La Consulta “salva” gli embrioni. Per il momento
Con la decisione adottata ieri è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale la questione sollevata dal Tribunale di Firenze che mirava ad ottenere il via libera all'utilizzo degli embrioni prodotti con la fecondazione in vitro, non trasferiti nel corpo della madre e congelati, per le ricerche scientifiche.
Con la decisione adottata ieri è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale la questione sollevata dal Tribunale di Firenze che mirava ad ottenere il via libera all'utilizzo degli embrioni prodotti con la fecondazione in vitro, non trasferiti nel corpo della madre e congelati, per le ricerche scientifiche.
La legge 40 del 2004 vieta l'utilizzo degli embrioni umani per scopi diversi dalla maternità e anche la loro soppressione: in effetti, autorizzare la ricerca scientifica sugli embrioni significa destinarli a morte certa, perché essi vengono considerati «materiale da laboratorio», utilizzabile nei modi più vari. I tecnici della fecondazione artificiale, già nei primi anni di applicazione delle tecniche, hanno sostenuto la ricerca sugli embrioni umani, disponibili a basso prezzo (al contrario degli embrioni animali), in nome del progresso della scienza e della medicina, facendo intravedere la possibilità di mirabolanti scoperte con l'utilizzo delle cellule staminali embrionali (che, appunto, si ricavano dal "dissolvimento" degli embrioni). Come è facile intuire, gli interessi economici in questo settore sono enormi. Di fronte a questa tendenza, già nel 1986 l'assemblea del Consiglio d'Europa aveva sollecitato il divieto di produzione degli embrioni a fini di ricerca, poi adottato dalla Convenzione di Oviedo del 1997.
A ben vedere, questa pratica rappresenta simbolicamente la "logica" che muove la fecondazione in vitro: l'embrione umano prodotto è una cosa, priva di qualsiasi valore intrinseco, prodotta in serie, e pertanto può essere utilizzato nei modi ritenuti più vantaggiosi anche dal punto di vista economico. Il mantenimento nei congelatori degli embrioni prodotti in soprannumero per un tempo indeterminato è considerato uno spreco di risorse e di denaro: tenere in funzione i macchinari costa (chi deve pagare?) e gli embrioni in quello stato non «servono a niente», né per far crescere «bambini in braccio», né per la ricerca scientifica e per i guadagni conseguenti.
L'ordinanza del Tribunale di Firenze esprimeva in maniera esplicita questa logica. Dopo avere addirittura sostenuto che il divieto di ricerca non si applica agli embrioni nei primi tre giorni, definiva comunque «materiale genetico» i nove embrioni congelati dalla coppia che ne chiedeva la destinazione alla ricerca e infine proponeva un criterio: se l'embrione non è più disponibile per «l'impiego programmato», allora potrebbe essere utilizzato «per altri impieghi costituzionalmente rilevanti, come la ricerca scientifica biomedica». In sostanza, il Tribunale sosteneva che un essere umano deve pur «servire a qualcosa» e che il suo valore dipende dall'utilizzo che se ne può fare. Proviamo ad applicare questo criterio agli anziani o ai malati e comprendiamo facilmente le conseguenze …
La Corte Costituzionale si è trovata a decidere la questione avendo davanti a sé un quadro ben chiaro: gli embrioni congelati aumentano ogni anno e sono ormai decine o centinaia di migliaia. Era stata proprio la Corte a contribuire a rendere più drammatico questo problema: quando aveva eliminato, nel 2009, il numero massimo di embrioni producibili, in nome della tutela della salute della donna, per evitare che si sottoponesse a troppi cicli di fecondazione artificiale; salvo scoprire che i centri, da quel giorno, hanno ripreso a produrre quanti più embrioni possibili, al fine di sottoporli alla diagnosi genetica preimpianto che, alla fine, la Corte Costituzionale ha esplicitamente autorizzato.
Ci si poteva dunque attendere che, dopo tutti gli interventi operati sulla legge 40 che hanno permesso la sovrapproduzione di embrioni, la fecondazione eterologa, l'accesso alle tecniche delle coppie fertili e, appunto, la diagnosi genetica preimpianto, questa fosse l'occasione per dare una spallata decisiva all'architettura della legge 40. Non solo: le spinte – esplicite o meno – perché la Corte permettesse la ricerca sugli embrioni soprannumerari erano forti, in nome della ricerca scientifica che in Italia sarebbe penalizzata e perché, in fondo, in questo modo sarebbe stato «risolto il problema» e i congelatori sarebbero stati svuotati.
Eppure la Corte, resistendo alle pressioni, ha detto un sonoro "no"; e lo ha fatto in nome della «complessità dei profili etici e scientifici» e della «dignità dell'embrione»; in sostanza, ha agito da Corte Costituzionale, non limitandosi a ratificare gli orientamenti dei "poteri forti" sul tema, ma richiamando valori alti: ricordando a tutti che nella fecondazione in vitro si produce un essere umano che ha una dignità intrinseca - una realtà che molti vorrebbero cancellare - e che quindi le scelte hanno una rilevanza etica, e non solo tecnica. In effetti, pur sdoganando la barbara pratica della diagnosi genetica preimpianto, la Corte ha riaffermato il diritto alla vita dell'embrione, affermando che esso «non è certamente riducibile a mero materiale biologico» e richiamando la sentenza n. 151 del 2009, con la quale era stato «riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost. (diritti inviolabili dell'uomo)».
Quindi, questa pronuncia fornisce un elemento di speranza, che si accompagna alla constatazione che anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in un altro caso (Parrillo contro Italia) aveva ugualmente ritenuto di non ritenere illegittimo il divieto di destinazione degli embrioni alla ricerca scientifica. L'inizio di un ripensamento? Non si può che sperarlo: ma senza farsi troppe illusioni. Il numero degli embrioni congelati continuerà a crescere, gli appetiti dei ricercatori e delle case farmaceutiche saranno sempre più alti e si sosterrà sempre più spesso che, in qualche modo, «il problema deve essere risolto».
La Corte Costituzionale, in realtà, rifiutandosi di intervenire sulla questione, non ha affatto ribadito la necessità di mantenere il divieto di destinazione degli embrioni alla ricerca: ha solo affermato che occorre un «bilanciamento tra dignità dell'embrione ed esigenze della ricerca scientifica», operazione che spetta al Parlamento, «essendo possibile una pluralità di scelte». Si tratta, quindi, di rinvio del pallone in un altro campo: quello della politica. Cosa possiamo aspettarci?