio montuoso della Corea del Nord. Byrne morì sul fiume Yalu, vicino al confine con la Cina. Secondo testimoni che assistettero alla sua fine, le sue ultime parole furono: “Il più grande privilegio della mia vita, dopo il dono del sacerdozio, è quello di aver sofferto per Cristo con tutti voi”.
Sono trascorsi 65 anni da quel terribile primo anno di guerra, ma in Corea del Nord la situazione dei cristiani è cambiata poco o nulla. Il regime ateo è, negli ultimi 13 anni consecutivi, in prima posizione nella World Watch List di Open Doors (l'associazione che monitora le persecuzioni di cristiani in tutto il mondo), il che vuol dire che è ancora il maggior persecutore dei cristiani in tutto il mondo. Stranamente continua a non fare notizia, vuoi perché surclassato dalle violenze tanto brutali quanto mediatiche dell’Isis, vuoi perché dal “regno eremita” escono poche e inattendibili informazioni. Ufficialmente, la costituzione nordcoreana ammette piena libertà di culto. Formalmente, un cristiano può anche praticare la sua fede purché non faccia proselitismo. Ma le di “far proseliti” o di “minacciare la quiete pubblica” sono talmente arbitrarie che chiunque pratichi il cristianesimo è passibile di arresto. In tutto il paese esistono solo quattro chiese riconosciute dal governo, tutte nella capitale Pyongyang: due protestanti, una cattolica e una ortodossa russa. La chiesa protestante anglicana è anche dedicata alla madre di Kim Il Sung, Kang Pan-sok (che era una presbiteriana). La chiesa cattolica è quella di Jangchung. Un testimone d’eccezione, padre Lee Eun-hyung, sudcoreano, segretario generale della Commissione di Riconciliazione del Popolo Coreano, spiega alla fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre come funzioni quell’unica chiesa cattolica legale: «Ogni volta che sono stato a Pyongyang (tre volte, l’ultima nel 2011, ndr) ho celebrato messa nella Chiesa cattolica di Jangchung, l’unica riconosciuta dal regime. Vi erano sempre molte persone sedute nei banchi, ma non posso dire se fossero davvero cattolici, perché mi era severamente proibito avvicinarli e parlare con loro». Padre Lee spiega che la comunità è guidata da un laico che tutte le domeniche celebra la liturgia della parola. «Non potrebbe essere altrimenti, perché non mi risulta che vi sia alcun sacerdote in Corea del Nord».
Secondo il sacerdote sudcoreano, i cristiani nascosti sono almeno 10mila, ma non può esistere una vera e propria “chiesa sotterranea”, perché il regime la stroncherebbe. Esistono tante e toccanti testimonianze di cristiani devoti che continuano a praticare la fede anche in prigione, anche nei campi di sterminio, come nel caso di Hea Woo, già incontrata da La Nuova Bussola Quotidiana o in quello emerso più di recente di Kim Sang-Hwa, entrambe fuggite alla persecuzione e alla morte in circostanze miracolose ed ora testimoni della violenza del regime. Altre testimonianze di rifugiati nordcoreani raccontano di rosari segreti, recitati da donne anziane intente a contare fagioli, nel segreto della loro fede.
Ogni tensione con il Sud, come quella tuttora in corso, è presa a pretesto dal regime per un giro di vite alla repressione. Intanto, però, la possibile futura beatificazione di monsignor Hong e degli altri 80 martiri di Corea, potrebbe essere un potente segnale di rinascita spirituale per i cristiani segreti. Fino al 2012, monsignor Hong era ancora riconosciuto quale vescovo di Pyongyang, benché “scomparso”. Fu San Giovanni XXIII che nel 1962 decise di elevare a diocesi il vicariato di Pyongyang, anche in segno di protesta contro la politica del regime nordcoreano, e di nominare quale primo vescovo proprio mons. Hong, che diviene così un simbolo della persecuzione contro i cattolici nella Corea del Nord e in generale nei regimi comunisti. Solo dal 2012 il nome di Hong venne rimosso dall’Annuario pontificio, dopo il pronunciamento delle Cause dei Santi.