La colonna di fumo. O era Mosè?
Cinque criteri per affronatre, ragioanndo come Dio comanda, l'opera di uno dei maggiori artisti viventi.
Anish Kapoor è uno dei più grandi artisti viventi, tra i pochi a far provare allo spettatore esperienze estetiche forti e nuove. La sua opera Ascension nella basilica veneziana di San Giorgio Maggiore, in parallelo alla Biennale, consiste in una colonna di vapore che sorge da una piattaforma a terra e viene aspirata sotto la cupola. Si crea così una colonna trasparente, sempre cangiante, sempre in movimento ascensionale tra le colonne palladiane.
I dipinti cinquecenteschi e secenteschi sono pieni di accorgimenti molto simili a questa «immagine» per alludere al soprannaturale: nuvole e vapori, luci che attraversano la scena, raggi, ecc. In più noi siamo abituati agli effetti speciali, non solo nel cinema o nei videogiochi ma anche nei concerti, per esempio. Voglio dire che siamo in grado di dialogare con la Ascension di Kapoor.
Ma domandiamoci: Cosa rappresenta? L’ascensione di Cristo? No. Qualche altro momento biblico? Non sembra. Un sacramento? L’idea di salvezza o di vita eterna? Potremmo rispondere ancora di no. Oppure sì? L’artista ha commentato: «Ciò che mi interessa è l’idea dell’immaterialità che diviene un oggetto, che è esattamente ciò che accade in Ascension: il fumo diventa una colonna. In quest’opera è anche presente l’idea di Mosè che seguì una colonna di fumo, una colonna di luce, nel deserto». Sarà. Anish Kapoor è indiano, abita a Londra e ha ascendenza ebraica. La cosa migliore è lasciare che l’opera parli nei cuori di chi la guarda, senza didascalie preconcette. A essere onesti dovremo dire che è una grande opera. Sebbene, contrariamente a quanto si legge, l’aveva già fatta in altri ambienti privi di significati religiosi.
Ora, quest’opera, come altri lavori contemporanei nelle chiese impone una riflessione che cerco di condensare in pochi punti.
1. Le arti visive hanno elaborato ormai da oltre un secolo nuove poetiche, nuove modi di esprimere e comunicare. Tutti noi, cittadini del nostro tempo, le accettiamo senza difficoltà anche quando si dichiara di non capire l’arte contemporanea. Accettiamo ad esempio il design, la pubblicità, il cinema, la moda, ecc. Questi ambiti culturali non parlano una lingua diversa dalle arti visive, pur essendo più commerciali e popolari. Non si torna indietro. Se fra altri cent’anni si saranno recuperati linguaggi del passato, non lo possiamo sapere. Io non credo, però. Inoltre, una particolarità dell’arte contemporanea è proprio la molteplicità di linguaggi: c’è anche chi dipinge in modo tradizionale, come si è voluto mostrare nel Padiglione Italia di Vittorio Sgarbi.
2. La Chiesa è sempre nel momento presente, per sua natura. Vaglia la cultura e distingue ciò che è contrario agli insegnamenti di Cristo da ciò che con questi va d’accordo; ciò che può veicolare un danno alle anime da ciò che invece fa bene. Ma la Chiesa non ha uno stile artistico proprio, come ha tenuto a sottolineare il Concilio Vaticano II. È non solo auspicabile ma normale che la Chiesa s’interessi dell’arte contemporanea e la usi ai suoi fini, come è accaduto in ogni epoca.
3. Ora, gran parte dell’arte contemporanea è molto lontana dal "raffigurare", cosa che invece è importante per la Chiesa: raffigurare Cristo, la storia biblica, l’esempio dei santi. E inoltre la maggior parte degli artisti famosi sono lontani da una sensibilità religiosa e cattolica in particolare. Ne deriva la necessità di incontrarsi, di parlarsi, di convergere. Vanno in questa linea diversi tentativi degli ultimi anni, che a una visione superficiale possono sembrare strampalati se non addirittura dannosi.
4. Dialogare, però, non significa mettere in chiesa tutto ciò che gli artisti forniscono. La chiesa e le liturgie che in essa si celebrano hanno delle regole, o meglio, dei bisogni da soddisfare, e non tutto va bene. Scriveva Gio Ponti: «Costruire una chiesa […] è un assunto nel quale il religioso prevale sull’architettonico. Altrimenti che chiesa sarebbe? A quale religione votata? A quella dell’Architettura che non è una religione?». Similmente per le arti visive. In fondo il problema lo aveva già risolto Maritain distinguendo tra arte religiosa (a soggetto religioso) e arte sacra (arte per le chiese). La Chiesa sta cercando di avvicinare gli artisti e di proporre loro le sue richieste, ma i risultati vanno vagliati. Ci sono molti altri spazi non liturgici che possono essere ricettacolo delle sperimentazioni. Si andrà così raffinando la ricerca e le cose meritevoli arriveranno in chiesa. Ma facciamo attenzione: non è un obiettivo dell’arte religiosa essere collocata in chiesa, come insegna un passato artisticamente glorioso.
5. Siano benvenuti tutti i Kapoor di questo mondo. E ai lodevoli incontri con artisti promossi dall’alto, sarà necessario affiancare una pastorale ordinaria, che immagino fatta prevalente dai laici, di conoscenza, amicizia, condivisione, orientamento. Questo vuol dire essere nel mondo, essere contemporanei.