Kamikaze islamici, ecco una storia lunga secoli
Il cristiano sacrifica la sua vita per salvarne il maggior numero, quello jihadista si immola per ammazzare quanta più gente può. Con buona pace di chi pensa che una religione valga l’altra. In Occidente il termine kamikaze è puramente mediatico, ma quella “martiri” islamici è davvero una lunga storia.
La differenza tra il martire suicida islamico (shaid) e quello cristiano l’abbiamo vista a proposito del giovane pakistano Akash Bashir che fece scudo col suo corpo al kamikaze talebano che il 15 marzo scorso attaccò una chiesa a Lahore. Il cristiano sacrifica la sua vita per salvarne il maggior numero, quello jihadista si immola per ammazzare quanta più gente può. Con buona pace di chi pensa che una religione valga l’altra.
In Occidente il termine kamikaze è puramente mediatico perché i giapponesi, cui spetterebbe il copyright, dicono “terrorista auto esplodente”. Infatti, loro hanno rispetto per i kamikaze storici, quei piloti da caccia che picchiavano coi loro aerei-bomba sulle portaerei americane quando, tra il 1944 e il 1945, il Giappone era ormai alla disperazione. Il kamikaze sacrificava se stesso per tenere il nemico lontano dal territorio nazionale e attaccava soldati armati, non donne e bambini. Kamikaze (“vento degli dèi”: i nipponici non rinunciavano alla poesia nemmeno nei momenti più tragici) era il nome dato a quel tifone che nel 1281 impedì alla flotta mongola di Kublay Khan di invadere il Giappone. Da qui l’estensione del termine al contrasto volante all’invasione americana. Del resto, l’etica samurai contemplava da sempre l’immolazione personale in difesa di valori più alti.
In campo islamico, il primo atto di “martirio” porta la data dell’11 settembre 1981. Già, un 11 settembre. Si è sempre pensato che l’11 settembre più famoso, quello delle Twin Towers, fosse una “risposta” alla sconfitta turca di fronte a Vienna del 1683. In realtà, la vittoria cristiana si ebbe non l’11 ma il 12 settembre e il declino militare ottomano cominciò più tardi, nel 1717, con la vittoria di Eugenio di Savoia a Peterverdein. Non solo: i “martiri” di Al Qaeda alle Torri Gemelle erano sunniti. Invece, il primo shaid, quello del 1981, era sciita e si fece esplodere per far fuori un altro sciita, l’ayatollah iraniano Madani (insieme ad altre sei persone, più una quarantina di feriti). Questo attentato fu eseguito solo due anni dopo la rivoluzione di Khomeini in Iran. Pare che il teorico del moderno “martirio” fosse Alì Shariati, iraniano, laureato in sociologia alla Sorbona negli anni Sessanta e frequentatore dell’ambiente esistenzialista (ma anche marxista) dello scrittore-filosofo Jean-Paul Sartre a Parigi. Ma si muoveva ancora in acque anti-imperialiste e terzomondiste.
Il terrorismo fondamentalista religioso si scatenò l’anno seguente in Algeria e continuò per molto tempo provocando duecentomila morti (la decapitazione dei sette monaci trappisti francesi a Tibhirine è del 1997). Il resto è storia contemporanea e cronaca. Tuttavia, quella iniziata nel 1981 non è che una variante di una tradizione antica. I famigerati Assassini, seguaci del celebre Vecchio della Montagna, erano anche loro sciiti, per l’esattezza ismailiti, cioè aderenti a una corrente minoritaria e radicale dello sciismo. Cominciarono nell’VIII secolo nella Persia dominata dai sunniti. E se la presero subito con questi ultimi. La loro sete di “martirio” li designò come al-Hashishiyyun (“dediti all’hashish”), dato che sembravano drogati. Ma può darsi che il vero nome fosse solo Heyssessin, “seguaci di Hasan”. Infatti, nel 1094 il loro capo (shayk, che vuol dire anche “vecchio”) Hasan-i Sabbah si asserragliò nella fortezza montana di Alamut in Persia e da lassù li sguinzagliò in una serie impressionante di omicidi.
Nel loro mirino c’erano praticamente tutti, dai crociati ai turchi. Nel 1176 ad Aleppo cercarono di assassinare addirittura il Saladino. Non riuscirono, ma nel 1135 col califfo al-Mustarshid non avevano fallito. Nemmeno, l’anno dopo, col figlio di questi, al-Rashid. Braccati e più volte sbaragliati, nel XIV secolo sparirono del tutto. Fine dei kamikaze islamici? Niente affatto. Nel 1900 se li ritrovarono davanti gli americani a Mindanao. Finita la guerra d’indipendenza con cui le Filippine nel 1898 si erano liberati della Spagna, i filippini scoprirono che gli Usa li avevano aiutati solo per sostituirsi al vecchio dominio. E fu di nuovo insurrezione. Ma gli americani non avevano la mano leggera come gli spagnoli e perfino la stampa statunitense dovette protestare per le rappresaglie indiscriminate contro la popolazione civile, donne e bambini compresi. L’arcipelago venne domato ma l’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana, continuò a dare filo da torcere agli yankees fino al 1902.
Ciò che terrorizzava gli americani erano gli attacchi a sorpresa dei cosiddetti juramentados, fanatici imbottiti di stupefacenti che andavano all’assalto insensibili alle pallottole e cadevano solo dopo aver fatto una strage. Il patriottismo non c’entrava, perché quelli attaccavano tutti i cristiani, americani o filippini, senza distinzione. Oggi, dunque, assistiamo semplicemente a una riedizione di un metodo vecchio quasi come l’islam (la religione del Profeta nacque nel VII secolo, gli Assassini iniziarono nell’VIII). Il Paradiso promesso allo shaid è sempre lo stesso.