Jeffrey Epstein, un suicidio nell'era post-moderna
Suicidio in carcere, in circostanze misteriose, di Jeffrey Epstein, il miliardario amico di Trump e Clinton accusato di abusi sessuali seriali su minorenni. Porta nella tomba i suoi segreti, mentre nel Web impazzano le teorie sul suo presunto omicidio di "uomo che sapeva troppo". Una storia post-moderna.
La triste vicenda di Jeffrey Epstein, il miliardario pieno di contatti altolocati accusato di sesso e abusi seriali contro ragazzine minorenni e corruzione di testimoni, si è conclusa nel modo peggiore. Con il suo suicidio, in cella, nel carcere Metropolitan di New York, prima del processo. Non solo è un suicidio, ma un suicidio che lascia dietro di sé uno strascico di dubbi e di teorie cospirative. Dubbi assolutamente leciti, considerato che doveva essere sorvegliato in carcere e non lo era. Teorie cospirative ovvie, viste le conoscenze altolocate che aveva in vita, da Trump a Clinton, passando per il principe Andrea.
Non esistono prove che permettano anche solo di ipotizzare un delitto in carcere. Epstein aveva già tentato il suicidio e non gli era riuscito. Lo avevano messo sotto sorveglianza. Ma molte cose sono andate storte. Il compagno di cella che era anche suo sorvegliante, pagato dal carcere per svolgere questo compito, è stato trasferito. La telecamera a circuito chiuso non poteva riprendere dentro la cella. I due sorveglianti, che avrebbero dovuto fargli visita ogni mezzora, non lo hanno fatto e avevano, in compenso, turni molto lunghi e massacranti. L’ipotesi del delitto viene anche da alcune confidenze che (pare) Epstein abbia fatto, affermando di temere di essere assassinato in carcere. Questo non proverebbe nulla di certo, ma consolida l’idea di un uomo che sapeva troppo. Le autorità carcerarie si giustificano affermando che il programma di sorveglianza fosse terminato prima del suicidio. Perché era terminato, alla vigilia del processo e dopo la denuncia di un tentativo di suicidio?
Le teorie cospirative, in questo caso, non sono state alimentate dai soliti blogger col pallino della dietrologia, ma dai massimi vertici politici. Bill De Blasio, sindaco di New York: “Quanti di noi vorrebbero sapere quel che lui sapeva?” si è chiesto commentando l’accaduto. De Blasio è nel mirino delle critiche, visto che il suicidio è avvenuto sotto la sua amministrazione. L’avvocato personale del presidente Donald Trump, Rudy Giulani, lo ha rintuzzato: “Cosa vuol dire la parola ‘sorveglianza’ nella frase ‘sorveglianza dei suicidi’? Chi lo stava sorvegliando?”. Donald Trump, dal canto suo, chiama in causa l’ex presidente Clinton, ospite di 26 voli a bordo del “Lolita Express”, l’aereo privato del miliardario dal nome eloquente: l’ha fatto rilanciando un tweet del comico Terrence Williams: “Aveva informazioni su Bill Clinton e ora è morto”. Il Web è impazzito, con milioni di condivisioni di meme e articoli con teorie cospirative sotto l’hashtag “#ClintonBodyCount” (la conta dei morti di Clinton). A cui i democratici rispondono con l’hashtag #TrumpBodyCount.
Siccome era un ex amico di Trump e un ex amico di Clinton (oltre che del principe Andrea), lo scandalo Epstein è diventato sin da subito oggetto di scontro politico. Soffermandoci su quello che sappiamo, i molti che avevano il terrore di essere coinvolti dalle rivelazioni di Epstein lo avevano frequentato e avevano associato i loro nomi a lui, senza timore di vedere rovinata la propria reputazione. Hanno tutti preso le distanze, ma solo dopo che lo scandalo è diventato di dominio pubblico, nel primo processo del 2008, che si era concluso con una pena ad appena 13 mesi: processo per il quale oggi è sotto torchio Alex Acosta, allora procuratore della Florida, poi segretario al Lavoro nell’amministrazione Trump e poi dimissionario quando lo scandalo è emerso di nuovo il mese scorso.
Quello di Epstein è un suicidio nell’era post-moderna. Dove il peccato non esiste e i comportamenti immorali sono sdoganati: nessuno, appunto, si faceva problemi a frequentare un miliardario accusato di abusi sessuali su minorenni. Il peccato, però, è usato come arma ideologica: fa scandalo perché è un altro clamoroso caso di #metoo, di denuncia tardiva di abusi sulle donne, parte di una più vasta campagna femminista, volta non tanto a stigmatizzare il peccato, quanto a condannare il “maschio” e il suo ruolo sociale. In questo, come in tanti altri casi, la damnatio memoriae avviene già prima del processo, quando la persona accusata è ancora innocente, fino a prova contraria. L’arma ideologica è usata come strumento di lotta politica (perché “tutto è politica” come si dice dal ’68), dunque viene usato per mettere sotto accusa l’ex amico Trump, poi dai sostenitori di quest’ultimo per mettere sotto accusa l’ex amico Clinton. E anche i democratici anti-clintoniani (che spesso sono molto più massimalisti di Bill e anche di Hillary Clinton) si possono accodare a questa campagna. E il tutto in un contesto in cui si crede che la realtà “non esista”, quindi viene tirata e deformata a seconda degli interessi e dei punti di vista. Non è un caso che ogni evento, come questo, susciti un florilegio di teorie della cospirazione. Di certo c’è solo che Epstein è morto e i suoi segreti se li è portati nella tomba.