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SOCIETA'

La burocrazia moderna, figlia dei giacobini

Le statistiche confermano che siamo ancora sepolti da tonnellate di carte inutili. Un virus iniettato dallo Stato totalitario della Rivoluzione francese.

Attualità 04_08_2011
Burocrazia

Se c’è una categoria di persone che ha motivi per benedire la burocrazia, è quella degli storici. La burocrazia, così come la conosciamo oggi, è stata inventata non a caso dal primo totalitarismo ideologico, quello dei giacobini. Lo Stato con loro diventa tutto, mamma, maestro, infermiera. Per occuparsi di tutto, deve tutto sapere e tutto controllare. Da qui la piramide burocratica.

Una piramide che, paradossalmente, si fonda sul Peccato Originale. Anzi, quanto più si dichiara atea, tanto più ci crede. Lo Stato non si fida di nessuno, neppure dei suoi burocrati, i quali devono cautelarsi «certificando» ogni loro mossa e esigendo certificazione per ogni mossa altrui. Possibilmente in doppia o tripla copia. Questo ha permesso allo storico Reynald Sécher di trovare negli archivi le prove provate del genocidio vandeano. Per lo stesso motivo, alcuni storici non credono all’Olocausto nazista, tanto che bisogna costringerli con la galera. Ma loro si appellano a un dato preciso: i nazisti, da buoni totalitari, certificavano tutto, anche le minuzie; per la Shoà, invece, manca il documento, non si è mai trovato. Impossibile –dicono- eseguire un genocidio in così larga scala senza ordini e direttive capillari. Di cui non c’è traccia. Detto questo, dobbiamo però ammettere dolorosamente che gli storici sono gli unici a gioire dell’esistenza della burocrazia. E solo in quanto storici.

In quanto cittadini, se poveri, gemono sotto il tallone, come tutti i poveri (i ricchi hanno i segretari per questo). A volte, sudando in fila alle poste (aria condizionata raramente ben funzionante: quando funziona, è tenuta bassa perché c’è sempre chi ha la cervicale), ho pensato: quanto dovrei dare a uno che faccia la fila al posto mio? Se la cifra supera una certa soglia, scatta il principio economico detto «rendita del consumatore», che è la differenza tra il dato e ciò che si darebbe. Solo così riesco a sopportare. A sopportare la vista di povere vecchiette sciancate, in piedi come me. A sopportare quello di davanti che si volta educatamente per starnutare, così starnuta addosso a me e poi si scusa. E io spero che non ci sia in giro l’ennesima influenza.

E’ stato già calcolato quanto tempo buttiamo per procurarci documenti burocratici, vieppiù inutilmente vessatori in tempi elettronici. Leggo in un articolo di M. Bocci («La Repubblica» 19 giugno 2011) che con la legge Bassanini del 1997 –che ha introdotto l’autocertificazione in Italia- i certificati anagrafici sono scesi da 68 a 35 milioni. Bene, ma sono ancora troppi: più di metà della popolazione deve dimostrare qualcosa a qualcuno, il quale, alla fin fine, lo deve dimostrare allo Stato. E poi, ma siamo sicuri che l’autocertificazione snellisca? Per esempio, nel caso del bonus bebé (v. articolo a mia firma su La Bussola) si è scoperto che 8mila autocertificazioni erano non veritiere. Il che significa che qualcuno ha controllato, che qualcun altro ha notificato, che un terzo soggetto deve eseguire, perseguire e, se del caso, incassare. Cioè, ulteriori documenti, con tanti saluti all’autocertificazione. Nell’articolo sopra citato viene intervistato anche Mauro Parducci, presidente della DeA (Demografi Associati), il quale ammette che molta della certificazione richiesta (talvolta anche dai parroci per i matrimoni) è inutile.

Io non sono un demografo e nemmeno un parroco ma me ne ero accorto da anni. Dovete sapere che almeno due volte al mese vado alla posta per ritirare avvisi di Equitalia, il nuovo flagello inventato dallo Stato per angariare i cittadini. Si tratta sempre di multe automobilistiche intestate alla mia signora. Per motivi di lavoro posso andarci solo io. Ma vogliono la delega firmata da lei. Da tempo, a quell’ufficio sanno chi sono io e che cosa rappresento. Ma la vogliono lo stesso. Così, esco, me la compilo da solo e la firmo falsamente. A loro importa? No, devono coprirsi le spalle con i livelli burocratici superiori. Ma chi avrebbe interesse a pagare una multa al posto di un altro? Nessuno, infatti. Perciò, ecco una certificazione inutile. Non solo. Il «delegato» deve anche dimostrare di essere lui. Con tanto di carta d’identità. Una volta non l’avevo dietro e ho mostrato il tesserino da giornalista. Che ha tutto quel che la legge richiede a un documento identificatorio: foto, timbro e autorità emittente. Macché. Le regole postali dicono carta d’identità. Così, sono dovuto tornare indietro a prenderla. Altra fila.

Per mancanza di spazio non vi dico le acrobazie burocratiche che deve fare uno a cui hanno rubato la macchina. Non solo cornuto ma anche mazziato. Il tutto, ovviamente, in orario lavorativo, perché i diritti sindacali dei burocrati (i.e. lo Stato) prevalgono su quelli dei comuni cittadini. E meno male che hanno abolito la leva militare (io non ho fatto in tempo). Talleyrand, che pur della stagione giacobina fu uno dei protagonisti, diceva: «Solo chi è vissuto prima della Rivoluzione sa quanto fosse dolce la vita». Noi, posteri, non lo sapremo mai. E chiamiamo la fila agli sportelli (per pagare, oltretutto) «libertà».