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EDITORIALE

La corruzione non si batte cancellando la prescrizione

I noti fatti di Roma hanno dato la stura a proposte di ogni tipo. Compresa quella di Renzi che vuole allungare i termini della prescrizione per i reati di corruzione. Ma si dovrebbero avere, semmai, sentenze che chiudano inchiesta e giudizio entro termini accettabili.

Editoriali 12_12_2014
Mafia capitale

I noti fatti di Roma hanno dato la stura a chiacchiere e discussioni in genere di bassa qualità, ma in alta quantità; tra gli argomenti che sono oggetto di questi vocii, il modo per rendere effettiva la pena eventualmente irrogata dal tribunale penale a coloro che verranno riconosciuti colpevoli. Su questo punto la gente sbanda, tirando fuori le proposte di soluzione più cervellotiche che si possano immaginare. Lo stesso Renzi, con la sua proposta di allungamento dei termini della prescrizione per i reati di corruzione, esce dal campo delle proposte serie.

È chiaro infatti che il problema non è quello di consentire ai magistrati di agire con maggior calma, ma quello di avere sentenze che chiudano inchiesta e giudizio entro termini accettabili, evitando la prescrizione e ponendoci in linea con i Paesi civili (tra i quali, quando parliamo di amministrazione della giustizia, non possiamo certo annoverarci).

Perché non ci si riesce? Credo che siano diversi i motivi: cercherò di elencare alcune proposte che potrebbero contribuire a migliorare la situazione. 

Sicuramente tre gradi di giudizio sono troppi, anche in presenza di giudici moderatamente affidabili come i nostri. Bisognerebbe tornare a vedere la Cassazione come tribunale di legittimità delle sentenze; per accedervi dovrebbero essere presenti motivi validi riconosciuti come tali in un apposito giudizio, che raramente si verificano.
L’appello non dovrebbe essere concesso automaticamente, e il ricorso dovrebbe essere viabile solo ad esito positivo di un rapido procedimento di controllo.
La durata delle indagini dovrebbe realmente essere contenuta, e prorogabile solo in casi di estrema gravità.

Il numero di imputati in ogni processo dovrebbe essere limitato allo stretto necessario, per evitare errori e difetti di procedura assai probabili quando il volume degli atti diventa eccessivo. A tal fine bisognerebbe rivedere drasticamente l’istituto della connessione, reale o personale che sia, tra reati. I Pubblici Ministeri dovrebbero essere tenuti a rispettare termini non troppo ampi per concludere il loro lavoro. Dovrebbe essere stabilito un termine molto stretto per la fissazione delle successive udienze.

La carcerazione preventiva dovrebbe essere riservata ai reati più gravi ed irrogata solo per il pericolo reale ed imminente di fuga o di ripetizione del reato, ed avere termini temporali stretti e rigidi.

Non so se modifiche di questo tipo all’attuale legislazione ci porterebbero molto in avanti nella graduatoria della civiltà giuridica, ma sicuramente – se fossero studiate e formalizzate da tecnici della materia - ci permetterebbe di uscire dalle zone bassissime della classifica.