Jihad giudiziario contro la libertà d'espressione
Scrivi e poi muori. È questo il rischio che corrono i giornalisti, gli scrittori e gli intellettuali che vivono nei regimi islamici. Nei paesi occidentali i fondamentalisti non hanno questa forza, ma colpiscono per altre vie: querelando chiunque scriva di loro associandoli a fenomeni terroristici, per intimidire e silenziare le voci libere.
Scrivi e poi muori. È questo il rischio che corrono ancora oggi in molti paesi i giornalisti, gli scrittori e gli intellettuali che osano sfidare il fondamentalismo sul piano dei fatti e delle argomentazioni. Tanti sono rimasti effettivamente uccisi, come tanti sono stati e restano oggi ridotti alla condizione di prigionieri politici: un colpo al cuore della libertà di espressione e di stampa, da parte di regimi non semplicemente autoritari, ma promotori d'ideologie e dottrine che puntano a stroncare i diritti umani, in particolar modo quelli delle donne. È quanto purtroppo accade nella Turchia di Erdogan, nell'Iran ostaggio del regime khomeinista, nell'emirato del Qatar, nel Pakistan di Maududi e della Jamaat-e-Islami, tutti stati il cui corso nella storia è stato deviato dalla causa islamista dei Fratelli Musulmani.
Nell'Occidente democratico, invece, il fondamentalismo colpisce per altre vie. Soprattutto quando è costretto a prendere atto che le minacce di morte, per quanto serie e ripetute, non raggiungono l'effetto sperato. La via prescelta è allora quella giudiziaria, che in un paese come l'Italia è divenuta una prassi abitudinaria. Non avendo il coraggio pubblicamente né di presentarsi per quello che sono, né di prendere le distanze senza mezzi termini dall'estremismo che sono accusati di professare, i cripto-membri e i critpo-simpatizzanti dei Fratelli Musulmani sparano i propri colpi ad alzo zero attraverso denunce e querele, anche a raffica. L'obiettivo è intimidire, mettere paura, gettare nel panico il nemico affinché non si permetta più di associarli al terrorismo jihadista creato dalla stessa Fratellanza, che si tratti di Isis o Al Qaeda.
Spesso in passato vi sono riusciti, riducendo al silenzio coloro che ne avevano messo in luce la vera natura e i veri obiettivi. Così oggi ci riprovano attraverso figlie e figliocci, i quali ricorrono volentieri alla magistratura contro coloro che sono colpevoli di aver svelato quanto si nasconde sotto l'hijab o dietro le cravatte sempre più alla moda. È il "jihad giudiziario", rilanciato giusto in queste ore a danno della libertà di espressione e di stampa, perché non si può consentire che l'evidenza della propria affiliazione ai Fratelli Musulmani, nonché dei flirt con gruppi terroristici ad essi correlati, oscuri agli occhi dell'opinione pubblica la falsa narrativa avallata dal "sistema" della Sinistra.
Che le figlie e i figliocci continuino pure a ricevere premi e incarichi di prestigio, persino politici e istituzionali, e ad esseri dipinti come neo-talenti del giornalismo e attivisti impegnati nella difesa dei diritti umani. Offesi nella loro dignità cavalleresca, che agitino pure la spada della giustizia, accusando i loro detrattori di diffamazione, senza che di questa ve ne sia alcuna traccia. Ma non riusciranno mai a terrorizzare tutti. Chi ne conosce il vero volto, gli obiettivi e le tattiche, chi li combatte da decenni, sa che alla fine, anche dopo lunghe vidende processuali, il "jihad giudiziario" non vincerà. Perderanno, come hanno perso già molte altre volte in passato. Sarà la stessa giustizia a decretarne la sconfitta.